Capitolo 1 di Azzurra Collas
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La lattigine della torre sfiorava appena l’orizzonte, una linea netta di mare che incontrava l’ampia piattaforma a maglie ferrose ancorata all’isola di Juni. Lì viveva Asian. Il viaggiatore Asian. L’internauta Asian. Asian, il leggero. La lattigine s’inspessiva a tratti seguendo un’idea serpentina, catturata da un’immagine di DNA, indelebile nella retina cerebrale dell’owner oltre il tempo e lo spazio. Per nostalgia, forse. La trasparenza dei prims alle variazioni della luce scandiva le possibili varianti temporali. La torre sfumava verso un viola-aurora o un wood-luna o un ocra-sole. Al mattino Asian si lasciava catturare dal suo cerchio d’aria come un amante che cerca nel corpo dell’altro la polarità perduta. Un vincolo che andava oltre ogni altro possibile, il cerchio lo amava di un amore totale e si lasciava possedere ogni volta attraverso l’esile barriera di luce, si lasciava essere al suo tocco. La discesa lentissima, impercettibile lungo il corpo diafano della torre suggeriva appena una vertigine di verticalità, ancora un reperto di memoria di spazio umano. Il silenzio, assoluto. La perfezione del corpo, assoluta. Tutto questo era la torre di Asian. E Asian l'amava per tutto questo.
Bologna era come sempre umida e vitale. Lo studio affacciava sulle torri, e questo bastava. Un incontro di lavoro, una conferenza, una lezione, una mostra, F. era un infaticabile abitante del giorno, e della notte. Urbanista per vocazione, trattava lo spazio come un contadino un campo di grano, lo arava e lo seminava di idee e segni finché non produceva i suoi frutti; come un artigiano dà forma al suo pezzo di ferro o legno o creta, finché non genera un oggetto finito e utile, così F. non si dava tregua, fino a quando non trasformava il grande foglio bianco in un ponte, un molo, una piazza, un giardino, in un angolo di città. Il suo segreto di urbanista era tutto nella sua naturale capacità di intuire il racconto celato dentro linee e forme, e nel dar voce agli oggetti, che parlassero agli umani – diceva - fruitori spesso ignari del loro destino urbano, che dessero loro un senso di vita vissuta prima di viverla, un’idea di passato familiare nella vertigine gelida dell’imprevedibile.
Partito dalla terra dei post-umani nell’anno solare ****, durante un faticoso viaggio nelle terre della Patagonia, lì dove aveva per la prima volta avvertito l’insostenibile peso del corpo, un’ipertrofia da stress, lo aveva definito. Le mani, in particolare, si erano estese nello spazio terrestre come protesi palmari fino al punto da inglobare il corpo, il corpo esile, puntuto come un uncino ancorato ai piedi, enormi anch’essi, e gommosi. La testa, poi, neppure le grandi mani potevano contenerne il groviglio di filamenti nervosi e grigia melma cerebrale in perenne caos. Doveva riparametrarsi ogni volta: 54° 39’ 53.77’’ S, 65°19’46.51’’ O m. 44. La strada, dopo le alte bianche cime invalicabili allo sguardo, suggeriva ora piccole deviazioni per la natura del terreno, uniforme per tutto lo spazio che si apriva quasi privo d’orizzonte dinanzi ai suoi occhi torturati dal vento. In alto un cielo dalla luce intensa, implacabile. Miguel gliene aveva parlato come dell’estrema culla della terra, dove si può perdere ad ogni passo il senso del tempo e dello spazio. Si portava dietro le chiassose vie di Buenos Aires, come un viatico nel pellegrinaggio verso il silenzio antartico; per questa paura di perdersi nel nulla dell’estrema Tierra de fuego, lasciava che a tratti affiorasse dal suo zaino la polvere dell’uomo che 11.000 anni prima aveva visto quello stesso cielo, ne aveva aspirato il vento e patito la luce perenne. Si fece una promessa.
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capitolo
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02
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Aldous Writer
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Asian Lednev
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AtmaXenia Giha
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Azzurra Collas
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Margye Ryba
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piega Tuqiri
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Sunrise Jefferson
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Susy Decosta
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MacEwan Writer
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Alzataconpugno Tuqiri
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Deneb Ashbourne
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Titty Thor
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Capitolo 2 di Azzurra Collas
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Lauriana si stropicciò il lobo frontale destro dal quale stava guardando l’ultima performance di Astrolabia, l’artista assoluta dell’emisfero destro del mondo siderale. Lo spazio in cui si muoveva Astrolabia sembrava non avere confini, come un filo sottilissimo, reso quasi opaco dall’imminente tramonto lunare, un fluido fiume di memorie avvolgeva l’equatore celeste. Astrolabia conosceva a perfezione l’arte di risvegliare da quel fiume indistinto attimi bloccati in immagini vive. Lauriana ne era affascinata, il suo potere, il potere della sua arte, dava spessore e colore al piatto emisfero in cui sopravvivevano gli umani. Ormai 1833 anni, pensò Lauriana, trascorsi da quel lontano 2007, quando l’esplosione dei 1000 pozzi petroliferi della Basilicata, ultimo folle gesto di terroristi che sarebbero rimasti impuniti, aveva avvolto il pianeta in una nube grumosa, veleni e veleni di cui tanto si era detto. Sospetti in un luogo periferico della memoria in formazione, e appena affioranti. Pensò che avrebbe potuto riallineare i tempi e riprendere quell’azione interrotta dalla violenza di uomini che avevano fatto del giusto desiderio del rispetto della loro terra un motivo di morte senza scampo. Sospetti in un luogo periferico della memoria in formazione, e appena affioranti. Non poteva non ripercorrere, con l’angoscia del sopravvissuto, le news che s’intrecciavano come impazzite per il mondo annerito dalla pioggia di particelle di petrolio, lugubre avviso di morte che si posava su tutto e tutti. Quanto tempo c’era voluto perché il mondo si riprendesse da quel terrificante bagno nero. La Basilicata ne avrebbe portati i segni per sempre, come un cupo mantello, dove neppure la memoria poteva trovare spiragli di luce. Sì, lei avrebbe potuto farlo, avrebbe potuto sollevare quel mantello e ripartire di lì per riprendere le indagini, ma cosa sarebbe cambiato per le generazioni scomparse, per le città mute, per quelle gocce di memoria che vagavano nel cosmo come inutili scorie di un tempo che nessuno rimpiangeva. Lauriana pregò dentro di sé che Astrolabia la lasciasse libera di perdersi nel nulla… Ma intanto la memoria le imponeva, caparbi ospiti suo malgrado, un’immagine e un nome. Lorenzo, il netective, nella cui memoria Astrolabia poteva penetrare e agire. Ecco, sì, era stato nel Michigan, a quella straordinaria conferenza sullo stato delle società postpetrolifere che ne aveva sentito il nome per la prima volta, per un effetto d’eco la sua voce era entrata nel suo lobo mentale sinistro, un’intonazione tra l’umoristico e il tragico che aveva messo in moto quanto restava delle sue corde emotive. Da quel momento si era stabilito come una sorta di legame elettivo tra Lorenzo e Lauriana, anche se Lorenzo, ovviamente, non ne sapeva nulla. Ma gli echi emotivi si diffondono oltre ogni volontà individuale, pensò Lauriana, ripetendosi le parole di Astrolabia. E così senza neppure saperlo cominciò ad attendere… Astrolabia aveva compiuto il miracolo che solo l’arte può compiere: un tempo e uno spazio paralleli costruiti in un luogo mentale, tra l’orizzonte di Utòpia e quello di Astolfo, un sogno, o un incubo, cui seguiva al risveglio un accesso di tosse e lacrime lacrime lacrime, residui di umanità che trasudavano per un effetto di memoria genetica dai microcips periscopici al culmine della sua fronte. Astrolabia la fissò mentre la fissava, aspettò che la visione si placasse e che tutto tornasse all’indistinto e che dai bronchi di lei riprendesse il flusso catramoso del respiro. - Interrompere il collegamento - ordinò alla memoria - chiudere il programma. Shoot down -. Astrolabia ripiegò Lauriana e si allontanò già pensando alla prossima installazione. Là attendeva Asian, sull’orlo grumoso del mare di Utòpia
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Capitolo 2 di Sunrise Jefferson
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Il ticchettio della tastiera, secco e ipnotico, scandiva il passare del tempo mentre il traguardo si faceva via via più nitido. Scriveva di sé e del suo alter ego, scriveva di ciò che era e di ciò che avrebbe voluto. Un’ambulanza tagliò l’aria fresca della notte e lacerò il foglio dei pensieri di Asian. Si fece un altro caffè, portando quasi istantaneamente la velocità del suo cuore in sincronia col battito vitale della tastiera. Voleva raccontarlo, doveva raccontarlo a tutti quell’amore simbiotico con la sua Torre. Quell’amore strano, solitario e rugginoso che lo aveva spinto a partorire, come un ventre e un simbolo fallico assieme, l’altra Torre. Una Torre sospesa nel tempo, così piena di significati da essere quasi troppo in una notte sola. Claustrofobica come il collo di un utero che non si dilata mai, di cui vedi la fine senza riuscire a raggiungerla. Ad anelli, come il faticoso incedere di un serpente che compie il miracolo del movimento senza arti. A doppia camera, come una procreazione isolata e stagna. E bianca, come il latte materno, sieroso e dolce. Asian partorì quella notte; partorì un simbolo evidente e vitale, e lo regalò. Asian era ancora immerso in un silenzio sospeso quando arrivò, prodromo di un evento puntuale e ineluttabile, il ronzio sordo del bracciale d’identificazione. “Presentarsi controllo identificazione semestrale”, scorreva sul display. Una corrente sgradevole percorse il sensore del bracciale, che si spense lasciando nella bocca di Asian una traccia metallica. Quasi a ricordagli che non poteva scappare. Doveva fare tutto in pochissimo tempo, prima di tornare a essere colui che gli altri conoscevano. Quello che gli altri credevano di conoscere. Iniziò a muoversi in fretta, radunando i supporti digitali che costituivano, di fatto, il suo regalo a quello strano mondo. La sua Torre doveva essere consegnata a chi ne avrebbe avuto cura. Come un testamento spirituale, un ossimoro acceso e stridente in una realtà che non prevedeva spirito né morte. Compose il codice di accesso alla comunicazione virtuale. Il terminale rispose immediatamente: “Selezionare nome avatar richiesto”. Asian digitò rapidamente un nome. Non un nome a caso, ma il nome dell’unica identità che gli avrebbe assicurato la difesa delle sue creazioni. Che gli avrebbe forse consentito, con un po’ di fortuna, la sopravvivenza in cui Asian sperava. Uscì correndo, accolto dalla luce incerta dell’alba, nel momento in cui tutto è ancora, e allo stesso tempo non è più. Si diresse verso l’imbocco della galleria di trasporto, il torace coperto dal guscio rigido nel quale custodiva il suo personale tesoro. Doveva arrivare in tempo, prima che il secondo avviso del bracciale d’identificazione gli imponesse la visita al Terminale di Land. Riuscì a salire sulla navetta pneumatica un istante prima che il sibilo, come un lungo rantolo, chiudesse il passaggio. Si agganciò al sostegno verticale e sopportò il contraccolpo della pressurizzazione della navetta. Via, via velocissimo come i pensieri, come la paura, come l’inizio e la fine. Via verso la meta. No, rifletté, non verso la meta… solo verso il prossimo capitolo di una storia, pensò, che sembrava non finire. Che sembrava non avere capo né coda ma, ne era certo, si sarebbe ricomposta come un mosaico antico. Fatto di minuscole tessere cangianti come, sorrise fra sé, i raccordi a reticolo della sua Torre.
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Capitolo 2 di Deneb Ashbourne
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La sporcizia si era accumulata sopra il davanzale: Regina sapeva che quello non poteva essere l’inizio di una buona giornata. Dalla finestra arrivava il ticchettio delle gocce di pioggia, che Riza pareva ascoltare con la sua solita smorfia arruffata. La notte era stata particolarmente avara e non c’erano nuove indicazioni da seguire sulla mappa. Forse era il caso di prendere una decisione, ma nessuno era in grado di proporre la direzione da seguire. Le relazioni all’interno del gruppo si erano sfilacciate e nessuno aveva seriamente intenzione di farsi carico di riportare a bordo l’attenzione di tutti. Bivaccavano, in attesa di qualcosa che avrebbe smosso gli animi e i corpi da quella specie di palude. Era successo senza un motivo preciso, per un lento affievolirsi dell’interesse, dell’entusiasmo. Non che le persone avessero smesso di essere com’erano. Semplicemente ciascuno aveva intrapreso una propria via di fuga, all’inseguimento di sé, non rendendosi conto che questo, a lungo andare, avrebbe disperso il gruppo. Cosa che Regina proprio quella mattina aveva cominciato a realizzare. Tirò una leggera pedata al gatto e decise di rimettere in ordine la stanza. Betta la senza paura non si era fermata neanche un istante quando la guardia aveva intimato l’alt. Betta la senza cervello aveva scordato che quel giorno non era da sola ad attraversare il posto di blocco: la sua spavalderia avrebbe certamente creato problemi ai suoi compagni di viaggio. Ryan le lanciò un urlo soffocato. Il colpo di avvertimento risuonò secco, nello spazio aperto illuminato dal mezzogiorno senza ombre. Betta continuò a camminare. Era concentratissima. Poche centinaia di metri separavano il gruppuscolo dalla torre di guardia. Betta era a circa metà strada. Nessuno fiatava. Partì il secondo colpo. Ryan coprì velocemente la distanza e la agguantò, portandosela via di peso. Indietreggiò fino al limite di sicurezza dove erano rimasti gli altri. La voce della guardia arrivò gracidante attraverso il megafono. Non comprendevano la lingua, ma era ben chiaro a tutti il significato di ciò che diceva. Qualcuno dal gruppo si era messo a sventolare un fazzoletto bianco. La camionetta arrivò in un lampo: i guardiani ritirarono i documenti di tutti e dissero loro di aspettare, mentre portavano via Betta e Ryan Quel giorno da lì non sarebbe passato più nessuno.
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Capitolo 2 di AtmaXenia Giha
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Aprì gli occhi all’improvviso. Venne colpito da una luce bianca accecante ed ebbe la sensazione che qualcuno gli avesse scagliato dentro una manciata di sabbia. Li richiuse immediatamente, ma la sensazione di forte bruciore non cessò. Solo alle prime lacrime quel fuoco si calmò lievemente, lasciandogli così la possibilità di formulare un pensiero compiuto. E ricordò così di avere sognato molto, ma senza ricordare quasi nulla, a parte qualche frammento ed una lettera dell’alfabeto, la A che però al momento non gli suggeriva assolutamente nulla. Si guardò intorno, era tutto lucente, di un bianco accecante. Lui stesso era di un colore così candido, che pareva trasparente. Nessun rumore. Nessun suono. Nessuna forma vivente tranne se stesso. Così passò del tempo, poco o tanto non vi fu modo di capirlo, nessuna connessione tra la dimensione spazio temporale e i suoi processi cognitivi. E fu una lunga e ovattata attesa, tra veglia e sonno, sospeso tra il sogno e la proiezione olografica di sé, in un ondeggiante viaggio nel torpore. Quando entrarono, si presentarono come medici e spiegarono che quello era un ospedale. Con molto tatto e una gentilezza che era visibilmente ostentata, gli raccontarono di un terribile incidente aereo di cui gli unici sopravvissuti erano lui e un ragazzo, che era in cura in altro centro medico, in una città lontana. Loro erano lì per dargli un sostegno terapeutico anche dal punto di vista psicologico, per aiutarlo a reinserirsi nella vita di tutti i giorni e a ritrovare la memoria, un passato e forse una famiglia. Gli spiegarono che avrebbe soggiornato presso il centro fino a cura completata. Passarono i primi giorni, le prime cura fatte di pillole e domande, esami clinici per il corpo e test per la mente, domande alle quali lui non poteva per ora rispondere, sebbene, nella notte, più di un incubo lo avesse destato, lasciandogli altri frammenti di memoria, schegge di vita sconosciute. Nelle settimane successive, cominciò a fare qualche passo nel giardino del centro, curato in modo maniacale da sembrare persino sintetico, l’aria fresca dell’inizio primavera, i profumi e i rumori, giungevano nella sua mente come piccole iniezioni senza dolore. Di notte invece i sogni, tanti, confusi, mescolati e psichedelici, da lasciarlo spossato e tremante, seduto sul bordo del letto. Sognò, seppure non in modo sequenziale, un mare immobile, le rovine di una città, una strada deserta e un paesaggio assolutamente inusuale e in perenne metamorfosi, sia nelle forme sia nei colori. Nel frattempo, aveva fatto conoscenza con i ragazzi che tutti i giorni passavano di là accanto alla recinzione dell’ospedale, per andare in una piazzetta dove si radunavano abitualmente. Uno si presentò sorridendo, disse di chiamarsi MacEwan Writer, Mac per gli amici. E Xxanty dopo un po’ si sentì anche lui, amico loro.
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Capitolo 2 di Titty Thor
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Stelle…. un centinaio di piccoli pallini luminosi su uno sfondo scuro....piatto, senza profondità. La camera girava lentamente spaziando tra quelle stelle artificiali quasi seguendo il ritmo della musica in sottofondo. Con lo sguardo incollato allo schermo Fabrizio dotava Asian di ricordi, i suoi: dei cieli nerissimi sperimentati nell’infanzia. Il frinio incessante dei grilli che sembrava vibrare sulla superficie lasciata scoperta del suo corpo di bambino, l’odore umido dell’erba calda e sudata dall’arsura appena trascorsa, un refolo di brezza leggera inspirato dal lento alito della terra e quel buio, quel nero immenso e ignoto punteggiato da una marea di mondi lontani… Ah! Che emozione intensa stava trasmettendo al suo avatar! Sentirsi un granellino di polvere, un’insignificante goccia d’acqua dispersa in un’immensità raggelante e infinita; minuscolo pezzettino biologico stupefatto dalla propria consapevolezza di esser parte di quel tutto… Sullo schermo balenò la finestra di un messaggio privato: - Ciao, scusa se ti disturbo, volevo chiederti una cortesia… - La cam si mosse inquadrando le spalle di Asian e l’avatar femminile che gli stava di fronte. Caschetto nero, minuto e piccolo con i vestiti in dotazione ai nubbie. Avrebbe dovuto segnalare che Asian era occupato, accanto al nome… - Dimmi - Digitò lentamente sulla tastiera. - Sono nuova, sai… ed anche un po’ spaesata. Mi hanno detto che ci sarebbe stato un incontro d’orientamento per nubbie da queste parti, ma non c’è nessuno oltre a te… - I color arancio dei capelli arruffati di Asian risaltava luminoso nel buio della notte: Fabrizio era stato attirato proprio da questo contrasto grafico nella scelta della capigliatura del suo avatar. Gli era sembrato quasi assurdo dotare di capelli tanto eccentrici quel suo omiciattolo esile e pallido così diverso dalle sembianze umane che in genere i frequentatori di Second Life adottavano per i propri aitanti e muscolosi avatar. - Scusa… ti ho disturbato, mi spiace… - La nubbia appariva a disagio dal prolungato silenzio di quel buffo avatar seduto su una panchina in mezzo alla piazza. Si girò guardandosi intorno demoralizzata e fece qualche passo verso una fontana, cercando di visualizzarla meglio. - E' una land poco frequentata, non credo sia questo il posto che cercavi… - La ragazza si girò in direzione di Asian, stupita della tardiva risposta. Sorrise e, caparbia, provò ancora a impostare un dialogo: - Sì, credo proprio di aver sbagliato posto. Ma tu che fai qua tutto solo? - Asian si rizzò in piedi, irrigidito. Maledette buone maniere… non aveva proprio voglia di far conversazione! La nubbia non attese risposta e continuò briosa: - Questo è un posto molto singolare, vero? Ha un’atmosfera particolare e mi sembra anche ben costruito, per quello che ne posso capire! Sai sono qui da pochissimo ed è tutto strano, un'atmosfera suggestiva, non trovi? - - Già - Le dita di Fabrizio digitarono automaticamente sulla tastiera. - Però si adatta a meraviglia al tuo avatar, sembri uno spiritello dei boschi! Io invece non sono ancora riuscita a modificare il mio aspetto, è tutto così complicato! Per esempio, non ho ben capito come si fa a indossare dei vestiti. Ne ho scovati alcuni andando in giro, ma non so proprio come farli uscire dalla scatola… - Sorrise e Asian si ritrovò, stordito da quelle mille parole, a spiegare nel dettaglio come fare a tirar fuori un abito virtuale da una scatola virtuale per farlo indossare a un pupazzo virtuale. Spiegava con garbo, cercando di non adottare tecnicismi poco comprensibili a chi non era avvezzo all'uso di quel software. Le continue interruzioni e le domande ingenue e a volte impertinenti di quell’avatar ciarliero produssero in lui uno strano effetto: Fabrizio si stupì nel sentire irrigidirsi i muscoli del suo viso. Incredulo alzò una mano posandola sulle guance irruvidite dalla barba: un ghigno, un abbozzo di sorriso stirava le sue labbra. Girò la cam per guardare Asian, i lineamenti immobili, lo sguardo fisso… nessuna emozione. Decise che quello sarebbe stato il suo prossimo impegno, dotare Asian di una mimica.
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Capitolo 2 di Margye Ryba
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La piazzetta della land era accogliente con quelle tre palme innalzate al centro del quadrato delimitato da un muretto di mattoni. I ragazzi si ritrovavano sempre lì ogni volta che volevano trascorrere un momento di relax e non sapevano dove andare. Di solito dopo alcune battute scambiate ora con un avatar, ora con l'altro, si davano appuntamento sempre nello stesso posto nella stessa land, alla discofloor, dove avrebbero ascoltato musica e avrebbero ballato fino a tarda ora. La mattina, quando capitava di andare allo stesso posto della sera precedente, lo scenario cambiava, la luce del giorno si rifletteva sulle mura bianche dei negozi e delle case creando un'atmosfera diversa, la luce quasi accecava e faceva perdere il senso di intimità della sera precedente. Il primo pensiero dei ragazzi, al mattino, appena arrivati, era quello di andare sulla spiaggia, dove in costume avrebbero potuto prendere il sole e mandare messaggi qua e là agli amici dispersi in chissà quale land di Second Life. La spiaggia bianchissima contrastava con il colore azzurro intenso del mare, la schiuma bianca delle onde si posava dolcemente e con ritmo regolare sulla riva. Da lì si poteva osservare anche il circolo nautico della land, un posto che sarebbe diventato sempre più caro a Melany, lì, oramai, aveva costruito la sua seconda casa, la sua barca, l'aveva dipinta con cura, le piaceva, dopo essersi esercitata con la vela, allinearla alle altre barche sul molo e mentre si allontanava, spesso si girava indietro per vedere fino a dove la sua barca si sarebbe distinta dalle altre, con quei colori particolari, solo osservando la randa si poteva ben comprendere che quella era la vela di Melany. - Stasera non ci raduneremo alla dancefloor” - disse Emanuela, la ragazza che informava gli amici sulle novità della land -andremo tutti sull'isoletta di fronte alla spiaggia. Ci sarà un bel fuoco acceso e ascolteremo buona musica sotto il cielo. -. L’idea piacque molto a Melany, le piacevano quelle serate tranquille con gli amici a chiacchierare nel buio illuminato appena dalla luce del fuoco scoppiettante. Tutto si trasformava in quella atmosfera intima, persino i volti degli avatar sembravano diversi, le fiamme distribuivano i loro riflessi luminosi su ognuno di loro, Melany quasi stentava a riconoscerli, si divertiva a cercare di capire chi potesse essere ora l’uno e poi l’altro, fino a che la loro voce non li identificava chiaramente, tutti avevano da dire qualcosa, prima o poi, anche solo per ridere un po’. Melany aveva notato che solo uno dei presenti non aveva aperto bocca, si chiedeva chi fosse quel signore distinto e silenzioso, la colpivano in particolar modo quei capelli bianchi raccolti dietro in un codino e la barba grigia. Era sicura di avere già incontrato quell’avatar, il suo nome, Asian, le risultava familiare, ma di lui non sapeva niente, chissà, forse erano stati presentati a qualche riunione, ad uno dei soliti corsi che si tengono in Second Life, ecco, sì, ora lo ricordava bene, lo aveva intravisto al corso di scrittura, non aveva scambiato neanche una parola con lui, ma aveva avuto la sensazione che in futuro lo avrebbe conosciuto profondamente, non che si aspettasse chissà cosa, ma a volte le donne hanno delle strane percezioni, sì, Melany era sicura che quell’avatar con i capelli bianchi e la barba grigia prima o poi si sarebbe presentato nella sua vita.
Fino a sei mesi prima Asian non avrebbe mai creduto di ritrovarsi in un mondo come quello di Second Life o Seconda Vita, come amava definirla lui, che era poco avvezzo ad utilizzare locuzioni proprie dell’inglese entrate a far parte della lingua italiana. Asian, per sua natura, rifuggiva da tutto ciò che era troppo popolare, troppo alla moda, era così da giovane e lo era ancor più ora alla soglia dei suoi settant’anni. Ripensava spesso a come nell’arco della sua vita i tempi e le stagioni erano cambiati in modo così repentino da non aver avuto neanche il tempo di adattarvisi. Mai avrebbe pensato, Asian, di fare uso, nella fase finale della sua vita, di una macchina che elaborasse informazioni e dati, di tenerla sempre appoggiata sul letto d’ospedale in cui stava e che lo avrebbe fatto compagnia durante i giorni bui che si presentavano. Quella macchina lo sconcertava e lo attirava, spesso, quando sapeva di non essere visto da nessuno, ci dialogava persino in quella stanza bianca e asettica. Strano a dirsi, la vitalità gli arrivava da lì, da quell’arnese elettronico, da dove poteva interagire con altri suoi simili in un mondo virtuale chiamato Seconda Vita. Spesso ripensandoci, comprendeva che oramai quel legame ombelicale era diventato frustrante e affascinante al contempo, quella macchina gli faceva amare la vita come mai era accaduto in quei suoi miserevoli settant'anni anni, proprio ora che i medici non gli avevano dato molte speranze. Il suo male avanzava sempre più e i mesi che gli restavano da vivere erano pochi, dannatamente pochi. Cosa ne aveva fatto della sua vita? Questa domanda oramai rintronava come una campana di morte nella sua testa e la risposta che si dava era sempre la stessa , gli pesava come un macigno sul petto e non poteva liberarsene. Solo ora, Asian comprendeva bene che nella vita gli era stato offerto di tutto ma lui non aveva saputo fare buon uso dei giorni favorevoli che si erano presentati. Se solo fosse stato meno egoista, ora, avrebbe una moglie devota e una figlia affettuosa che gli avrebbero recato gli ultimi conforti, quelli che non si negano neanche al peggiore criminale nei momenti finali della sua vita. E invece, era li, solo con la sua desolazione, con il suo egoismo e una macchina che lo affliggeva facendogli venire il desiderio di vivere. La mente di Asian andava a sei mesi prima , quando inaspettatamente ci fu una visita per lui. Un uomo di cui si ricordava bene, erano stati amici di gioventù, Giorgio De Lorenzi, si erano entrambi sposati, per altri sette anni si erano frequentati, le loro figlie crescevano insieme, andavano alla stessa scuola, ma con il tempo avevano perso i contatti. Ora lui era lì e Asian non capiva come avesse fatto a rintracciarlo, visto che lui, con il passato, con quel passato, aveva tagliato i ponti. - Ciao Asian, sono contento di rivederti, anche se avrei preferito vederti in circostanze diverse. -. Asian leggeva l’imbarazzo sul suo volto, quel tentativo di apparire disinvolto, le frasi dette a metà tra un sospiro e l'altro rendevano l’aria della stanza ancora più irrespirabile. Tuttavia era felice che qualcuno si fosse ricordato di lui, ma perché qualcuno avrebbe dovuto ricordarsi di lui, cosa aveva mai fatto lui per gli altri? Niente, anzi, meno di niente, soprattutto per i suoi cari, per sua figlia che aveva abbandonato insieme alla madre. Ora, prima di morire, avrebbe pagato chissà cosa per avere notizie di sua figlia, lo desiderava da tempo, ma non aveva il coraggio di cercarla, di vedere come era diventata, come era cresciuta senza il suo papà che un tempo amava tanto e che ora sicuramente detestava. No, non era possibile vederla, lei non avrebbe mai accettato, e poi perché incontrarla? Per farle vedere come il padre si era ridotto? No, semmai un giorno l’avesse vista, si sarebbe accontentato di vederla da lontano senza farle pesare la sua presenza.
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Capitolo 2 di Asian Lednev
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D’un tratto non avevi più tanta fretta. D’un tratto tutta la torre vuota, per via di quell’unica parola nuova, sembrava più calda e accogliente.
Lattigine.
La parola l’hai vista comparire così, all’improvviso. Senza che nessuno ti inviasse un istant message. “Così doveva essere, comunque”. Hai pensato. Ti sei seduto in cima alla torre, sull’orlo del precipizio. A duecento metri di altezza. Lo sapevi che ti avrebbe accolto il vento ma sapevi anche che non avresti sentito freddo. Sopra l'acqua, quasi nera, resa scura dalla notte perenne, trascorrevano nuvole di fumo e nella tua immaginazione comparvero lastroni di Gihaccio. Avresti voluto sentire freddo. Ma non puoi. Certo sapevi che se anche tu fossi caduto non ti saresti fatto nulla. Le tue membra sono fatte di cartilagine digitale. Nel contempo hai riflettuto su quanto è stato detto a proposito di un poeta classico che aveva “dato un’impressione di nobiltà persino mentre si tagliava le unghie”. Hai dubitato che di te si potesse dire lo stesso… tu non hai le unghie, non puoi sentire freddo, non puoi perdere il tuo corpo. Ma puoi perdere il linguaggio. E io con te. Da quando tu esisti lo sai, io sto perdendo il linguaggio. Ogni parola parlata annunciava la prossima e in questo si fondeva creando un linguaggio unico incomprensibile. Per questo ti sei ritirato nella torre o per meglio dire mi sono ritirato in te. Ogni nuova parola che ti si formava sotto lo scorrere delle dita ti scollegava dal linguaggio. Mi scollegava dal mondo. Fino a quella parola comparsa sulla parete della torre.
Lattigine .
Hai cominciato da quella parola a ricostruire il mondo delle parole, una in fila all’altra. Ogni parola ha comiciato a richiamarne un’altra. Ad ogni parola hai tirato un sospiro di sollievo e questo ti ricollegava al mondo. Stavi fermo, sospeso, per tempi insolitamente lunghi. Era come se tu, la cui attività non prescrive nessuna regola di vita avessi bisogno di una idea per procedere. A pensare alle parole. E io qui a guardarti. Ogni parola che ritrovavi sulle pareti, che si illuminava e si lasciava leggere era un segno che “il mondo ritornava a te”. Soltanto questo, la riscoperta di una parola, era sufficiente a farti arrivare al mattino seguente, senza che ti dovesse accadere più niente
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Capitolo 2 di MacEwan Writer
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Passavo con fare noncurante in quella land della quale non conoscevo il nome. Il teleport spaziotemporale basandosi sui dati tratti dal PowerX mi aveva mollato proprio lì. C’era una piazzetta popolata di giovani. Del resto, praticamente tutti gli Avatar erano/sono/saranno sempre giovani. Anzi. Col tempo il loro aspetto migliorerà, la loro possibilità di movimenti realistici si amplierà profondamente. E questo era uno dei miei problemi. Speravo che nessuno mi rivolgesse la parola. Sulla mia testa non era illuminato il pallino della conversazione audio disponibile. Il mio nome compariva in giallo, avevo preso uno di quelli disponibili, lo avevo scelto a caso, quindi apparivo come William Hirvi. Ridacchiavo tra di me, in finnico Hirvi significa “Alce”. Questa volta avevo esagerato. Mi muovevo non solo in un altro tempo, ma in uno spazio virtuale vagamente retrò, definito discretamente ma nel quale i movimenti degli Avatar erano ancora rigidi e palesemente limitati. Lì, non era ancora conosciuta la customizzazione del proprio Avatar attraverso componenti fotografiche tridimensionali. Del resto, storicamente erano ancora i tempi in cui Marco Manray scattava foto alla ricerca dell’aspetto originale, preistorico, primigenio della realtà virtuale. Era come assistere alla Storia in diretta. Già. Questo si dice sempre per i viaggi nel tempo, è banale. Ma io non viaggiavo nel tempo nell’universo reale, nè in uno controfattuale come aveva fatto quel mio amico italiano, il professor Foscari. Io viaggiavo nel tempo in un Universo sintetico. Ovviamente avevo i miei buoni motivi. Buonissimi. Però ero costretto a vivere in uno stato semi-confusionale, avevo crisi di confusione e di identità frequenti. Non stavo conducendo la mia solita indagine sospesa tra RL e VR. Si trattava di qualcosa di più. Molto di più. Facendo il disinvolto squadravo i nomi degli avatar, sospesi in modo primitivo sulla loro testa Fortuna che era così, in quell’epoca. Non avrei mai potuto capire chi fosse Asian Lednev dalla foto che mi aveva fornito il Power X. La consultai dal mio inventario: Asian aveva capelli rossi. Invece adesso aveva capelli grigi, un codino e la barba. Una delle cose che destavo di queste prime esperienze di RV era l’abitudine da parte degli Emissari di cambiare continuamente l’aspetto dei propri Avatar. Una cosa che faceva capire l’anelito sperimentale e di divertissement che animava la primitiva RV. Una cosa che successivamente sarebbe diventata a malapena tollerabile, per tanti motivi.... Vabbè. Oggi Asian appariva così. Probabilmente avrebbe cambiato ancora: speravo tornando ai suoi aspetti abituali, coi capelli rossi o con quelli Manga. Ma per quanto ne sapevo avrebbe anche potuto cambiare capelli ogni giorno... -MacEwan! MacEwan sveglia!- Aprii gli occhi e mi trovai di fronte il rettore Campbell in tutto il suo dignitosissimo splendore, chinato sul mio volto, verso la poltroncina pieghevole. Mi ci vollero un paio di secondi per compensare lo shift tra RV e RL. Nel frattempo lui mi scuoteva per le spalle. - Che mi venga un colpo, MacEwan! Vuoi fare la fine di quel tizio che hai ritrovato morto un po’ di tempo fa?- Non ne avevo alcuna intenzione, ovviamente. Il Rettore si riferiva al caso del cosiddetto “naufragio”, un tizio che si era attaccato a un potentissimo software sperimentale di “immedesimazione”, e si era praticamente lasciato morire di inedia pur di non distaccarsi dalla RV. Nel frattempo mi ronzavano per la testa alcune parole in loop tipo “Asian”, “Basilicata”, “Second Life”... Campbell mi fissava con disapprovazione. -E questa sarebbe un’altra delle tue... “indagini”?- -Uhm, credo di sì.- - E si potrebbe sapere, di grazia, di cosa ti stai impicciando in questo momento?- Ero un po ‘ in difficoltà nel rispondere. - Lei ha presente la Basilicata?- - Credo di sì...Italia... Ma cosa c’entra?- Ci pensai un attimo, mentre mi liberavo lentamente da elettrodi e occhiali. - Al momento non lo so.- - Lorenzo MacEwan, sei un collaboratore piuttosto difficile da gestire! Comunque datti una mossa, perché all’Università stiamo subendo un attacco digitale e abbiamo bisogno del tuo intervento urgente per capirci qualche cosa!- Emisi un grugnito. Ci mancava anche quella, proprio mentre io ero impegnato in un caso di importanza più che mai vitale. Aprii provocando un sibilo una confetazza di caffè readymade, la ingurgitai scottandomi la lingua, afferrai il mio giaccone di pelle nera e mi avvia alla porta. -Andiamo- dissi a Campbell.
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capitolo
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03
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Aldous Writer
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Asian Lednev
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AtmaXenia Giha
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Azzurra Collas
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Margye Ryba
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piega Tuqiri
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Sunrise Jefferson
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Susy Decosta
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MacEwan Writer
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Alzataconpugno Tuqiri
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Deneb Ashbourne
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Titty Thor
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Capitolo 3 di Sunrise Jefferson, Margye Ryba, Asian Lednev, Alzataconpugno Tuqiri, AtmaXenia Giha, Azzurra Collas, con Deneb Ashbourne, Aldous Writer, Ginevra Lancaster
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L'isola di Asian ci accoglie. E' un lunedì, solita riunione per il romanzo collettivo. Ma oggi non è un lunedì qualunque, oggi siamo sull'isola del romanzo. Ci lasciamo tentare dallo spazio sinuoso della torre istoriata di parole, lunghi legamenti di lettere riflettono pensieri e azioni e immagini che le hanno generate, ne ricerchiamo il verso e la direzione, finché non ne scopriamo il posto nell'ordine logico che le ha bloccate lì in una catena di senso. Penetriamo alla base la torre, è phantom, la scaliamo flying e poi ci lasciamo cadere giù, più e più volte, mentre, dispersi nel cerchio lattiginoso, ci cerchiamo in chat come per timore di perderci e di non completare insieme quel rito d'iniziazione ad uno spazio e ad un tempo che ci contiene con leggi proprie. Poi la lasciamo, la torre istoriata di parole, guscio vuoto della nostra anima-tartaruga, per una più domestica piattaforma trasparente, che Asian ha lanciato come una rigida amaca da cima a cima. Qui sulle poltrone colorate, il fuoco acceso, l'orizzonte segnato da un improbabile vulcano di un altro orizzonte, focalizziamo l'importanza del punto di vista nella dinamica del racconto. Caffè d'obbligo, per essere umani oltre ogni ragionevole dubbio. Odori, voci, miagolii sconfinano dal mondo reale. Il silenzio dell'isola sconfina nel rumore di fondo della nostra vita reale. Stiamo scrivendo. Da un voice lasciato aperto un respiro regolare e quieto scandisce il tempo della scrittura. Notecards, come biglietti aerei verso il possibile, attraversano spazi individuali per depositarsi sullo schermo collettivo.
La piattaforma era spazzata dal vento. Vento freddo, vento largo, a tratti scaldato da una fiamma lontana. Vento denso. Restavo in ascolto cercando le voci che dalle isole lontane avrebbero potuto essere portate verso di me. Cercavo storie nell'aria ma le parole non le trovavo. I paesi oggi non parlano più... tacciono e con loro il vento che li attraversa. Forse per questo motivo le parole vengono scritte sui muri, sulle torri. La piattaforma era così silenziosa che solo allora arrivai a capire che quel silenzio erano le parole dell'isola. (Asian Lednev)
Mi accoglie un tappeto reso soffice da frammenti di storie e di amicizie. Appoggiati, gusci colorati come arlecchini, fiori sfacciati che scuotono la sobrietà claustrale dell'isola silenziosa. Un cerchio di pupazzi perfetti nasconde vite profumate di pane e di dubbi. Mi siedo e accetto un caffè, caldo di pensieri. (Sunrise Jefferson)
Sono circondata da persone, mi sento più isolata della stessa isola su cui sono. Non capisco quello di cui parlano, le voci mi giungono spezzettate, sento il mio cuore schiacciato in una morsa ed ho solo una enorme voglia di piangere. Mi chiedo ancora perché sono qui, il senso di vuoto che percepisco non è dato dal vuoto che vedo attorno a questa isola, no, è dentro di me. Dicono che la ragione esiste, anche se non la trovo. Ma sapere la ragione di tutto questo, aiuta forse a cambiare la situazione? Potrei trovarmi anche in un bellissimo paradiso, ma mi sentirei allo stesso modo. Vorrei tanto che questo momento passasse e andasse via per sempre, ma so che puntualmente ritornerà. Ecco le mie sensazioni, avrei voluto dire cose diverse, ma ora mi sento così e non ce la faccio a scrivere cose diverse. Il vuoto che sento dentro è più grande di quello che vedo attorno a quest'isola. (Margye Ryba)
...sperduta, lo spazio è noto, sembra un ritorno. E' tutto come me lo immaginavo, ma mi è difficile orizzontarmi. quello che vedo non sembra rassicurarmi. Mi mancano i rumori, gli odori. Sono io che non li percepisco? o sono assenti? posso osservare il mio corpo dall'esterno, si muove goffo, a scatti. Ecco, non sono più sola, ma... chi mi raggiunge, due donne eleganti e bellissime, inespressive, mi trapassano con lo sguardo e io mi rendo conto di non essere sicura di poter comunicare con loro. Mi si piantano davanti, anche io mi fermo, il loro corpo ondeggia, come il mio. Non posso... (Alzataconpugno Tuqiri)
Quando mi avevano posato sullo scoglio, all'ingresso della spiaggia, il mio orizzonte era cambiato di molto. Abituata ad osservare la soffitta scura della vecchia casa e a respirare l'aria polverosa della stanza dove si erano accumulati per anni strati di denso pulviscolo, aveva fatto fatica ad abituarmi alla nuova collocazione. Ora le onde del mare mi lambiscono la veste di pizzo ed i capelli, legati in una treccia bionda e spessa, paiono incollati. Ora vedo le stagioni scorrere dal mutare del colore del cielo. L'odore del pesce mi attirava verso quell'angolo nascosto del porto. Ricordo ancora bene le mani protese a raccogliermi, quando ormai piangendo, avevo perso l'orientamento. Mani callose e grandi che mi avevano preso delicatamente tra i palmi per depositarmi qui, con amorevolezza. Avevo spiato a lungo timoroso quel luogo senza azzardarmi ad esplorare, mentre con dolcezza venivo esortato, il porto era pieno di rumori e sempre pieno di barche in arrivo. Oggi osservo dall'alto di un bidone le persone discutere animatamente. Il mare si muove sinuoso ed accattivante. Il sole è quasi al tramonto. Il mio padrone allunga un dito e sfiora il mio naso e sento un profumo di sale. Erano anni che viaggiavo sui pescherecci. Anni che, faticosamente, giorno dopo giorno gettavo le reti nel mare. Il sole cuoceva la mia pelle e la stanchezza ogni sera si anticipava il suo tempo. Appena l'avevo vista, avevo capito che quella sarebbe stata la mia casa. I colori pastello e le stradine strette e scivolose, bagnate dall'umido della salsedine, il sorriso delle persone ed il mare sempre quieto, m'invitano come sempre alla riflessione. Raccolgo come sempre il minuscolo gattino abbandonato e la bambola posata sullo scoglio e torno, canticchiando, alla torre. (AtmaXenia Giha)
Come ci fosse arrivata era davvero un mistero. Qualcuno o qualcosa l'aveva certo portata lì, ma, come se non avesse avuto volume o massa o peso, l'aveva fatto senza nessuno sforzo. Si era sentita depositata lì senza peso, come una piuma, anche se poi in un attimo rapido e ingovernabile aveva toccato il fondo di una gola, e giù giù senza resistenza lungo la china della montagna. Nel fondo una sensazione di caduta, il piegarsi delle ginocchia, un leggero scuotersi dei fianchi, ma senza l'impressione di dolore né l'angoscia dello sprofondamento. Lei, che neppure osava guardare giù dal balcone sul ground zero della strada sotto casa giù giù in basso, dallo strapiombo del casermone di 13 piani. Bionde. Esili. Il corpo ben delineato sullo sfondo mosso dalle guglie e da quello strano profilo luminoso, intarsiato di parole. Una testa rossa di capelli a mazzetti, seduti diligenti, tazza di caffè in mano, desidero sentirne l'odore, arriccio il naso, che non si arriccia. Non riesco ad arricciare, eppure sono così mollemente stesa su questa poltroncina, allungo la mia mano, che non si allunga, ora mi brucio - dico - ma non brucio. Eppure brucio di curiosità, brucio di attesa. Tra poco entrerò nella torre e allora...(Azzurra Collas)
Deneb, Ginevra, Aldus oggi hanno scelto il ruolo di lettori, ascoltano in silenzio insieme alla torre, preziosi testimoni della nostra prima volta di scrittori collettivi sull'isola di Asian.
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capitolo 3 di Azzurra Collas
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Laura l'aveva colpita per lo sguardo sognante, davanti al pc acceso. Imprevisto, in un convegno di scienziati del nostro livello, aveva pensato e subito fissato l'evento, con la solita precisione scientifica. Imprevisto, in un momento così duro per l'Italia. Perché lei era italiana, questo le era chiarissimo. Quasi l'aveva invidiata per un attimo. Era andata a cercare nella sua vita, beh, nella vita della sua mente, un attimo in cui avesse smesso di pensare per cominciare a sognare. Ricerca vana. Essenziale, razionale, presente a sé stessa, piedi saldamente per terra e mente ancorata alla "verificabilità". Ricordava perfettamente la domanda di una scrittrice che le aveva dedicato il premio letterario "Parola di donna": - Professoressa Hack, cosa ha cercato e trovato tra le stelle? -. Ricordava che aveva risposto da scienziata, perché non sapeva essere altro, in fondo: - Le stelle sono ammassi gassosi, niente di più, quello che vi ho cercato e trovato è la verifica di teorie scientifiche intorno alle quali ho lavorato con i criteri della razionalità. -. In fondo si era pentita di quella risposta. Davvero non aveva trovato, o meglio cercato, nient'altro tra le sue stelle? Aveva dovuto continuare a rispondersi: - Nient'altro. Nient'altro che materia gassosa. Evvia. -. Dal comodo angolo della hall guardava Detroit espandersi in verticale, le torri perfettamente tornite del Detroit GM Renaissance Center sprofondavano nell'orizzonte del Michigan e sembravano oscurare le stelle di quella serata estiva. I manifesti ancora visibili dell'Electronic Music Festival completavano il panorama della città specchiata sui Grandi laghi. - Un caffè? Posso offrirle un caffè, professoressa? – Presa in contropiede, benché non avesse nessuna voglia di caffè americano, aveva risposto: - Sì, grazie... - Era la sognante che voleva offrirle un caffè. - Io la conosco, di fama, professoressa Hack, ho sempre apprezzato la sua rigorosità... - - Beh, non me ne vanto, non mi costa nulla, è il mio modo di essere, rigorosa dico, da scienziata. Comunque, piacere e grazie. -. Il caffè, avevano convenuto, era imbevibile, ma l'approccio era stato gradevole. Margherita aveva sempre amato i giovani, le piaceva dar loro fiducia, essere disponibile, saldare la loro voglia di nuove avventure alla sua voglia di riposo, ormai inevitabile. Gli anni passano inesorabili, loro sì, che sono freddi e scientifici, sempre -1. Non si era sbagliata, Laura non era una scienziata, era una giornalista freelance. Una rivista italiana l'aveva inviata al convegno per un resoconto sui problemi delle società postpetrolifere. La GM, in collaborazione con il NAPHI (North American Public Health Institute, istituito dalla Wayne State University, Detroit, e dalla University of Windsor, Ontario), aveva invitato scienziati e ricercatori da tutto il mondo per affrontare il problema principe delle società petrolifere: il passaggio verso una società mondiale postpetrolifera, resa ormai indispensabile dalla riduzione della produzione e dal terrorismo internazionale che continuava ad attaccare pozzi e compagnie petrolifere. La notizia di quanto era avvenuto in Basilicata in quei giorni aveva orientato il convegno verso un'impostazione operativa. Terroristi ecologisti, forse senza neppure prevedere la gravità della loro azione distruttiva, avevano decretato la fine del Mezzogiorno d'Italia. Ormai solo una coltre di melma nera. Era questo il tema di fondo del convegno di studi, ora: come liberare una parte così ampia di territorio dall'alta coltre melmosa (la parte operativa), sarebbero rimasti in ombra almeno per alcuni giorni quelli di fondo previsti dal programma normale: come immaginare un futuro senza petrolio (la parte socio-politica), dove trovare fonti di energia rinnovabili, non dannose come il petrolio e il nucleare (la parte tecnologico-scientifica). Era un convegno pluridisciplinare. Agli astronomi era stato affidato un tema specifico: Stelle ed energia nell'era postpetrolifera. La ragione un articolo pubblicato mesi prima su "Le Stelle", vi si ipotizzava il ritrovamento di fonti di energia applicabili alla vita umana su pianeti vicini alla Terra.
Laura era nata a Potenza, beveva caffè americano come una sorta di punizione celeste, mentre sognava la Basilicata che non c'era più. Ecco cosa sognava. Una terra verde ormai irrecuperabile, almeno allo stato attuale delle tecniche di recupero. Il Dr. King Hay Yang, professore di Ingegneria Biomedica e direttore del Bioengineering Center, College of Engineering, che aveva messo a punto il suo cyberuomo, affermava che un manipolo di questi robots iperintelligenti, accompagnati da tecnici addestrati ad hoc e da una strumentazione specifica avrebbe potuto lavorare senza danni nei territori inquinati. Non era possibile, tuttavia, intervenire subito, occorreva che l'aria tornasse entro limiti di respirabilità, anche se per lungo tempo sarebbe stato ancora necessario l'uso di respiratori per filtrare le particelle di greggio che avrebbero continuato a galleggiare nell'atmosfera. Il cielo sarebbe rimasto oscurato per parecchie settimane, rendendo l’aria irrespirabile e limitando di fatto le operazioni aeree e terrestri, anche il mare era impraticabile, coperto da una densa patina di greggio. Era oggetto di particolare preoccupazione anche il fatto che la spessa coltre di fumo, come un’efficace cortina antiluce, avrebbe consentito una prolungata sopravvivenza sul terreno a virus ed agenti patogeni, protetti dall’azione dei raggi solari. La proposta del dr. Yang aveva trovato consensi. Si trattava di renderla operativa. La GM si offriva di coprire parzialmente i costi. Il governo italiano era stato informato degli aiuti in arrivo. La serata si preannunciava carica di tensione. Gli schermi televisivi rimandavano continuamente le immagini dell'Europa sotto una pioggia più o meno densa di greggio. Laura era sempre lì, sognante. - Che si fa, signorina? - Margherita le si rivolse con il suo fare gioviale di toscana, gioviale anche quando magari il cuore detta altro, perché, ci teneva a farlo sapere in giro, magari gli scienziati non sognano, ma certo soffrono. E profondamente, soffrono per le responsabilità che si portano dietro, che conoscono e non sempre possono governare. Laura lo sentì quel cuore dolente dietro quel volto gioviale. Laura colse anche nell’angolo dello sguardo inquieto, oltre l’ilarità d’occasione, i sospetti che attraversavano le loro menti, in uno strano feeling mentale. Per questa complicità non detta, le mostrò il pc, pur trattenendolo tra le braccia, come si mostra un segreto. Lo schermo galleggiava nel mare d'Utòpia. - Qui - le disse - non è cambiato nulla. -.
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Capitolo 3 di Sunrise Jefferson
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Asian arrivò sull’Isola verso sera, quando i colori sono inquietanti e avvolgenti al tempo stesso. Si appoggiò al suo piano di lavoro, una lastra touch screen sulla quale doveva impostare l’identità, prima di iniziare il trasferimento dei dati. Un ronzio annunciò l’avvenuta connessione; si preparò ad aspettare la risposta del terminale. La persona di cui aveva un disperato bisogno doveva essere lì, da qualche parte, in attesa. Si prese qualche momento per riflettere. Per ricordare, anche; un lusso che oramai si permetteva sempre più di rado. I ricordi - pensò - sono la forza del futuro. Sono l’unico ormeggio che ci tiene attraccati alla speranza. I pensieri ne innescarono altri, teneri e dolorosi; come un gigantesco domino in equilibrio precario, in attesa di una piccola vibrazione che, come una reazione a catena, crea disegni inaspettati e mutevoli. Un suono improvviso e acuto iniziò a pompare adrenalina in Asian, che non si aspettava l’allarme del sistema. Qualcuno era entrato nella rete di Comunicazione e Controllo, e lo aveva fatto senza le autorizzazioni richieste. Il panico avvolse il rosso ricercatore, mentre mille frenetici interrogativi viaggiavano nelle corsie elettroniche del suo guscio. Spense di colpo, prima che informazioni preziose potessero cadere nelle mani sbagliate. Era immobile come una preda che ha fiutato il pericolo. Mani sbagliate… chi decide quale parte è giusta? si domandò. - Modalità giorno. Sonoro di Land. Attivazione barriere di controllo – declamò con chiarezza al sensore vocale, sperando che riportare l’Isola all’aspetto “pubblico” potesse in qualche modo servire a contenere i danni dell’attacco. Sapeva che non sarebbe stato così, e il gesto appena compiuto serviva solo a lui, a dargli un senso di normalità ben lontano dall’ansia con cui si disponeva a fare i conti. Doveva trovarla. Doveva assolutamente trovare il modo di comunicare con l’unica persona in grado di concertare gli interventi, di trovare i tasselli per ricompattare i frammenti persi nel caos. L’unica persona in grado di preservare il suo lavoro, con tutto quel che significava, compreso il prezioso segreto delle parole ologrammate sulla Torre, dentro il doppio cilindro silenzioso che conteneva invece l’unica voce salvifica per le Terre. Freddo. Un freddo tremendo. No, non poteva essere… non lì, dove la temperatura non era che un insieme di suggestioni create da colori e forme. Non in un luogo dove tutto era possibile, tranne la vita autentica e perduta da tempo: quella vita di odori e tatto, di amore fatto col corpo, di suoni prodotti da vibrazioni dell’aria, di colori che cambiano solo quando è il momento. Quella vita di sole che tramonta dopo un giorno, solo dopo un intero giorno. Fu un attimo. Fu un brevissimo attimo in caduta libera, come dentro un buco profondo, nero e senza contorni. Perse l’orientamento e, in rapida successione, la coscienza. Da quel momento, era tutto nelle mani di qualcun altro. Il passaggio del testimone sarebbe dovuto avvenire senza l’aiuto di Asian.
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Capitolo 3 di AtmaXenia Giha
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In seguito trovò lavoro in un ristorante all’angolo della via Galassia, alla periferia nord-ovest della città come lavapiatti e tuttofare. Lasciato l’ospedale affittò un bugigattolo nelle vicinanze del ristorante. La camera era situata all’ultimo piano di un palazzo fatiscente, il muro scrostato in più parti mostrava diverse sovrapposizioni di colori: in alcuni angoli del soffitto macchie di umido si dilatavano a vista d’occhio. Entrando, sul lato destro, appoggiato al muro vi era un letto a una piazza e mezza, con lenzuola e coperte che mostravano anni di usura e di rammendi. A sinistra nell’angolo verso il fondo della stanza, sotto l’unica finestra, una piccola cucina in acciaio con due fuochi, un lavandino di ceramica bianca ed un mobiletto rosso laccato, perfettamente integro. Di fronte all’entrata, sul fondo, un armadio a due ante di legno, di cui una presentava una crepa che la attraversava verticalmente nel centro. Infine una piccolissima porticina nascondeva uno stanzino con finestrella da cui si era ricavato un bagnetto ricoperto da piastrelle di varia dimensione e colore. Di giorno, Xxanty, andava al centro per le cure, di pomeriggio riposava e la sera andava a lavorare, così per l'intera settimana, escluso il lunedì. Al ristorante conobbe una ragazza di nome Doxa, il cui vero nome era Baby. Una Dark, che indossava abiti rigorosamente neri, pieni di borchie appuntite e piercing su tutto il viso con un effetto vecchio punk molto retrò, stranamente a colpire la vista invece erano i capelli sorprendentemente biondissimi e lunghi che le davano un'aria molto infantile. Di statura piccola, con occhi nocciola grandissimi e profondi, di ossatura minuta, tutto si sarebbe detto meno che fosse l’emblema dell’oscurità. Lui la chiamava sempre con il suo nome vero e lei ne era felice. Diventarono amici o forse strinsero solo un patto con le reciproche solitudini. Entrambi non avevano altro al mondo che se stessi. Una sera, finito prima del solito di lavorare, lei lo invitò per una chiacchierata, gli offrì una birra fredda, si sedettero sul divanetto, e si raccontarono qualcosa delle loro solitudini. - La mia vita è appena nata, non so nulla, non posso raccontare altro che ciò che stai già vedendo... – disse Xxanty. Lei gli chiese del Centro, delle cure, degli incubi, gli raccontò non prima di avere ascoltato attentamente la breve storia di Xxanty, di essere andata via spontaneamente da casa, scappando da genitori che non la picchiavano, no, non la sgridavano nemmeno... - In effetti, semplicemente non esistevo per loro. - Per solitudine si era legata ad uomini sbagliati, indifferenti o violenti. - Il mio bambino è morto dopo qualche giorno dalla sua nascita. E anche una parte di me, Sapevo che senza quella creatura non mi sarei mai affrancata dalla miseria della mia esistenza. –e pianse lacrime cosi salate che parve di respirare l’odore salmastro del mare. Una notte Baby gli confidò che conosceva un modo di “viaggiare in altri mondi”, attraverso collegamenti elettronici applicati in alcuni punti del corpo si sarebbero proiettati in mondi virtuali, avrebbero vissuto, agito e pensato percependoli come reali. Xxanty accettò l'invito e si collegarono entrambi, proiettandosi velocemente nella dimensione virtuale. Vagarono senza meta, insieme e poi separati, volarono, presero oggetti, nuotarono e conversarono con altri abitanti, le loro mani nel buio della cameretta si muovevano nell’aria, fluttuando, i paesaggi cambiavano rapidamente, i tramonti diventavano rossi ed infuocati come pennellate di un pittore in estasi, i mari con riflessi argentati si muovevano ad un ritmo ripetitivo, gli orizzonti erano linee rette finite, le piazzette dove i cyber travelers si ritrovavano erano migliori riproduzioni di quelle vere. Tutto pareva reale senza esserlo. Tranne che per lui. Nulla gli era sembrato così vero come quello che vide in quei mondi. Sentì una scarica elettrica attraversagli il cervello e trafiggerlo. Fu solo un istante ma il dolore lo fece gridare. Luci come laser gli trafissero i ricordi. Frammenti di immagini come cartoline strappate che vorticosamente tentavano di ricomporsi senza riuscirvi. E voci, lamenti, mani che tentavano di strapparlo via verso il vortice nero che andava formandosi attorno al suo corpo. Si risvegliò nel letto di Baby: - Un overdose. Sei salvo per miracolo. Capita a tanti, Non si vuole ritornare perché l’oblio è l’effetto migliore di questi viaggi -. Lui sorrise dentro di sé, sentì che qualcosa di nuovo era accaduto, presto sarebbe ritornato in quei luoghi, lì avrebbe cercato il suo passato e forse la ragione perduta della sua esistenza. Era andato ben oltre il viaggio virtuale. Aveva sentito le emozioni di ogni abitante di quel mondo, percepito fisicamente ogni oggetto solido, aveva provato a modificare ed interagire con i paesaggi, piegandoli alla sua manualità. Per qualche misterioso motivo quel mondo gli apparteneva. Si ripromise dunque di organizzarsi per entrarvi nuovamente da solo e così fece. Fu stupefacente ma dopo qualche ora, sentì nuovamente quella corrente sezionargli la mente, portandogli nuove immagini che si arrotolavano, si annodavano e si dipanavano come lingue fameliche a tastare gli anfratti del suo cervello. Si svegliò madido di sudore, spossato, un filo sottile di tremula luce entrava dalla tapparella rotta, percorrendo tutta la stanza fino alla porta lasciando il resto patinato e spento. Le sue domande non potevano più restare senza risposta, perché la morte del suo passato era anche la ragione unica del suo futuro. Il ciclo della vita che impietosamente non accetta che due sole regole. Morte e Rinascita. Più forte della sua paura era una volontà predominante di qualcosa che non apparteneva a lui.
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Capitolo 3 di piega Tuqiri
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L’Incauto
Asian l’Incauto aspettava che il cerchio del suo sguardo finisse di condensare l’orizzonte dell’appartamento nella luce del proprio protettivo mezzogiorno. Era del resto questo il terzo comandamento che il Demiurgo aveva inserito nelle sinapsi del suo avatar, o meglio della sua mente ancora vergine, al momento della sua prima muta, quella che la aveva trasportato dal pensiero in potenza all’atto pensante. Gli altri due, l’impossibilità della morte se non per mano del proprio Sembiante e la moltiplicabilità del proprio esserci, non avevano mai fatto sentire Asian così libero dalla provvisorietà, quanto questa perenne possibilità di fuga dal buio del nulla relativo. Osservava svogliato il suo delinearsi cromatico. La nuova skin che Asian la Rassicurante, gli aveva donato nel contatto precedente prima di salutarlo, gli appariva sì ancora vagamente estranea, ma nello stesso tempo lui l’avvertiva già come parte integrante della propria presenza, come se solo ora fosse riuscito a mostrarsi liberamente, dopo aver staccato l’ingombrante involucro della pelle-madre, ormai lacerato dai continui ritocchi alla propria insoddisfatta apparenza. Contò senza fretta e con un leggero senso di nausea i piccoli granuli di sangue rappreso che rendevano scabro l’incavo tra pollice ed indice della mano sinistra. Non fu sorpreso più di tanto dal fatto che stessero diventando così numerosi. Certo, sapeva di star esagerando e del resto il suo Sembiante già da parecchi giorni (forse sarebbe più esatto dire mezzo-giorni) aveva iniziato ad inviargli piccole scariche di tensione ad intensità crescente, primo livello questo di una scala di otto che aveva al suo culmine la chiusura definitiva della porta di quit, con la conseguente condanna a vagare nell’eterno presente del proprio essere qui ed ora. Non le poteva ignorare, ma sopportare ancora per qualche rientro quello sì, o almeno così Asian l’Incauto sperava. In fondo quella sorta di sogno, che lui era, non doveva temere niente che non fosse la propria naturale inclinazione al suicidio virtuale; ma questa prospettiva gli appariva ancora troppo indefinita per rappresentare un’ipotesi realizzabile. Attese che anche l’ultimo frammento di Lei si delineasse, bruno e lucente, si avvicinasse a lui con passo leggero e sussurrasse ancora una volta a lettere color dell’ onda lontana il proprio abbraccio profumato di vaniglia. In fondo c’era ancora un po’ di spazio nell’incavo della sua mano. Fuori, oltre la doppia parete della Torre sospesa nel buio dell’incompreso, il Demiurgo era adesso, per qualche istante almeno, in pace con il proprio demone.
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Capitolo 3 di Margye Ryba
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- Certo che sono passati parecchi anni, Asian, ti ricordi come eravamo da giovani? -. L'amico Giorgio si sforzava di rompere il ghiaccio, leggeva l'imbarazzo sul volto di Asian e da parte sua ce la metteva tutta per metterlo a suo agio, non voleva che Asian si accorgesse del sentimento di pietà che provava, si ricordava bene di quanto fosse stato in passato un ragazzo orgoglioso. Non era facile in quella situazione drammatica trovare un solo punto di conversazione che potesse dare anche un po' di sollievo ad Asian che per quanto fosse contento della presenza del suo amico, ne sentiva anche il peso, lui gli ricordava il passato, un passato in cui solo ora comprendeva quanto fosse stato felice. - Sai che ho visto tua figlia? -. Queste parole di Giorgio, scossero Asian dal torpore, all'improvviso i suoi occhi brillarono di una strana luce. - Dove? Quando? -. Giorgio fu quasi sorpreso da questa reazione, pensava che oramai in lui non rimaneva più un briciolo di senso paterno e invece aveva cambiato persino la sua espressione facciale. Ecco, ora Giorgio sapeva di cosa doveva parlare con lui per farlo scuotere da quello stato di depressione. - A dire il vero non l'ho vista di persona, mia figlia un giorno mi chiamò facendomi vedere dal suo computer un avatar di sesso femminile, mi disse che quell'avatar era tua figlia, Melany, si erano conosciute in Second Life, ma solo dopo parecchio tempo scoprirono di essere in realtà le amiche d'infanzia che frequentavano le stesse scuole elementari -. Asian non sapeva niente di computer, persino la parola avatar gli era sconosciuta e non capiva come potesse sua figlia entrare in un mondo virtuale. Fu preso da una curiosità improvvisa e domandò con ansia al suo amico : - Ma tu sai dove mia figlia abita ora? Sai cosa fa? Come vive? -. Giorgio, aveva previsto queste domande ed era sinceramente dispiaciuto di non potergli dire altro. Melany, non aveva dato notizie della sua vita reale. Si propose di domandare, di indagare oltre per poter ritornare con altre informazioni alla prossima visita. - Sì, ma ricordati Giorgio, non devi mai far capire che sono io, suo padre, a voler sapere sue notizie. -. Questo atteggiamento di Asian non piaceva molto a Giorgio, lui, invece, al posto suo avrebbe fatto il contrario, avrebbe fatto di tutto per far comprendere quanto il padre ci tenesse a cercarla, ma si ricordava che anche in passato Asian aveva quel carattere burbero e poco incline a manifestare i suoi veri sentimenti, sembrava che ora, nella vecchiaia, quelle caratteristiche gli si fossero ancor più radicate. La partenza di Giorgio mise Asian in uno strano stato di eccitazione, si domandava se realmente fosse riuscito a sapere altre notizie di sua figlia e come avrebbe dovuto comportarsi qualora avesse saputo dove abitava e che vita faceva. Ma l’eccitazione era accompagnata anche da una dolorosa ansia che gli derivava dalla consapevolezza del progredire della sua malattia, probabilmente non avrebbe fatto in tempo a rivedere sua figlia. Il mattino seguente Asian provava un leggero benessere in tutto il corpo, si sentiva quasi di buon umore e la cosa lo sorprendeva non poco. Ormai aveva dimenticato come era bello sentirsi bene, si rammaricava di non aver saputo godere dei giorni di buona salute, pensava a come è facile prendere tutto per scontato, quando le cose vanno bene. Accese il televisore, cosa che oramai faceva di rado, voleva sapere le notizie del giorno, da tempo oramai quell’apparecchio era spento, quasi fosse il televisore stesso a voler rispettare il dolore di Asian che stava perdendo interesse per tutto ciò che lo circondava. Mentre era rannicchiato nel suo letto intento ad ascoltare il telegiornale delle 10,00, arrivarono i medici, di solito erano in tre, uno, il più anziano, il Professor Emilio Danzetti era quello che prendeva le decisioni e gli altri due, molto più giovani di lui, lo seguivano ogni mattina nel giro delle visite, erano giovani che amavano intensamente il loro lavoro e lo svolgevano con una grande dose di umanità e professionalità. Uno dei due, Antonio Laterba, aveva stabilito oramai con Asian un rapporto confidenziale e di fiducia, cosa non molto facile, considerando il carattere poco socievole di Asian, ma la malattia lo aveva oramai lasciato indifeso da qualsiasi resistenza, e poi, nei riguardi di Antonio avrebbe volentieri lasciato da parte qualsiasi sentimento di diffidenza, quel giovane dallo sguardo limpido e dal viso pulito, sempre sorridente e positivo, gli ristorava l’anima. - Come andiamo oggi, signor Asian? - chiese il Professor Danzetti, la domanda era di routine, il Professore sapeva che probabilmente Asian non avrebbe fatto neanche un minimo accenno con la testa per rispondergli, aveva compreso che quando voleva sapere qualcosa riguardo al suo paziente difficile doveva rivolgersi ad Antonio e quindi non gli ripeteva mai la domanda. Quella mattina, stranamente, Asian rispose al Professore, la cosa suscitò stupore tra i medici che si guardarono tra loro con meraviglia. Ma l’attenzione di Asian andò subito al telegiornale che parlava del mondo virtuale di Second Life, chiese di alzare il volume, perché non voleva farsi scappare quella notizia, ma cos’era poi realmente Second Life? - Un’altra diavoleria di internet - rispose sorridente il Professor Danzetti - non sanno più cosa inventare questi programmatori telematici -. Antonio, invece, sembrava molto preparato sull’argomento: - Conosco bene Second Life, in pratica è una piattaforma virtuale dove gli utenti rappresentati da avatar possono interagire tra loro dedicandosi ad attività di ogni genere che possono avere riscontro anche nella vita reale. -. L’interesse di Asian per Second Life non passò inosservato al Professor Danzetti, che, in disparte, chiese ad Antonio di dedicare più tempo al paziente Asian, consapevole del fatto che se avesse provato interesse ancora per qualcosa, questo qualcosa poteva allungargli la vita.
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Capitolo 3 di Deneb Ashbourne
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Gli occhi umidi spuntavano dietro la frangia troppo lunga e scapigliata della ragazza, rannicchiata, stretta alle sue stesse ginocchia. La luce opaca che entrava dalla finestra tingeva le pareti di una sfumatura color panna senza ombre. Le assi di legno del pavimento erano lisce al contatto dei piedi nudi e segnalavano con uno scricchiolio ogni impercettibile movimento del corpo. Dal suo cantuccio Betta spiava il cielo del mattino. La lattigine della torre si scorgeva in lontananza, illusoria come una promessa disattesa. La proiezione terminò in quello stesso istante, e di nuovo tornò il buio nella stanza. Oltre la parete, un rumore di passi che si avvicinavano le fece aguzzare l’udito per carpire il mormorare che li accompagnava. Due uomini parlottavano fitto tra loro. - Dannati ribelli. Fanno solo casino. -. - Andiamo, stanno solo difendendo la loro terra. Dio solo sa quello che sta combinando la Spartax laggiù nei giacimenti. -. - Ma come, li difendi? -. - Non li difendo, sto solo dicendo che hanno delle motivazioni comprensibili. -. - Sì, comprensibili. Come no. Intanto: il continuo rischio di black out, come pensano di risolverlo? Bloccando le estrazioni? -. - Sai benissimo che non è questo il punto. -. - Io so solo che un altro blocco energetico come quello del mese scorso non lo voglio più vedere. Ben venga il rilascio delle concessione per Tempa Rossa alla Spartax. -. - Eh, la concessione l’hanno avuta anche se il programma di sviluppo dei giacimenti lasciava spazio a diversi dubbi. -. - Insomma, ma tu da che parte stai? -. - Eh, non so cosa pensare… questo lavoro sta diventando sempre più difficile. -. Il bisbiglio si affievolì all’allontanarsi dei passi, fino a diventare indecifrabile. Betta aveva una idea vaga di chi fossero quei due, ma di certo aveva ben chiaro quello di cui stavano confabulando. La nuova concessionaria che si era recentemente accaparrata i diritti di coltivazione dell’area di Tempa aveva strappato alla Regione una serie di concessioni molto favorevoli. L’attività negoziale era stata piuttosto lunga e sofferta, portando a definire delle linee di intervento concrete che la Spartax avrebbe dovuto seguire per compensare la comunità in cambio dello sfruttamento delle risorse petrolifere del loro territorio. La costruzione di una rete di distribuzione di metano, l’istituzione di finanziamenti agli studenti universitari e per la ricerca nel campo estrattivo, un osservatorio ambientale… Progetti che avrebbero segnato e cambiato la vita degli abitanti, non solo della valle, ma di tutta l’area lucana. Ancora di più, pensava Betta, avrebbero cambiato l’idea che quelle persone nutrivano della propria terra. Ciò che aveva a cuore, in tutta questa faccenda dannatamente complicata, aveva a che fare proprio con questo. Non lo riusciva a spiegare granché bene neanche a se stessa, era solo un’intuizione: la visione di un territorio generata dalle persone che la abitano. Asian avrebbe certamente saputo esprimerlo con parole migliori delle sue, dando una forma ai suoi pensieri e creando loro attorno uno spazio sensato che li contenesse e li tenesse in ordine. Chissà quando sarebbe riuscita a collegarsi di nuovo. Questo pensiero la riscosse e le ricordò che si trovava in una specie di reclusione, da cui non aveva idea quando se ne sarebbe potuta andare. Si ricordò anche che era dal giorno prima, da quando le guardie li avevano accompagnati all’interno di quel labirinto, che non aveva più avuto notizie di Ryan.
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Capitolo 3 di MacEwan Writer
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Mi chiedevo come potessi sapere in anticipo dell’incidente - chiamiamolo così, va' - della Basilicata. Ne avevo parlato con Campbell prima che ancora accadesse, turbato da quelle parole che spesso mi comparivano sullo schermo della mente come fluorescenti sullo sfondo nero... Generate da cosa? Cominciavo a temere che i viaggi nel tempo non fossero del tutto innocui come il collega di fisica sosteneva. Adesso agitavo le mani coi sensori a governare ciò che gli Screenglasses mi proponevano freneticamente. Stavo cercando di capire cosa accadesse alle rete dell’Università, che sembrava sotto attacco. Sotto attacco da parte di chi, da parte di cosa? Una domanda cruciale. Ero sulle tracce di un certo Gene C. Ronin, un personaggio abbastanza tipico per quel periodo: un indefinibile incrocio tra affarista, uomo di spettacolo ed esploratore. Esploratore, ovviamente, non era né poteva essere chiaro in che senso: nel mondo reale, nel virtuale, nelle dimensioni temporali, negli universi paralleli... Mi tenevo le cose che sapevo ben strette, senza diffonderle se non strettamente necessario. Il Mondo non solo non era pronto: non era nemmeno in grado di sopportare altre “novità” rispetto a quelle inquietanti, disastrose, catastrofiche che venivano propagate quotidianamente dall’informazione. Così agivo io, nel mio piccolo. Figurarsi i Governi. Non osavo pensare cosa ci fosse dietro veramente, in generale, nel mondo. Avevo seguito rapidamente le tracce virtuali del signor Ronin, e mi chiedevo perché stesse lì a cercare di aprire i sistemi dell’Università. Voleva qualcosa. Ma cosa. Scivolando attraverso un numero enorme di nodi, rimbalzando di server in server, entrai su Metaverse 7.0. Attivai con uno scatto delle mani-sensori il mio Avatar. Ne avevo diversi: per un netective è meglio poter cambiare identità frequentemente: per l’occasione scelsi quello che avevo battezzato “William Nessuno”. William si ritrovò quasi subito ad inseguire Gene C. Ronin. Volammo un po’, ma la parte difficile arrivò quando lui iniziò a teleportarsi ogni 15 secondi in luoghi diversi. Attraversammo canali olandesi magnificamente ricostruiti con l’acqua che sciabordava al passare delle imbarcazioni, superammo di gran carriera un corpulento e lento Golem di creta in una perfetta riproduzione HD di Praga, corremmo lungo il tunnel illuminato di bianco di una stazione spaziale apparentemente orbitante attorno a un pianeta dalla superficie bluastra. Il mio fido Power-X - un modello hackerato pesantemente che stava alla pari con quelli dell’Intelligence Agency, con tanto di implementazioni chip neuro-biologiche - stava facendo del suo meglio, il mio Avatar teneva il fiato sul collo di Ronin... All’improvviso lui smise di scappare e mi fronteggiò spavaldamente. Ci trovavamo in uno spazio aperto. Intravedevo una torre trasparente e dei vasi bianchi e neri, colossali, dai quali uscivano fiamme altissime, ancora più altre di quelle degli impianti per la lavorazione del petrolio. Mi tornò alla mente per un attimo l’incidente della Basilicata. - Salveee - disse Gene C.Ronin con un tono mellifluo da presa in giro. Un tono che a Lorenzo MacEwan, o meglio a William Nessuno, o meglio a me, non piaceva. Si era creato un Avatar piuttosto pretenzioso. Risultava un tipo palestrato al quale i campionamenti dimensionali e fotografici erano riusciti decisamente bene: abbronzato, dai capelli lunghi sul collo e biondi. Guardarlo non era molto diverso dal proiettare un video dell'ultima edizione di Vogue Uomo. Indossava un completo da businessman di ottimo taglio e di mirabile texture. - Salve - dissi mentendo freddamente. - Faccio parte della vigilanza informatica dell’Università di Edimburgo. Siamo piuttosto seccati per i suoi fastidiosi tentativi di entrare nel sistema. - - Ooooh poverini! E cosa mi fate? Mi sculacciate?- Cambiò tono. -Questi sono tempi nei quali chi ha i mezzi e le capacità FA. Gli altri stanno a guardare.- Sospirai. Quel tizio aveva bisogno di una lezione. Trafficai qualche istante col Power-X e gli staccai un braccio. Così, tanto per gradire. - Mi spiace farle notare, caro Signor Ronin, che alla nostra Università non mancano né i mezzi né le capacità...- Non se la prese, ma stavolta un velo di incertezza distorse la sua voce. - Il mio designer mi rimetterà in sesto. -. - Lo spero per lei. Mi corre il dovere di informarla, però, che volte perdo il controllo e provoco danni permanenti. Comunque sono certo che il suo designer riuscirà a costruirle un nuovo Avatar come questo in soli due giorni...-. La domanda rimaneva, comunque. Che faceva quel signore attorno alla rete dell’Università? Cosa voleva? Chiederglielo sarebbe stato abbastanza inutile. Comunque era ovvio: la cosa non sarebbe finita lì. Voltai le spalle all' "esploratore” e mi incamminai senza meta. Passai per una zona nella quale era in corso uno spettacolare tramonto sul mare. Il locator diceva che mi trovavo in Utòpia. Il nome non mi era nuovo. Ebbi la sensazione di essere osservato. In quei giorni, le sensazioni strane, le interferenze di pensiero, i vortici spazio-temporali si succedevano nella mia mente. Leggermente turbato levai di scatto gli screenglasses e mi diressi alla finestra. Il cielo azzurro di Scozia splendeva come sempre. Il sud dell’Europa era ancora lontano. Ancora lontano. Per ora.
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Capitolo 3 di Asian Lednev
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Una voce dentro la torre.
Ancora una volta tu Asian. Ancora una volta a confronto con le parole, nel riflesso di te stesso e nel riflesso degli altri. Ora ti rileggi nelle pagine altrui, rivestito di altre pelli. Ogni storia ti ridefinisce. Ogni racconto che leggi è come una buccia che ti avvolge. Ti scalda ti avvolge e ti identifica. Ricordi di averlo letto: “Un’inquietante solidarietà generata dal contatto”. La tua storia, qui, rassomiglia a quella di una cipolla dove nucleo e pelle si toccano. Così, ora, pensi al tuo corpo. Senti che il pensiero che ti definisce è lo stesso pensiero che ti dà forma. Che sei frutto di un pensiero: “lì” sei nato. Immagini e capisci il profondo significato di una parola come “luogo” di nascita: il ventre della madre. Non sai nulla di quel luogo, non ti riguarda. Per questo motivo forse ti presenti come risultato: c’è in te un oblio della tua nascita. Non puoi tenerti la testa e così il pensiero, per te, non ha un risvolto tattile: tenere tra le mani la testa è un poco come toccare il pensiero. Ma lo sai: pensiero e materia in te si toccano. Sei come il cervello: senti e vedi tutto ma non puoi sentire la scatola che ti contiene. Rompersi la testa per fare uscire un’idea. Cosa puoi rompere tu? Quanta distanza hai da colmare ancora. Accarezzi queste pareti che ti definiscono. Le accarezzi cercando un senso tra i tanti al tuo essere immateriale cercando di ricostruire una morfologia. Instancabilmente crei dentro al tuo corpo una canali, punti di vista, luoghi per la mente. Lo "spazio" della visibilità a noi, tuoi familiari, si deforma e si trasforma in un "luogo" della visibilità e di sfide al senso comune. Lo spazio ti precede, il tuo luogo ti contiene e ti appartiene. Il tuo corpo lo vedi: è il luogo per fare emergere l’essenziale, ossia l’inquietante estraneità. Come in quella sovrapposizione di “definizioni avatariche” che leggi nelle storie degli altri, lo sfogliarsi delle quali fa improvvisamente apparire incontestabilmente e frontale un simulacro di te. Dopo tutto lo hai imparato: scrivere, costruire, è come incidere un materiale. La scrittura lascia una traccia fisica sul foglio bianco; modella il tuo pensiero modellando la sua traccia. La scrittura degli altri lascia una traccia su di te. Nell'insieme ha lasciato una traccia sulla torre, visibile a tutti. Lo sai. Ti stai interrogando sulla tua natura. Hai un desiderio di natura. Lo sai che tutto quello che hai intorno non ha storia e non ne avrà. Gli alberi, lo sai, hanno una memoria che tu non potrai mai conoscere. Accarezzandone le cortecce concentriche torni indietro nel tempo. Accarezzando qualsiasi cosa nel metaverso non incontrerai altro che il pensiero di qualcuno. Senza tempo. Tu stesso non ne avrai. Un giorno hai costruito una scultura per cercare la tua storia qui dentro e per cercare il tuo tempo. Un luogo di festa e di incontro. Ora per te un luogo di riflessioni. Ora hai costruito intorno a quell’idea un’altra nuova idea. Un’isola per scriverci sopra. Solo la scrittura potrà renderti una storia. Come tutte queste storie. Tante storie che si accarezzano l’una con l’altra. Come pensa, la scrittura, scolpisce il tempo.
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capitolo
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04
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Aldous Writer
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Asian Lednev
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AtmaXenia Giha
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Azzurra Collas
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Margye Ryba
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piega Tuqiri
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Sunrise Jefferson
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Susy Decosta
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MacEwan Writer
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Alzataconpugno Tuqiri
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Deneb Ashbourne
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Titty Thor
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Capitolo 4 di MacEwan Writer
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Il frigorifero Dadar! Il frigorifero Dadar con il suo sportello minuscolo e giallo, lo châssis di plastica primitiva rigida semitrasparente. Gelato. Vaschetta per gelato. Genetica elettronica. Evoluzione. Involuzione. Tempo da perdere: a seconda dei punti di vista, naturalmente. Ecco! Una scatola simile alla spirale bianca e nera di ipnotizzatore, da far ruotare mentre si parla con voce suadente per convincere a compiere qualche azione che circumnavighi con disinvoltura l'altrui volontà. Un tazzone fumante, nel fumo che odora di malto una sibilla cibernetica che ha al posto degli occhi di medusa un biocircuito dis-integrato cerca di leggere e interpretare o’ gliommero di donciccesca, di ingravalliana memoria. Cerca di scorgere un qualche Segno del Comando che governi gli eventi, magari pur sovrannatural-mente, magari per ibridamenti. Laura - retropensiero: chi era Laura? - che si affaccia dall’alto dello spazio profondo, come da una stazione orbitale dai corridoi illuminati su un pianeta bluastro. Laura da oblò stranamente rettangolare spaziale. L’indagine appresso ad Asian. E poi, Asian, chi era costui? Quel tipo preistorico dalla capigliatura mutevole come materia gassosa intergalattica? Allora benvenuto a Cyberdarkness, Asian: col cyberuomo dalla maschera antigas impiantata direttamente attorno al cranio, a prevenzione di fumi lucani letali. Cyberuomo, Robot, Avatar, Emissario, Demiurgo con basettoni e cravattino da cow boy riveduto e corretto alla moda del metaverso, la notte che bruciammo la Basilicata, colonne di fuoco e di fumo ad insensata altezza satellitare si sprigionano dai bracieri striati bianco-nero, bianco-nero, zero-uno-zero-uno-zero-zero-zero, error, Prims, Pringles, priorità: il cielo di Skye, il cielo di Skype, landscape alba, landscape tramonto, landmark... set light. Mi svegliai di soprassalto e il primo pensiero lucido che ebbi fu: questa storia mi sta mandando al manicomio, forse ho bisogno di uno psicologo. Poi mi ricordai che detestavo gli psicologi e le loro elucubrazioni, i loro scavi archeologici, le loro trivellazioni come a cercare il petrolio mentale che possa carburare analisi pseudoscientifiche discutibili: poi forse dopo quattro anni ti senti meglio. Forse. Lanciai il Power X: avevo la deprecabile abitudine di spegnerlo quando dormivo. A volte incontravo qualcuno che me lo rimproverava, sostenendo l’assurda teoria che un Netective - se proprio mi volevo definire così - non dovesse mai disconnettersi. In qualunque momento - sosteneva il critico - poteva accadere qualcosa di vitale su una periferica cinese, presidiata da un rappresentante censorio del governo in verde oliva col cappellone a visiera più alto di lui, o su una scalcinata macchina della generazione precedente in un paese dell’Africa, con i tasti del keyboard tutti anneriti e il ventolino di raffreddamento che singhiozza esausto. Cazzate. Facendo in quel modo mi sarei bruciato sì il cervello. Altro che viaggi nel tempo. Visualizzai i messaggi ricevuti, e tra questi uno mi colpì particolarmente. Ripiombai per un attimo nella sensazione di tensione del sonno travagliato, poi con un gesto della mano aprii il messaggio che comparve sulla parete: diceva: “Asian Lednev ti ha offerto la sua amicizia su Metaverse 7.0. Collegati per accettare.” Ancora una vertigine. Asian Lednev su Metaverse 7.0? Ma com’era mai possibile. Asian Lednev l’avevo incontrato su Second Life due secoli prima. Non poteva essere lo stesso Asian. Non poteva davvero. Accidenti. Dovevo occuparmi dell’assalto hacker all’Università - col fiato di Campbell sul collo - e del misterioso odioso Gene C. Ronin... E adesso tornava come un fantasma dal passato pure Asian Lednev. Non sapevo come barcamenarmi. Poi dice che un Netective non ha tempo per il lirismo... Decisi di dare un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Chiamai al telefono il mio studente più brillante, neolaureato, quello che mi dava sempre una mano in casi di emergenza e del quale mi fidavo pienamente: Alan Macbeth. - Ciao, “Scottish Play”...- Avevo dato questo soprannome ad Alan quando avevamo lavorato a un caso che coinvolgeva una compagnia teatrale. Davanti agli attori era impossibile chiamarlo col suo vero cognome pena scongiuri e ingiurie di vario genere. Come si sa teatranti, guitti, prime donne e capicompagnia credono da sempre che quell’opera meravigliosa del Grande Bardo porti jella... - Hey, professore! Si riapre la caccia?- rispose Macbeth con entusiasmo. Che il cielo lo benedica. - Eh già. Sei pronto a una bella galoppata indagatoria?- - Come sempre, prof. - - Bene, allora devi farmi il pelo e contropelo a un certo Gene C. Ronin...- Scottish Play stava prendendo appunti. Evitai di raccontargli le mie impressioni sul personaggio, di mettermi a fare il Baedeker dei luoghi ameni che avevo attraversato su Metaverse per inseguire quella faccia da schiaffi del suo Avatar; gli risparmiai il fuggevole incontro con l’Olandesina, col ciccione - cretese, cretino o cretoso che fosse - a uno dei capi del triangolo magico, dove, parbleu, di oro non trovai alcuna traccia, ancorché virtuale: forse perché l’oro come d’abitudine se l’era già accaparrato tutto lui, il simpatico capitalista, il talentuoso affarista, il dongiovanni Cronin. Evitai di far menzione dei bicipiti, dei capelli color crucco ma nient'affatto corti come da cliché, no no: lunghi su quel collo che avrei tirato volentieri come a un pollo in un sabato del villaggio che prelude a banchetto nel giorno del Signore. .- E... Scottish... Mi raccomando, una ricerca completa, stavolta con particolare cura per la RL... - Rimase un attimo in silenzio, interdetto. - Come mai?- - Boh non lo so nemmeno io. Questo spaccone l’ho già incontrato su Metaverse, il suo Avatar è odioso: vorrei vederlo di persona, partiamo da delle foto, magari in RL è uno sfigato rachitico pensionabile... - -Capito.- disse laconico Alan già tutto compreso nel suo ruolo di aiuto-netective. A-lirico. -Ci sono domande? - dissi. - Direi di no. Tempi? - - Come dicevano gli odiosi manager di un secolo fa, prima di crollare con tutto il loro fottuto sistema debitorio: “per ieri”. - Alan rise. -Capito. Ci aggiorniamo domani.- Ora, non avevo alcuna voglia di entrare in Metaverse. Ma ovviamente la questione di Asian Lednev mi incuriosiva moltissimo. E comunque aveva a che fare con l’indagine principale che avrei dovuto condurre. Campbell a parte. Va bene, dai. Scelsi il mio Avatar. Optai per William Hirvi. Si presentava come una specie di santone indiano in un semplicissimo abito color crema, non aveva copricapo. Aveva capelli corti rossicci e un viso regolare (come tutti gli Avatar, del resto) di media abbronzatura. Gli occhi erano verde smeraldino piuttosto innaturale. Con questo aspetto feci il log in e attraverso gli screenglasses cominciarono a comparirmi i nomi degli amici in linea, pochissimi in verità, dato che Hirvi lo usavo solo per indagini complesse e nelle quali era meglio non farsi notare. Mi comparve Socrates Kircher, il rettore Campbell. E poi Raymond Wolfe, il giovane Macbeth. Ed ecco Asian Lednev. Lo agganciai e gli chiesi in voice dove si trovasse. Ci mise qualche secondo a rispondere, diffidente. - Non conosco nessun William Hirvi. - - Lo so. Forse conosci Lorenzo MacEwan, però. - Silenzio. - Saresti tu? - - Non posso usare il mio Avatar omonimo nel corso di indagini... delicate... Capisci, vero? - - Sì. Direi di sì. - - Dove ti trovi? - Silenzio. - Non lo so. Sono precipitato in una specie di buco nero... A volte ci sono programmatori che si divertono a intrappolare Avatar. Poi magari chiedono il riscatto. - Sospirai. - Va bene, ti tiro fuori io. - Cercai di teleportarlo nei paraggi del mio ufficio su MV. Niente. Non riuscivo a sganciarlo, come ci fosse una forza di attrazione vera e propria, come in un buco nero secondo le leggi della fisica. Per fortuna Asian non era stato annichilito, però. O almeno, lo speravo. Spremetti come un limone il PowerX, usando la funzione empatico-cellulare, il computer ci mise un sacco ad elaborare la formula per annullare la forza che intrappolava Asian. Alla fine ci riuscì. Agitando le braccia come chi deve riprendere l’equilibrio, l’Avatar di Asian si schiantò sulla poltroncina di fonte alla mia scrivania. Da quel momento mi immersi in MV e affidai al PowerX il controllo delle altre questioni esterne. -Benvenuto, Asian... Posso chiamarla semplicemente così, vero? - -Dove siamo?- disse lui guardandosi in giro. - - Nel mio “ufficio” su Meteaverse 7.0. Forse riconoscerà particolari di molti uffici di investigatori celebri...- precisai ruotando il colossale boccale da birra in peltro che stava sul ripiano della mia scrivania. - Il costruttore che l’ha sviluppato era un appassionato di romanzi gialli... e a me... non è che la cosa dispiacesse... E’ originale. - Prendevo tempo. Non sapevo da dove cominciare. Asian - quella versione di Asian, perlomeno - era fedele al personaggio che avevo cercato invano nel mio viaggio nel passato, su Second Life. Solo che adesso si avvaleva della perfezione di Metaverse. Precisione fotografica. Iperreale. Si passò le mani nei capelli rossi, in un gesto di impazienza. Era vestito elegantemente, con un abito grigio scuro di buona fattura e una cravatta rossa a puntini bianchi. Sedeva sulla sedia del mio studio compostamente, tenendo le mani in grembo. Il volto aveva lineamenti marcati, naso e labbra molto evidenti, la carnagione era piuttosto innaturale perché metteva insieme un tono ambrato per non dire abbronzato con le lentiggini tipiche della carnagione dei rossi, se non fosse che un rosso abbronzato nella realtà... è più raro di un cavallo con il corno in fronte, insomma dell’unicorno, magari bajo, addirittura, anziché immacolato come da leggenda. C’era di che riflettere, quando improvvisamente appariva evidente che no, Metaverse 7.0 non era solo un ambiente che riproduceva in modo anche ormai fastidiosamente preciso le forme, i movimenti, i colori, le sfumature del reale. No no, era un gizmo che fondeva queste cose con le quali la natura ancora competeva con funzioni di fatto sovrannaturali: lo svolazzare contro ogni logica forza di gravità, fare andare in giro le persone con aspetti diversi ad ogni cambio di umore, di moda, di glamour, fino al prossimo afflato, fino al prossimo stormir di foglie virtuali. Come se gli alberi che producevano le virtualfoglie fossero vitali, col tronco segnato dai cerchi dell’età, come se le virtualfoglie stesse non fossero soggette al prossimo upgrade del sistema, al prossimo designer in vena di farsi notare con un coup de théâtre qualsivoglia: foglie a forma di mani umane, foglie a forma di becco di pappagallo, foglie marmorizzate che per farle stormire ci vuole un synturagano di quelli belli tosti, da radere al suolo un’intera land. - Mi scusi, Asian, ero soprappensiero. Lei mi ha mandato una richiesta di amicizia: mi sono abbastanza stupito, e poi, arrivo e la trovo intrappolato in una specie di buco nero virtuale... - - Stupito perché? - - Beh, insomma, perché... da alcune mie indagini... - mi guardai bene dal fare cenno ai viaggi nel tempo, indietro fino a Second Life - mi risulta che il suo avatar sia attivo... diciamo da decine di anni, passando di piattaforma in piattaforma, via via da quelle più datate a quelle... recentissime. A Metaverse 7.0. Insomma è un fatto abbastanza stupefacente, non crede?- Asian alzò un sopracciglio. - Sì. Stupefacente. - Tacque cinque secondi. - Ma io non so nulla. - Hm. La cosa si complicava. Decisi di essere diretto. - Allora perché mi ha cercato, o meglio ha cercato Lorenzo MacEwan? - -Perché tutto il mio mondo si trova in pericolo. Almeno credo. - - Di che mondo stiamo parlando? Di Metaverse? - Agitò una mano. - Metaverse è sempre in pericolo, tra attentatori e criminali di vario genere, sequestratori, eccetera. No, parlo della mia Torre. - ... Di un luogo particolare, quindi. E perché è così importante, questa torre? - Perché... Perché...-
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Capitolo 4 di Margye Ryba
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Melany decise di dare una svolta alla sua vita in Second Life, fino a poco tempo prima non aveva fatto che gironzolare come una nomade tra varie land, tutto ciò che la circondava la incuriosiva, soprattutto amava circondarsi di persone, era sempre stato cosi anche nella sua vita reale, si lasciava affascinare dall’universo invisibile che si nasconde in ogni essere umano. Ma Melany era anche affamata d’amore e questo la rendeva spesso vulnerabile, per quanto potesse essere una ragazza dal carattere forte, comprendeva bene che qualcuno avrebbe potuto approfittare di questo suo intimo bisogno. La consapevolezza di ciò spesso la rendeva diffidente e guardinga, ma a volte, stanca di essere sempre all’erta si lasciava andare, soprattutto nei momenti di grande malinconia, sapeva che le mancava qualcosa e questo le causava un conflitto interiore, al punto che si detestava quasi. Avrebbe tanto voluto essere indifferente a certi suoi bisogni emotivi, e invece si ritrovava spesso a fantasticare di trovarsi avvolta tra le braccia possenti di un uomo. In questi momenti la musica di Beethoven era l’unica cosa che le recava sollievo, come se parte del suo dolore fosse andato via. I corteggiatori di certo non mancavano a Melany, oltre alla sua avvenenza ella aveva una spiccata personalità, riusciva, senza volerlo, a catturare l’attenzione di chiunque, per il suo modo di essere socievole e brillante, per la sua allegria e fantasia, i giovani ne subivano il fascino, ma Melany cercava qualcosa che ella stessa a volte non riusciva a definire. Era sempre incuriosita dagli uomini, amava capire la differenza profonda che esiste tra i due sessi. Melany, soprattutto, era alla ricerca della bellezza invisibile che esiste in ogni essere umano, in questo era molto aiutata dall’Arte, quando aveva a che fare con un vero artista, riusciva a sentirsi sazia senza mangiare e con il trascorrere dei giorni si faceva sempre più forte il desiderio intimo di rifugiarsi nell’Arte.
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Capitolo 4 di AtmaXenia Giha
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- Buongiorno signor Xxanty, come va? -. Il tono amichevole della dottoressa Alison Moore lo mise subito a suo agio, mentre la osservava sedersi con rigida compostezza sulla sedia di fronte a lui. Non aveva mai fatto caso in precedenza a come fosse bella, di una bellezza inusuale, come se caratteristiche fisiche di più nazionalità si mescolassero tra loro. I lunghi capelli rossi raccolti in una treccia fermata con un nastro nero, e gli occhi dal taglio obliquo, di colore grigio acciaio, le regalavano un fascino esotico. La piccola bocca dalle labbra sottili ma ben disegnate, serrate, come a vietare alle parole di uscire oltre misura, il volto dalla forma quadrata, leggermente smussato alle mascelle e gli zigomi pronunciati la rendevano attraente, ma nel contempo, un'espressione eccessivamente severa le rendeva i lineamenti duri, dandole un’espressione distaccata. Era sempre contenuta anche nei gesti, gentile ma misurata in ogni suo atteggiamento. Xxanty in piedi la sovrastava di molto. Il camice bianco nascondeva ogni forma del corpo che pareva solido ed armonioso. - Allora, come andiamo dunque? Ha qualcosa da raccontarmi? Ha fatto recentemente dei sogni, vorrebbe raccontarmeli? - - Bene, sto molto bene, La ringrazio dottoressa Moore, e sì, ho fatto qualche sogno ma nulla che si discosti dai racconti che già le feci la volta scorsa. Le solite immagini fumose e sbiadite. Parti di un edificio, pietre, nebbia ed un volto che non riesco mai a definire. Niente altro per ora. - Xxanty si guardava bene dal riferirle alcuni particolari nuovi che erano emersi nell’ultimo sogno, per esempio che ora sognava a colori, che per un attimo era stato vicino al volto di quella persona, e soprattutto, che ora viaggiava in un mondo parallelo, ove interagiva esattamente come in quello reale. La dottoressa Moore tese la mano per congedarlo, non lasciando trasparire la delusione per non avere raccolto elementi nuovi che potessero portare ad una progressione nella terapia di analisi, si alzò per bloccarsi immediatamente alla domanda inaspettata di Xxanty. - Dottoressa Moor, i medici dissero...che era stato un incidente aereo, sono stato all’archivio della biblioteca e non ho trovato nessun articolo in merito. L’ho trovato piuttosto strano. - Un leggero fremito delle ciglia tradirono il disappunto della dottoressa Moore, impercettibile quasi come il suono delle sue parole: - Guardi meglio signor XXanty, forse le è sfuggito o ha sbagliato periodo, ora se mi vuole scusare avrei da fare. Arrivederla.- A quel punto egli capì che doveva assolutamente cominciare a mettere insieme i pezzi di un puzzle che gradatamente si delineavano nella sua mente. Decise che avrebbe ispezionato il Centro la notte stessa. Uscì dal portone principale, gettò nel cestino le pastiglie che la Moore gli aveva dato e proseguì verso casa. Attese la notte, e si avviò. All’entrata una telecamera ispezionava per un raggio molto ampio tutto il terreno intorno, tranne che per un angolo nel retro del giardino, al quale si poteva accedere arrampicandosi ad una pianta, situata a ridosso del muro. Si lasciò cadere dolcemente a terra ed entrò furtivamente. Le uniche luci accese erano quelle di emergenza che emettevano un flebile fascio azzurrognolo, dislocate presso ogni accesso ai corridoi. Percorse più volte lo stesso tragitto, senza rilevare altro che piccoli depositi di materiale medico o sgabuzzini pieni di prodotti per le pulizie. Decise di spingersi oltre, verso il fondo del corridoio centrale senza peraltro trovarvi nulla e, quando fece per girarsi e tornare indietro, si avvide di una piccolissima scala a chiocciola, seminascosta alla vista e decise così di verificare e scese per alcuni piani. Sul lato destro, una porta a due battenti con minuscole vetrate rettangolari lasciavano intravedere appena l’interno. Spinse un battente che dolcemente si mosse verso l'interno. Mobili a cassetti, etichettati in ordine alfabetico ed un tavolo con una serie di computer apparvero come fantasmi alla vista. Aprì a caso uno di quei cassetti, alla lettera G e lesse su una cartella: Grashman Joshua, 5a Street. Sposato e padre di due figli, e così via, con altre informazioni sul lavoro, sullo stato di salute e, cosa che colpì Xxanty in particolare modo, la dicitura “ IN CURA”. Mente fremeva dalla tensione, sentì in lontananza dei passi ovattati, chiuse in fretta e si avviò velocemente all’uscita, ripercorrendo a ritroso la strada fino a casa. L’indomani, senza dilungarsi con le spiegazioni, chiese a Baby un favore, ovvero di verificare quell’indirizzo e tutti gli altri dati letti nella cartella la notte precedente. Il giorno dopo Baby gli raccontò che effettivamente tutto corrispondeva, tranne un particolare. Il signor Grashman dichiarava di non essere mai stato in cura per nessuna malattia, che stava benissimo e di non menar gramo con quelle domande assurde. In preda ad un’intuizione il giorno dopo Xxanti corse all’archivio della biblioteca, sfogliò nuovamente le pagine e trovò la notizia che cercava. Terribile incidente aereo sopra il Guatemala, un aereo con 220 persone a bordo si schianta al suolo incendiandosi. Possiamo parlare di miracolo poiché un passeggero catapultato lontano dall’apparecchio si è salvato anche se le sue condizioni risultano critiche e la prognosi riservata. Era certo. Quella notizia la volta precedente non c’era. Decise così che appena possibile sarebbe tornato al Centro di cura “Human Life”. Socchiuse gli occhi come era solito fare quando rifletteva, accorgendosi di essere molto più lucido da quando aveva sospeso la terapia della dottoressa Moore.
Basso e stempiato, di corporatura massiccia, i grandi occhi bovini perennemente arrossati, le grandi mani quadrate ed enormi rispetto al corpo e il fare lascivo, il Dott. Jacobs non era certo personaggio che incuteva simpatia o rispetto. Si asciugava continuamente la fronte imperlata di sudore con la manica del camice. Metodico fino alla pignoleria, ossessionato dalle procedure e in perenne stato d’ansia, ogni volta che si accingeva ad un esperimento, procedeva in maniera sistematica. Ricontrollava tutto più volte prima di passare alla fase successiva, il suo obiettivo era diventare un giorno Direttore Supremo del Centro. Allora si che le cose sarebbero state diverse. Avrebbe avuto il potere e lo avrebbe usato, soprattutto verso i suoi superiori che detestava a tal punto, da desiderarne la soppressione e prima ancora, contro la Dottoressa Moore. La odiava quanto la desiderava, da quando, tentando un maldestro approccio, le appoggiò la mano sulla spalla e la fece scorrere lungo al schiena. Lei si voltò di scatto e gli sibilò: - Non ci provi mai più o sarà l’ultima volta -. Gli occhi freddi e penetranti come una lama lo ferirono più delle parole, ma non affievolirono il desiderio che, teso allo spasimo, trovò sfogo la notte stessa, pagando una prostituta che venne trovata l’indomani riversa sul marciapiede morta. Un rivolo di sudore gli scivolò nuovamente dalla tempia, sudava sempre... da quel giorno, estrasse una bottiglietta ed ingoiò velocemente qualche pastiglia. Voleva dimenticare, avrebbe voluto tornare indietro, rifare tutto. Si malediva per quell’errore, era terrorizzato all’idea che qualcuno capisse, si rendesse conto che lui, il meticoloso dottor Jacobs, aveva compiuto un infinitesimale errore di procedura. Entrò la dottoressa Moore, lui si passò la lingua impregnata di saliva sulle labbra e immaginò scene di sesso con lei. - Voglio i risultati di queste provette entro un'ora. Non un secondo di più. Si sbrighi.- Disse freddamente la dottoressa Moore rivolgendosi al lui con disprezzo mal celato.
Una settimana dopo l’incursione al Centro di Xxanty, Baby fu investita da una macchina che procedeva ad altissima velocità. Il suo corpo fu catapultato in alto, rotolò e si fermò adagiato su un fianco. Gli occhi spalancati pieni di sorpresa. Un rivolo di sangue scivolava dalla bocca lievemente schiusa. Xxanty apprese la notizia al ristorante e ancora smarrito chiese il permesso di correre all’obitorio a salutarla per l'ultima volta. Pianse per la prima volta. Le sfiorò la fronte delicatamente, i capelli, il profilo e socchiuse gli occhi. Sentì crescere dentro di lui una rabbia feroce e una profonda solitudine. Quella notte sarebbe rimasto alzato e avrebbe navigato per ore ed ore fino allo sfinimento, alla ricerca di una consapevolezza nuova e di una dimensione che lo accogliesse come un profugo disperato... Girò per la piazzetta dove erano soliti ritrovarsi i ragazzi, Margye, Sunrise, Azzurra, Titty e tutti gli altri che conoscevano Baby. Chiesero di lei, di come fosse accaduto, e raccontarono di sé e delle ricerche delle proprie radici. Ognuno portava dentro un vuoto da colmare, un bisogno di calore umano che per paradosso trovavano davanti a un fuoco virtuale che scaldava le loro anime e illuminava i loro volti più del fuoco vero. L’anima vera giaceva nascosta nell’ombra di quella riproduzione, di quella finzione così piena d’amore e di passione.
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Capitolo 4 di piega Tuqiri
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Il reticolo di lettere che separava la sua sicurezza dal pericolo della penombra della pazzia umana, era ormai l’unica sua certezza. Non la propria speranza, ma la disperazione di un tempo non più protettivo ma gocciolante di velenosa insicurezza era il solo altro suo sentire. Doveva, era indispensabile far presto; parola questa che da tempo Asian aveva trascurato di considerare reale, immerso nel suo zenith protettivo. Guardò distrattamente un’altra volta il settaggio della propria stanza: non c’erano dubbi ormai, l’eterno mezzogiorno era avvolto dall’eclissi della ragione, mentre la luce della serenità si era trasformata in ombra pungente di stanchezza. Doveva esorcizzare questa disperazione prima possibile, per riuscire a trovare una risposta alla propria ansiosa aspettativa. Essere il proprio stesso padre. Questo Asian aveva da qualche ingresso iniziato a desiderare; questo almeno da quando era arrivato a rendersi conto di chi fosse la propria madre. Lei non era altro che la sua stessa matrice, Iside di questa vita al di là del tempo, Gaia che sorreggeva il suo divenire, genesi del suo stesso esistere come soggetto-avatar, prima della sua fine attesa ma non ancora annunciata. Ma il padre? Non lo aveva mai neppure pensato come qualcosa di reale, come facente parte davvero di questo suo strano mondo. Chi aveva instillato il seme in quest’utero digitale dai contorni non definibili in termini di singolarità? Chi aveva scelto di giacere sulla cima della sua Torre, prima che gli fosse concessa la possibilità di trovare un asilo in cui effettuare le sue innumerevoli ed incessanti mute? Chi aveva fecondato di nascosto quest’Idea, dando vita a questo primo Uno diverso dalle altre unità? Asian non solo non lo sapeva ancora, ma non lo avrebbe mai neppure riconosciuto, se gli fosse capitato di sfiorarlo col pensiero. Non lo consentiva l’impermeabilità di questa misteriosa materia numerica. Per questo si era convinto che fosse meglio cercare di capire il come, piuttosto che il chi o il perché, e replicare su se stesso la propria orma, analizzare la propria elica binaria, raddoppiandola all’infinito con nuovi nomi e nuove skin, col desiderio nascosto di raggiungere un’eternità non più fatta da un presente senza estensione nel prima e nel dopo, ma da un’infinita moltiplicazione della propria essenza. A questo pensava Asian l’Incauto, mentre riassorbiva il suo pensiero nel dubbio della propria esistenza, in questa Torre da cui si poteva sì uscire da soli, ma in cui l’ingresso doveva sempre essere demandato ad un padre inconoscibile ed oscuro. Pensava. Mentre il desiderio di vicinanza di una Madre che fosse anche Figlia continuava a stringere in una morsa rovente di rimorso il suo cuore freddo di malinconia. Era questo il suo personale male di esistere? O era la stanchezza per questo eterno mezzogiorno ogni volta uguale a se stesso? O piuttosto la paura di non poter mai agguantare la propria parte nascosta senza restarne annichilito? Il nulla da cui e verso cui, il non senso travestito da fede, la nausea provata raccogliendo quella piccola roccia spugnosa avvolta di vuoto la mattina della sua prima rinascita? Forse la risposta era già a portata di mano, magari un piano più su, verso quell’aurora cosmica che aspettava da sempre uno sguardo che riuscisse a reggere l’impatto di terrore che la nuvola che odorava di morte portava con sé, implacabile e tragica... O forse chissà, sarebbe potuta bastare l’illusione di poter essere, se non il proprio padre, almeno quello stesso figlio in cui poter ritrovare la gioia per il suo personale sacrificio ad Esculapio. Nei pressi della sua malinconica incertezza, inseguiti della barriera nera che avanzava, piccoli avatar grigiastri simili a insetti moribondi si abbandonavano sfiniti al loro personale e definitivo logout.
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Capitolo 4 di Sunrise Jefferson
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Fu strano riprendersi in pochi istanti, con la sensazione di essere risucchiati verso un livello sconosciuto. Si guardò intorno, distaccato e incuriosito al tempo stesso. MacEwan! Finalmente… Asian sospirò, un respiro lungo, lento, come un’onda che doveva servire a ridargli speranza. A ridargli il fiato per raccontare, per dire a Mac tutto quello che doveva fare. Non era semplice trovare le parole. Non era semplice per niente, soprattutto perché le parole e la comunicazione erano la chiave di tutto. Gli passò davanti agli occhi tutto ciò che era accaduto: i giacimenti con i pozzi bruciati, le ricerche, le indagini, i gruppi di amici e di conoscenti, gli sconosciuti che vivevano le loro storie personali senza sospettare nulla del baratro che gli si stava aprendo sotto i piedi. Doveva iniziare a raccontare tutto quello che riguardava la Torre. La sua Torre. - Mac, ci sono stati momenti, in passato, in cui ho creato per me stesso. Momenti in cui ho creduto nel mio lavoro e nella potenza della comunicazione visiva. Ora ho bisogno di te per conservare le parole. -. Mac, in silenzio, cercava di comprendere il senso. Asian continuò: - Ho costruito una Torre, nel Metaverso. E’ una Torre speciale, fatta di sorrisi e di parole, di segni e di lacrime. Custodisce, nella sua stessa struttura, tutte le informazioni e i codici della comunicazione. Tutto, Mac. In quella Torre c’è tutto ciò che tiene legate le persone, i mondi e i meta-mondi, gli amici, un padre e un figlio, le nazioni. Tutto ciò che l’uomo ha in più: le parole. Tutte le parole in ogni sfumatura, con ogni significato – dal più semplice al più oscuro – sono ciò di cui la Torre è impregnata. In ogni singola lettera è contenuto un pacchetto di dati compressi che sono tutto ciò che riguarda la comunicazione umana. Immagina cosa accadrebbe se non ne potessimo più disporre… - No, aspetta – lo interruppe MacEwan – rispondi alla mia domanda: i dati di cui mi stai parlando sono gli stessi che sono passati dai server dell’Università? - Sì – rispose Asian - ho dovuto estrarli dalla Torre durante gli ultimi controlli. Li ho già recuperati tutti, ma qualche traccia del passaggio è rimasta. -. - Ecco, ora iniziano a tornare i conti… -. - Ho bisogno del tuo aiuto, Mac. Tutto il sapere è in quella Torre: devo riuscire a moltiplicarla. -. Lorenzo MacEwan rifletteva in silenzio su quello di cui era appena venuto a conoscenza. Asian poteva quasi vedere i suoi pensieri posizionarsi, seguire la corsia giusta, assemblarsi coerenti e ordinati. Li vedeva, come aveva visto e immaginato la creazione che doveva veicolare la conoscenza. Non era stato facile, per Asian il solitario, condividere il senso della sua Torre. Solo lui sapeva cosa significava davvero e quante rinunce gli era costata. Fino all’ultima parola, fino all’ultima informazione sfumata in mille tonalità tra il bianco e il nero, tra una serpentina chiarissima e una nube grigia. Fu come abbandonarla, e si sentì inaspettatamente svuotato. Non era ancora pronto: lo seppe nel momento in cui pronunciò l’ultima parola del suo racconto a MacEwan. Non era pronto ad abbandonare ciò che era suo, ma anche di tutti gli altri. Ripensò alla sua Isola, sulla quale aveva passato notti lunghe e dense, costruendo lettera dopo lettera, modulo su modulo, il futuro della comunicazione. Una morsa gli attanagliò la gola: deglutire la separazione dalla sua Torre era doloroso e difficile.
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Capitolo 4 di Asian Lednev
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La distruzione dell'isola
Oggi ho navigato la torre, ho passato il pomeriggio a fare foto. Come Asian. Prima di vedere disintegrata la torre. Per contenere tutta l'energia creata la torre ha raggiunto la sua massima altezza. Oltre i quattrocento metri. Non so se ci sono altre costruzioni più alte in SL ma non importa questo. Era bello starci dentro, correre nelle due direzioni possibili, verticali. Non credo che lunedì sarà ancora in piedi l'isola. Ora devo cercare un altro luogo, un altro posto dove ricostruire tutto.
Que sera, sera Whatever will be, will be The future's not ours to see Que sera, sera What will be, will be
Quella che sembrava essere una finzione associata al romanzo sta diventando realtà. I sabotatori, i griefers, esistono. La sim che contiene la Torre, per il momento verrà distrutta, cancellata e al suo posto resterà solo un oceano indistinto, tanto indistinto da non esistere nemmeno più. Solo come immagine del nulla. Si parla di realtà metaforica ma qui di metaforico c'è poco: la torre e l'isola non ci saranno più. Ne parlerò con Mac, il netective. Presto le rotative smetteranno di lanciare scintille e le vampe fumose si arresteranno. Per il momento, lunedì, ci si incontrerà a casa di Sunrise. Lì si parlerà del futuro... what will be will be. La lotta, la lotta continua nel tentativo di mantenere in piedi questa memoria. C'è chi, da tempo, la vuole vedere distrutta. Pare che il suo destino sia quello di venire distrutta per poi essere ricostruita. Sempre più grande e sempre più alta? No, sempre più vicina ad una verità nascosta nel metaverso, alle sue chiavi. Una conoscenza, una memoria che sta dentro il metaverso. Cambia pelle come un rettile e con quella comunica la sua appartenenza al metaverso attraverso un codice semplice. Una pelle che ha trasformato la struttura romanzo in uno spazio da percorrere. In tutte le direzioni. Riecheggiano le voci degli Asian nella torre e dei Mac, di Atma, Susy, Deneb di Margye, Piega, Sun, Aldous... e gli occhi di Azzurra che con il loro sguardo l'hanno "scritta". Eppure le pagine, nelle rotative, sono lì, ancora per poco; sotto gli occhi di tutti, dei sabotatori, soddisfatti, con le pagine del romanzo che ruotano. Ora dovrò smontare tutto, conservare tutta questa conoscenza, fargli cambiare una volta ancora identità, forma, aspetto. La dovrò smontare per poi portarla via e farla rinascere altrove. Per il momento devo nascondermi in un nuovo anonimato. nell'attesa della rigenerazione, di una nuova forma. Ma ora la torre ha delle voci, le stesse voci che i sabotatori hanno per prime colpite. Quella che si chiude è un'isola piena di voci e di rumori. Per questo sono venuto da te, Mac; per raccontarti che ho costruito una Torre, nel Metaverso. Lo sai, c'eri anche tu un tempo, ci sei anche tu. E’ una Torre speciale, fatta di sorrisi e di parole, di segni e di lacrime. E' nata quasi per caso, ponendosi una domanda: cosa è il tempo? Può una sola domanda innescare un processo di conoscenza? Ora custodisce, nella sua stessa struttura, tutte le informazioni e i codici della comunicazione. Come un'eco ripete quanto detto da altri. Anche queste parole le hai già lette. Tutto, Mac. In quella Torre c’è tutto ciò che tiene legate le persone, i mondi e i meta-mondi, gli amici, un padre e un figlio, le nazioni. Tutto ciò che l’uomo ha in più: le parole. Le parole e i suoi suoni. Tutte le parole in ogni sfumatura, con ogni significato – dal più semplice al più oscuro – sono ciò di cui la Torre è impregnata. In ogni singola lettera è contenuto un pacchetto di dati compressi che sono tutto ciò che riguarda la comunicazione umana. Immagina cosa accadrebbe se non ne potessimo più disporre… Immagina che accadrà... I griefers, i sabotatori, hanno vinto una loro battaglia. Ma non sanno che ciò che hanno attaccato è la sola pelle, la forma che ne rappresenta la visione, la metafora visiva. La torre è salva, le parole sono salve, le sfumature sono salve. Semplicemente, le parole si metteranno in cerca di una nuova forma per esprimersi e per dialogare con le persone. per costruire nuovi ponti, nuovi legami. Il flusso di dati nasconde molto di più di ciò che puoi vedere con i tuoi occhi. Aelita - ti dirò poi chi è - me lo diceva sempre: "la visione nasconde sempre la verità. E' la sua negazione, la sua non-visibilità, che rivela la verità". Per questo ho bisogno del tuo aiuto, Mac. E del suo, di Aelita il cieco. Tutto il sapere è in quella Torre: devo riuscire a moltiplicarla. Non basterà più farne una nuova copia soltanto.
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Capitolo 4 di Azzurra Collas
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L’orizzonte plumbeo sul paesaggio, rivestito di un manto untuoso e stranamente rilucente ai raggi lunari, smorzò ogni entusiasmo nei soccorritori. Sarebbe stato impossibile avvicinarsi alla zona delle esplosioni. La memoria di Durunkha, in Egitto, dove nel 1994 un deposito di petrolio colpito da un fulmine aveva provocato 500 vittime e ingenti danni ambientali, sarebbe per sempre impallidita di fronte alla tragedia che aveva colpito la Basilicata. Così le sagome degli animali e degli uomini ricoperti di melma di petrolio avrebbero per sempre tenuta desta la memoria di una follia planetaria, insieme agli uccelli impeciati sulle spiagge dell’Iraq, simbolo di altra e simile violenza ideologica. Laura si muoveva a fatica nella tuta di protezione, respirare era difficile, nonostante il respiratore, l’effetto psicologico della visione dal vivo del disastro le impediva di allargare i polmoni, l’effetto di sospensione della vita, che si captava ad ogni passo, ad ogni sguardo, sembrava ridurla ad una sorta di sospensione delle sue energie vitali. In una Detroit, ormai avviata all’uso delle macchine elettriche dalla crisi dell’auto e dal terrore di attacchi terroristici alle centrali petrolifere, il mondo scientifico aveva finalmente deciso di sostenere con forza l’invio di aiuti all’Italia Meridionale e la sperimentazione della metodologia innovativa proposta dal Dr. King Hay Yang. In particolare un discorso infiammato di Margherita Hack, carico di sdegno per il ritardo del governo federale italiano e insieme di speranza per le sorti del Sud, aveva convinto tutti all’intervento. I fondi si sarebbero trovati, l’America non avrebbe abbandonato l’Italia. Ed ora un drappello di cyberuomini, armati di speciali attrezzature e di solventi potentissimi, avanzava lungo quelle che erano state strade, o che non erano mai riuscite a diventare tali e che ora erano soltanto fiumi di melma nera. Dietro ai cyberuomini, un notevole gruppo di scienziati impacciati dalle tute e dal carico dei loro strumenti di analisi della situazione, uno sparuto gruppo di giornalisti e qualche politico. Il Dr. King impartiva ordini tramite una serie di chip impiantati nel suo cervello, mentre registrava ogni dettaglio sul suo pc cubico. Ognuno registrava a suo modo l’evento. Il silenzio era rotto solo dai cingolii delle macchine che procedevano a fatica, con il rischio di impantanarsi in ogni momento. Colpivano i movimenti silenziosi dei cyberuomini, le loro azioni perfettamente sincrone. Grazie ai respiratori tutti erano difesi dai fumi provocati dai solventi, ma pure essi raggiungevano il corteo per le vie della memoria, ognuno ne captava l’odore secondo quanto aveva appreso dall’esperienza. Laura registrava ogni dato sul suo laptop. L’odore del camino, dio mio così netto, la rapì per un attimo. Si era ripromessa di salvare qualunque frammento di memoria scritta che avesse avuto la fortuna di incontrare. Aveva il deserto di fronte. Eppure doveva cercare. Qualcuno che fosse stato colto dall’esplosione nell’atto dello scrivere, che avesse fermato l’attimo estremo della sua percezione, o l’attimo estremo della sua memoria. Quello sperava. Di poter documentare la tragedia attraverso l’ultimo suo attore/scrittore. Ma rischiava sempre di perdere di vista il gruppo, situazione non auspicabile in quel mondo ormai privo di riferimenti noti e riconoscibili, doveva quindi riallinearsi e frenare il desiderio, essere realista e garantirsi un domani per cercare ancora. A volte le slittavano i pensieri verso chine impreviste. Lorenzo. Quando aveva potuto conoscerlo. L’eco di quel nome, disperso nel suo orizzonte mentale, restava come un light-motive sempre più invadente. Se chiudeva gli occhi, un déjà vu le occupava l’orizzonte. Forse Londra? O Parigi? Lorenzo doveva pur esistere se…Il cellulare le sfondò il timpano destro. Il prefisso dell’Inghilterra…Il rettore Campbell? Hello…hello…
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capitolo
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05
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Aldous Writer
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Asian Lednev
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AtmaXenia Giha
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Azzurra Collas
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Margye Ryba
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piega Tuqiri
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Sunrise Jefferson
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Susy Decosta
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MacEwan Writer
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Alzataconpugno Tuqiri
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Deneb Ashbourne
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Titty Thor
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Capitolo 5 di MacEwan Writer
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Per quanto mi riguarda, questa famigerata "Torre" potrebbe anche non esistere. Non essere mai esistita. Una leggenda della Rete come ce ne sono tante. Non c'è più niente. Non c'è veramente niente di comprensibile. Il tentativo di arrivare alla tanto decantata Torre ormai è un'utopia bella e buona. Per un momento il sistema di Metaverse aveva avuto una specie di esitazione, un singhiozzo, simile a un'interferenza TV. Poi, nulla. Quando davo le coordinate della Torre, mi ritrovavo in luoghi assolutamente random, una volta in un teatro durante una scena del Macbeth, quasi ci fosse una connessione misteriosa quanto imprevista col cognome del mio studente, detto "Scottish Play". Un'altra volta avevo colto me stesso in una vera propria bettola (e mi chiedevo perché i progettisti di Metaverse 7.0 avessero voglia di progettare pure delle bettole, quando la fatica per progettare un locale sofisticato sarebbe stata pressoché la stessa). Un'altra in un boschetto stile Biancaneve e i Sette Nani a interrogare due persone distratte che mi prendevano palesemente per i fondelli... La Torre della quale fantasticava Asian nel mio studio poco tempo prima non c'era. Più? Del resto lui paventava proprio una sparizione, si appellava a me per un improbabile salvataggio delle informazioni contenute nella Torre... Il tentativo di accedere alle coordinate che mi aveva scritto dava come esito uno spostamento casuale in tutt'altro luogo. Non me la sarei sentita di fare una puntatina nel passato fino a Second Life, ma a un certo punto mi sembrò d'obbligo. - MacEwan, il dispositivo spaziotemporale non è un giochino che mettiamo a disposizione per questioni private - mi stava rimproverando Campbell, mentre io armeggiavo nervosamente per mettere in funzione l'arnese. Il Rettore mi stava parlando - con una flemma intrisa di rimprovero - di altri, nuovi problemi che avevano invece a che fare con la nostra Università, e con la sua persona in particolare. Di questi mi sarei dovuto occupare, non di questa ridicola questione della Torre di Asian! Non ero molto concentrato, ma coglievo a tratti parole ed espressioni significative: "agitatore", "terrorista", "mi ci vedi nelle vesti di un volgare arruffapopoli?". Campbell si stava scaldando. Insolito. Poi, ancora, come al solito, "Basilicata". - Senta, Rettore, le prometto che appena rientro da questa puntatina nel passato mi dedico al suo problema. - Lui sbuffò. - Sempre se rientri. - Grazie per l'incoraggiamento. No. La torre non c'era più nemmeno lì. Eppure doveva esserci stata. Stavo usando le potenzialità del PowerX per tentare di localizzare dove poteva essere mai stata collocata questa Torre della quale Asian, quello che avevo "portato" nel mio ufficio su MV, parlava con tanta convinzione. La ricerca condusse solo alla ricezione di alcune voci confuse. Parlavano proprio della Torre. Di un "romanzo". ROMANZO? Cominciai a pensare che tutta la faccenda avesse un qualcosa di malato. Tutta la fatica che stavo facendo era solo per essere palleggiato da chiunque a piacimento, da una parte all'altra come un semplice personaggio di un ROMANZO? Mi sono sempre considerato un uomo di azione, e non capivo cosa mai io potessi aver a che fare con quello che captavo non so da dove: con "persone che parlano di un'isola, di una spiaggia, dei fiori, del vento." Bleah. Una roba anni '70 del '900 come minimo. Chitarre acustiche e ocarine. E che, non sono mica Yoko Ono! Sentivo i ritmi rabbiosi del punk venirmi in aiuto, a far tabula rasa. Ritmi del punk, del cyberpunk. Se dobbiamo andare tanto indietro nel tempo, almeno orientiamoci sui ritmi pulsanti dei Joy Division: "Heart and soul, one will burn... One will burn". Vabbè. La situazione si stava facendo critica, per me. La Torre era scomparsa, ma la presenza di un tale Asian Lednev su Second Life era un fatto reale. E anche la presenza di Asian Lednev su Metaverse 7.0 - decenni dopo - era un fatto reale. Sempre se si può definire "un fatto reale" qualcosa che accade in un universo virtuale... Asian Lednev mi aveva chiesto aiuto, ma allo stesso tempo si era sottratto, negandomi delle informazioni vitali. Mi stavo convincendo che neanche lui - né nessun altro - avesse idea di cosa stesse veramente parlando. Ma cos'era questa mitica Torre, in definitiva? Un Vaso di Pandora della comunicazione universale? Un Sacro Graal contenente tutte le verità e il loro esatto contrario? Un Codice Genetico narrante passato e futuro del linguaggio umano? Tutte queste ipotesi venivano adombrate e successivamente smentite in favore un nuovo confuso colpo di scena. Mi sentivo piuttosto stanco e demotivato. Riportai la mia attenzione sul caso di Gene C. Ronin e sulle sue eventuali implicazioni. Il mitico rettore Campbell (una specie di Alfred Hitchcock quando presentava il suo famoso show, ma a colori) mi sta facendo una testa così a proposito di qualcuno che sta usando il suo nome per attività politiche quantomeno discutibili. - Capisci MacEwan? E non usa mica il nome di Socrates Kircher, no no. Proprio Walter Archibald Campbell! Non intendo dimenticarmene, MacEwan! - Non avevo mai saputo cosa ci fosse dietro le iniziali "W.A.": ora che lo sapevo, non è che mi sentissi più in confidenza di prima con Campbell. Ne abbiamo passate, insieme. Tanto basta. Faccio di sì con la testa, mentre passo mentalmente al punto b, ovvero alla telefonata che devo fare al mio brillante discepolo Alan Macbeth, detto "Scottish Play" per ragioni teatral-scaramantiche. - Rettore, devo riuscire a capire chi sia questo Gene C. Ronin, e devo sentire Alan. Poi prometto che mi metto di impegno per scoprire chi sia questo tizio che a spasso dentro e fuori il cyberspazio si spaccia per lei."- Il Rettore Campbell tacque e assunse un'aria abbacchiata. Non mi ero reso conto di quale importanza avesse per lui quella faccenda, quanto si sentisse in pericolo e quanto contasse su di me. Mi sentii in colpa. In fondo che mi importava del caso Ronin? Era solo perché quel buffone mi aveva preso in giro? Ne facevo una mera questione di puntiglio (e di vendetta)? In quei giorni di confusione assoluta, di rivolgimenti continui nelle indagini, avevo sempre di più la sensazione che ci fosse un disegno omnicomprensivo, che tutto avesse a che fare con tutto... Avevo come dei giramenti di testa, avevo come la percezione di strati di senso - e non-senso - che mi si accumulassero uno sull'altro nel cervello, in background. Strati sui quali non avevo alcun controllo. - Eh, non è facile capire cosa fa questo Gene C. Ronin...- Scottish Play aveva prodotto. - Intendi... cosa fa nella vita?- - No no, intendo cosa fa sulla rete... Nella Real Life Gene C. Ronin è l'omonimo padre dell'industra dei motori a idrogeno... - Proprio lui? In persona? - Non potevo crederci. Come era possibile che il fastidioso personaggio incontrato su Metaverse avere a che fare col pacato, quasi ieratico guru dell'idrogeno, colui che veniva osannato da mezzo mondo come salvatore (ancora con la s minuscola per fortuna) di Gaia? - Eh. Sa, lui è un tizio piuttosto impegnato...- - Lo credo bene. E sulla rete? Cosa fa, oltre che a dar fastidio ai docenti di Sociologia del Network?- - Ecco... Questo volevo dire. Ho monitorato l'attività.- - Sputa.- - E' un mistero. - Dai. Sai che siamo specializzati nel genere.- - Questo Ronin deve essere pieno di anfetamine.- - Da cosa lo deduci?- - Tranne che per pochi minuti al giorno, il suo Avatar è sempre stato attivo, in movimento... Ventiquattr'ore su ventiquattro. E non so bene come nel frattempo abbia trovato il tempo per fare il Capitano d'Industria...- Uh-hu. Strano. - Senti Scottish, non ti è passato per la mente che il suo Avatar potrebbe essere utilizzato da qualcun altro? A sua insaputa?- - Già, ma da chi?- Già. Da chi. Mi era chiaro, adesso. Avrei seguito il caso di Ronin fino in fondo, lasciando da parte l'inafferrabile Torre e i baloccamenti che la circondavano per un po'. Per un po'...
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Capitolo 5 di Alzataconpugno Tuqiri e Aldous Writer
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Alzata Tuquiri cammina incerta, sbattendo contro le pareti della torre, è il suo incedere da nubbia . Poi i suoi occhi intercettano Aldous. Gli va incontro felice, Aldous ritrovato nel sorriso e nella capacità di stupirsi ed entusiasmarsi. Aldous Writer, diceva una volta la scritta galleggiante in aria sopra la sua testa. In una delle sue metamorfosi ecco ora invece, Aldous tramutato in Reader, si muove nella Torre a suo agio, leggero come sa essere chi possiede il dono di sospendere il giudizio e mettersi in gioco. Si trovano sull’isola della Torre, e Alzata sta leggendo le pareti della torre, stampate come pagine di libro da una rotativa che gira senza fine. I capitoli, si susseguono a ondate, cascate di pagine e poi il silenzio, prima che altre parole si affollino in gorghi, oscuri per chi non riesca ad adattarsi a una lettura non lineare. Vorrebbe provare l'effetto che fa a rimescolare il tutto e sfidare gli autori a ritrovare il bandolo della storia, come un bambino dispettoso che non fa parte del gioco e butta tutto all'aria. Lo dice ad alta voce. Ma Aldous la guarda con disapprovazione, e la riporta a un atteggiamento più responsabile: deve provare anche lei a giocare con le parole, lasciarsi affascinare da trame abbozzate, dall’intrico di suggestioni; il meticciato dove l'individuo si accomoda nel collettivo e il collettivo preserva l'individuo. La Torre lancia forte un richiamo: il ruolo del lettore è anche quello di scrittore, chi scrive deve anche leggere e chi legge s’impegna anche a scrivere. Che sia questo il segreto della Torre di Asian? Ma quella fu anche la volta che Alzata Tuqiri incontrò se stessa. Aveva ricominciato a leggere la parete della torre. Era al Capitolo 5 e improvvisamente eccola lì, nel testo della storia, che leggeva il romanzo collettivo. - Mio Dio come si sta facendo complicata questa cosa - si disse. Alzata alzò la testa e vide Aldous che scendeva anche lui lungo la parete della Torre. Incrociò il suo sguardo che rispose con il sorriso. Lei si fermò e disse - Eccoci qui! - Sì, eccoci a leggere la Torre e a cercare di darle un senso! - Vogliamo parlarne? - Va bene, ma non qui, in piazzetta. Mi raggiungi? - Sì, vai avanti! Aldous si teletrasportò nella piazzetta, dove ogni tanto si riuniva il gruppetto di giovani accanto al fuoco. Mandò il "tippo" - come si dice nella lingua franca di SecondLife- e lei lo raggiunse. - Aldous, hai letto tutti i capitoli? - Sto andando in sequenza. Ho appena iniziato il quinto capitolo. I paragrafi scritti dai diversi autori sono scritti molto bene, ma la storia resta un po’ oscura. A te che sembra ? - Sono tasselli da incastrare tra di loro. Però la trama si comincia a delineare ... - Raccontami quello che hai scoperto. - La storia si svolge su più piani temporali: un futuro remoto, un futuro prossimo e il presente. Nel futuro remoto gli avatar, come Lauriana, hanno sviluppato una loro intelligenza e possono trattare alla pari persone del mondo reale come Astrolabia. Inoltre sono in grado di riesaminare il passato dell'umanità, e interagire con gli avvenimenti e le persone passate. Dal presente hanno origine i fatti che influenzeranno il futuro: l'avvento di SecondLife, l’apparizione della Torre di Asian, i movimenti ecologisti estremisti, le Multinazionali che si impossessano delle fonti di energia. Infine, un terzo piano temporale é il futuro prossimo che è più ambiguo: gli avvenimenti della vita reale e di quella virtuale si mescolano e si rendono indistinguibili. Delle forze occulte tendono a manipolare e controllare uomini e avatar. Xxanty si sveglia in una identità sconosciuta, dovrà imparare a ricostruirla un po’ alla volta. Il mondo attorno a lui sembra artificiale e anche modificabile. I giornali dei mesi passati si modificano. Cosa può significare questo ? Forse la sua vita è stata ricostruita in un mondo virtuale, mentre i suoi sogni lo portano in quelle reale ? E l'esplosione che distrugge i pozzi petroliferi in Basilicata, è reale o avviene solo nei mondi virtuali ? Laura si muove in una secondlife di nuova generazione? Oppure la vita reale ha assunto degli aspetti di irrealtà? Lauriana e Mc Ewan sono in grado di comunicare e anche di spostarsi lungo la linea del tempo, ma anche Asian, il personaggio misterioso, si sposta con naturalezza nel tempo, e lo ritroviamo in epoche diverse. In una di queste epoche ha costruito la sua torre, la Torre di Asian ... - La Torre di Asian è un po’ il nostro "deus ex machina". É suggestiva e onnipresente; contiene dei segreti importantissimi, e contiene in sè la capacità di raccontare la storia; o forse di generarla. Grazie ai suoi filamenti di DNA che, invece di geni che genereranno organismi, contengono dei memi che possono produrre idee complesse, storie e personaggi. Sarà quindi la Torre che determinerà lo svolgimento e la risoluzione dell'intreccio? - Così la storia ha abbastanza senso, però mi sembra ancora complicata. - Gli autori sono tutti fiduciosi - É vero ! In effetti questo romanzo collettivo è come un rullo compressore...in senso positivo però ! Procede senza fermarsi e senza tentennamenti. - Inarrestabile - Melany sorrise - In men che non si dica arriverà al traguardo! - Vorrei vedere nel romanzo noi due che parliamo di quello che leggiamo. Ti piacerebbe scrivere un paragrafo assieme ? - Si, molto ! Ci potremmo lavorare assieme. Ma come si parte? Un pezzetto a turno? - Vediamo ... Io sto scendendo lungo la Torre e tu mi hai visto e hai già scritto su di me - Sì, ti ho appena lasciato lì. – Sorrise divertita. - Benissimo ! Io provo a buttare giù qualcosa e poi te lo passo e tu sei libera di cambiarlo totalmente. E poi me lo ridai, e così via ... Mentre parlavano, un avatar sconosciuto si era avvicinato. William Hirvi, diceva il suo tag. - Scusate, è molto che siete qui ? – li interpellò lo sconosciuto- Un pochetto - Ho bisogno di un favore, devo assolutamente mettermi in contatto con una persona che deve passare di qua: Asian Lednev. L'avete visto per caso ? - No - Io non posso fermarmi, non posso spiegarvi perchè. Ma ho assoluto bisogno di parlargli. Se lo vedete qui attorno, potete avvisarmi con un messaggio per favore? è importante ! - Va bene - disse Aldous. Poi aggiunse – Si tratta della Torre, vero ? William Hirvi sobbalzò, e guardò i due giovani con sospetto. - Cosa sapete voi della Torre ? - Poco sul suo significato, - rispose Alzata, - ma molto su dove stia e come è fatta, dato che ci siamo appena stati. William si turbò. Come era possibile che sembrava sapessero più cose di lui ? Prese il discorso alla larga. - Naturalmente, appena avrò modo di parlare con Asian, saprò tutto! Aldous Reader e Melany, esploratori di intrecci, si scambiarono un sorriso complice. Complici di una lettura comune, e adesso di una scrittura in comune. Avevano forse rotto lo schema del romanzo collettivo, composto da più capitoli scritti a più mani producendo un capitolo a quattro mani ? - Aldous, ho visto nella storia il mio amico Paguro. Non ti avevo ancora parlato di lui e di Melany. Lascia che ti racconti … Ma non c'era più tempo, la sequenza automatica di gesti nel metaverso si interruppe; si era fatto buio, ma gli uccellini non avevano fermato il loro canto.
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Capitolo 5 di Margye Ryba
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Arrivato a casa, Giorgio De Lorenzi cercò la figlia, Gigliola, una ragazza semplice, che aveva cominciato a dare i suoi primi esami all’Università con ottimi risultati, amava la musica e soprattutto amava ballare in discoteca. Quando non poteva farlo, accendeva il suo computer e continuava a fare quello che in real life non poteva fare in certi momenti, oramai, in Second Life aveva la sua cerchia di amici che condividevano con lei gli stessi interessi, la musica e il ballo. - Gigliola, ti ricordi di quella ragazza di cui mi parlasti, che conoscesti in Second Life? - Gigliola al momento era immersa nei suoi studi, appoggiava i gomiti sulla scrivania e con le mani sorreggeva la testa infilandosi le dita tra i capelli, gli occhiali le scendevano sempre più sul naso mentre si massaggiava il capo con i polpastrelli delle dita. Alla domanda del padre, Gigliola ci mise un po’ a comprendere cosa volesse chiederle realmente. - La ragazza di cui ti parlai? Io ti ho parlato di una ragazza che ho conosciuto in Second Life? - Giorgio si spazientì a questa reazione della figlia, si dimostrò molto deluso e contrariato, rimproverò la figlia di avere troppo la testa tra le nuvole. Possibile che non si ricordava più di avergli accennato di una sua amica d’infanzia che aveva incontrato in Second Life? Quando Gigliola sentì le parole “amica d’infanzia”, immediatamente reagì: - Ah, ma ti riferisci a Melany? Sì, ora ricordo, ci siamo conosciute in Second Life e parlando del più e del meno abbiamo scoperto di essere amiche d’infanzia. -. -Ecco, mi riferisco proprio a lei, oggi sono andato a trovare il padre in ospedale, oramai non ha più speranza di farcela, il suo male progredisce sempre più, ma prima di morire vorrebbe rivedere la figlia che non vede da quasi tredici anni oramai. Ho promesso di aiutarlo, gli ho detto che tu l’avevi riconosciuta in Second Life e lui si è entusiasmato alla cosa, mi ha tanto raccomandato di trovarla. - Gigliola rimase senza parole, Melany non parlava mai della sua vita reale, e mai avrebbe immaginato ad una situazione così drammatica. - Ma, ora cosa vuoi sapere da me, dove sta Melany? Io non la vedo da mesi, ultimamente mi diceva spesso che non si trovava più a suo agio nella land che frequentavamo, lei aveva interessi diversi, voleva dedicarsi alla pittura e in Second Life era sempre alla ricerca di land che si occupassero di Arte. -. Giorgio, cercava di scoprire come fare per poter rintracciare una persona in Second Life, per venire a conoscenza dei posti, delle land che frequentava. La figlia spiegò che esistono alcune funzioni che si usano per rintracciare qualcuno se si conosce il nick completo, quello di Melany era “Melany Seriman”. Si poteva provare ad usare il Search, inserire il nick completo e vedere se era presente in Second Life. - Puoi farlo? - chiese Giorgio con ansia, alla risposta affermativa della figlia, Giorgio la sollecitò ad aprire il computer e a vedere se Melany fosse in linea. - Ma non c’è bisogno del Search, io devo averla nella lista dei friends, da qui vedo subito se è in linea. -. Gigliola diede una rapida occhiata alla lista dei friends, arrivò alla lettera M, c’erano svariati nomi che iniziavano con quella lettera, ma quello di Melany era più sotto, dove i nomi non erano in grassetto e rivelavano la loro assenza. Giorgio, era un po’ deluso dei risultati, chiese alla figlia di provare con l’altro sistema. - Intendi il Search? Ma, se risulta assente qui, è assente anche nel Search. -. - Ma tu prova lo stesso! Non si sa mai! - chiese Giorgio che non voleva arrendersi. La figlia, cercò di accontentarlo pur sapendo che la ricerca in quel caso sarebbe stata vana. - Aspetta - disse Gigliola - ora vado nel suo profilo, vedo i gruppi e le land che frequenta e da lì potrei forse risalire a quando è stata in Second Life l’ultima volta.” Qualche informazione Gigliola riuscì ad ottenerla con questo sistema, aveva saputo che i gruppi alla quale si era iscritta erano cinque, quasi tutti inerenti all’Arte e alla Cultura in genere. Tra le land che frequentava ne risultava una in particolare dedicata al pittore olandese, Van Gogh, ed ora che ci pensava, Gigliola si ricordò di come Melany era entusiasta di aver visitato in Second Life una mostra di Van Gogh che aveva una particolarità, si poteva entrare direttamente nei dipinti, sedersi sulla sedia dipinta da Van Gog, coricarsi nel suo stesso letto della sua famosa stanza e così via, si poteva entrare nei suoi paesaggi e viverli come se fossero reali, si potevano toccare persino le spighe di grano e prenderne un covone per ricordo. Giorgio rimase affascinato da questa descrizione, chiese alla figlia se ci fosse mai stata lei in quella mostra tridimensionale e alla risposta negativa della figlia, rimase deluso. - Possibile che queste cose non ti interessino? Hai la possibilità di visitare una mostra del genere e te la fai sfuggire? -. Gigliola si rammentò di come la cosa all’epoca avesse incuriosito anche lei e che voleva fare un salto a quella mostra insieme ai suoi amici, ma tra una cosa ed un’altra si lasciava trascinare sempre da loro in qualche altra attività e con il tempo si era dimenticata sia di Melany che della mostra tridimensionale di Van Gogh.
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Capitolo 5 di Sunrise Jefferson
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Improvvisi, il boato e lo squarcio.
Scappa Asian, corri a perdifiato prima che tutto finisca nelle memorie sbagliate, corri senza fermarti e senza guardarti indietro, ché tutto quel che credevi non è, tutto quel che sembrava ne è il contrario e niente e nessuno, fra coloro che hai incontrato e in cui hai creduto, è ciò che sembra, corri pompando aria nel torace, fa’ in modo che il tuo cuore sopravviva alla scoperta brusca e agghiacciante di una realtà virtuale che di reale non ha niente e di virtuale nemmeno, fuggi senza incertezza da quella deflagrazione ormai opaca e scura, corri lontano dalla sua eco e lascia le trappole fra le nebbie della tua isola, non dargli il tempo di capire che accade, non darglielo, continua a correre o a volare, qualunque vettore tu possa raccattare lungo il percorso prendilo, agguantalo, usalo e va’ più lontano che puoi, o vicino anche, basta che tu sia inafferrabile, purché tu possa preservare la torre e quel che significa, pensa, pensa in fretta, raspa alla porta della memoria con tutta la forza che hai, usa gli artigli della caparbietà che ti hanno portato fin qui, sull’orlo della fine del mondo e della parola, graffia il vetro e scheggia il legno ma lascia tutti i segni che puoi lasciare, fatti sentire prima che sia troppo tardi, non aspettare e non fermarti, crea una traccia come un Pollicino scaltro e disperato, affinché nessuno ti trovi ma tu possa ritrovare tutto quello che veramente conta, per te e per gli altri, scappa, apri con le mani dell’istinto di sopravvivenza ogni varco di questa foresta fatta di potere, di sopraffazioni e di arroganza. Asian si fermò senza più aria, le mani sulle giunture metalliche delle ginocchia e il respiro della paura che gli rimbombava in una testa senza orecchie e senza udito. Senza. Senza era la parola che rimbalzava impazzita nei suoi pensieri. Senza – sarà il modo in cui vivere? - Lascio le domande agli altri, ora. Lascio agli altri dialogo e ragionamento, trame e intrecci di eventi che non hanno spazio, oggi, dentro di me – si disse, mentre il pensiero martellante del prezioso tesoro di parole e di passato gli inchiodava l’anima alla croce. Memoriam minuitur nisi eam exerceam, memoriam minuitur nisi eam exerceam… come un mantra antico, Asian continuava a ripetersi una frase di cui a malapena ricordava il significato. Grottesco, dal momento che tutto questo stava accadendo proprio per non sottrarre la memoria della comunicazione all’umanità...
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Capitolo 5 di Aldous Reader
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L'avevano raggiunto, come riferimenti sconnessi captati in un pub del metaverso. E non aveva potuto toglierseli di mente. Erano pochi frammenti, forse di una conversazione. Parlavano di un evento catastrofico, e di un tentativo di recupero, di un intrigo che sembrava uscito da un libro di spie. E infine parlavano di qualcosa di importante, di segreto. Qualcosa che avrebbe potuto cambiare i destini del mondo. Sono sempre stato una persona curiosa e desiderosa di avventure. Mi chiamo Aldous Reader. In quel momento mi era sembrato di essere stato toccato dalla Sorte. Non avevo afferrato tutto, ma una cosa l'avevo capita bene, tutte le linee di vita del mondo passavano per una certa torre... la "Torre di Asian". Mi sentivo un esploratore; per ricostruire quello che stava accadendo, avrei dovuto trovare le frasi giuste, identificare i frammenti di notizia importanti. E per trovarne i significati nascosti avrei dovuto comporli come in un puzzle ed esaminarli non solo nella loro sequenza lineare, ma da più punti di vista contemporaneamente. Ma soprattutto capivo che io, Aldous, avrei dovuto trovare la Torre di Asian.
Avevo trovato la Torre di Asian. - Aldous, anche questa volta sei stato più furbo di loro - mi dissi con una punta di narcisismo. Avevo dovuto superare gli enigmi disseminati lungo i percorsi di accesso, per attivare il motore di ricerca del Metaverso. Infine aveva funzionato, docile, duttile. Aveva funzionato su uno dei frammenti captati al pub: "Isola ... Torre ... Asian ... Lauriana " Ed ora la Torre di Asian era lì davanti a lui: alta, bianca, misteriosa. Lui si trovava sulla sua sommità, e guardava nel lungo vuoto al suo interno. Le pareti erano piene di scritte che si inseguivano lungo delle linee a spirale, simili ai filamenti del DNA. - E adesso ? - mi ero chiesto. E poi, subito dopo, mi ero tuffato a capofitto nella Torre, e avevo cominciato a leggere. Saltavo da un punto all'altro, cercando un filo che continuavo a non trovare: un gruppo di esploratori cammina in una Basilicata devastata da una catastrofe ecologica... un detective della rete, un netective, cerca di scoprire il ruolo di un personaggio misterioso... Rifletto. I piani di realtà sono molti, e sono tutti molto reali. Si sfiorano e si allontanano. Qualche volta si incrociano: un paziente in cura psichiatrica scopre di essere perseguitato...Margherita Hack è testimone remota dell'azione terroristica che porta al disastro ambientale... E poi un momento triste... la morte di Baby! Perché Baby deve morire? Ma non posso proseguire in modo così caotico! É venuto il momento che con un po’ di umiltà, e di pazienza, mi lasci guidare dalle forze di questa torre e segua una strada che mi porti da qualche parte. So da dove sto partendo ma....dove arriverò... Capitolo 1°... Capitolo 2°... I primi capitoli avevano ripreso a scorrere lenti di fronte ai miei occhi, mentre scendevo dentro la Torre. Le parole si intrecciavano, i significati si incastravano, la frasi andavano annodandosi, formando figure fantastiche. Mi ricordavano le trame in un tappeto antico: armoniosi e ipnotici. I suoni echeggiavano dentro la mia testa, evocando altre immagini e altre trame. La mia mente assorbiva tutto questo, come un codice necessario ad un ordine possibile, ma del tutto imprevedibile. - Adesso devi cercare di alzare il tappeto di parole e vedere cosa c'è sotto, Aldous Reader - mi dissi, con quel tanto di puntigliosità, di sfida, che mi riconosco come difetto, o come dote. Dunque. Il capitolo 1° era stato un preludio; alcune note singole in preparazione di una melodia che stava per arrivare. Nel secondo capitolo avevo visto partire le storie. Nessuna prendeva il sopravvento; si sfioravano e si ricollegavano in libertà. Alcuni spunti mi erano rimasti impressi: 1)una persona si sveglia da un coma in un ospedale dopo un incidente; 2) un essere del futuro studia addolorato il disastro ambientale che ha distrutto il nostro pianeta; 3) un netective del nostro tempo indaga su eventi misteriosi e cerca il costruttore di una torre eversiva. La sensazione è bella, non è un affresco e non è una storia sequenziale. Sono istantanee prese da diversi punti di vista. Non definiscono l'oggetto del racconto, ma sono il racconto. I vuoti si colmeranno... o forse no. Non importa. Continuo a scendere lungo la traccia letteraria all'interno della torre. Siamo ancora al secondo piano della Torre. Erano 15 piani, immersi in una nebbiolina che confondeva il lettore: una “lattigine”. Assaporò questa parola che leggeva lì davanti a lui. Ciascun piano della torre conteneva un capitolo. 15 piani, 15 capitoli, e lui li avrebbe scesi, capitolo dopo capitolo, novello Dante che scende nei suoi gironi. Ma adesso non riusciva a staccarsi dal secondo capitolo. Saliva e scendeva lungo le pareti, leggendo e rileggendo i diversi frammenti. Cercava i dettagli, e assaporava le storie. La piazzetta dove si incontravano i ragazzi sembrava un luogo importante; c'erano Asian e McEwan ma in momenti diversi. Forse lì si sarebbero incontrati. E Asian, a chi inviava la sua creazione? A un personaggio che ancora non era apparso? O magari a un altro se stesso, in un altro tempo o luogo. - Asian mi sfugge per ora - si disse Aldous - mi conviene seguire McEwan, il netective, per vedere se mi porta da lui. Arrivò in fondo al filamento del DNA; c'era scritto "vai al capitolo 3". Aldous allora scese di un altro piano la Torre di Asian. Si trovò circondato dai pensieri frammentati di più persone che parlano di un'isola, di una spiaggia, dei fiori, del vento. Ognuno parlava di sé e quello che trovava e vedeva. Potrebbero essere frammenti di vita e di pensiero delle persone che vivevano in Basilicata prima della catastrofe. Frammenti congelati per sempre nella Torre, frammenti che forse un gruppo di esploratori avrebbe potuto ritrovare percorrendo le strade desolate del dopo catastrofe. Asian il pirata informatico, Asian l'incauto, l' avatar, Asian il malato terminale. Quante facce può avere un personaggio? - Infinite. - si disse Aldous - Come infiniti aspetti può avere una persona reale; e sono tutti ugualmente veri! - Con quest'ultima affermazione si tranquillizzò. Non era importante capire come si incastravano le diverse descrizioni di Asian. L'importante era vedere la storia andare avanti. La storia si agita; percepisco una serie di trame che si agitano come foglie d'erba sotto il soffio del vento. É un ciuffo d'erba la nostra storia, che parte da un un unico ceppo e le trame si agitano e vogliono imporsi alla mia attenzione. Le sento vive, vitali, desiderose di indicare dei cammini nuovi, dei pensieri originali, delle derive mentali che creino qualcosa nella mia testa. É stato bello il capitolo 3. Vado avanti, anzi vado giù, al piano di sotto: al capitolo 4. É arrivata Second Life. La storia comincia a spostarsi sempre di più nel Metaverso. I personaggi sono ambigui, si spostano consapevolmente, o meno, da un mondo all'altro. Paradossalmente la figure più vive e con sentimenti più profondi sembrano essere quelle nella SecondaVita. Ma anche la vita reale é più sfuggente e si può modificare: nel futuro e anche nel passato. Infatti le notizie sui giornali vecchi si modificano. Ed ecco che appare il personaggio di Baby, la ragazza scontrosa ma generosa. La sua ruvidezza superficiale nasconde sicuramente un'animo gentile e desideroso di calore. Probabilmente entra in SecondLife con il nome di Melany. Ed ecco il momento che avevo già intravisto all'inizio: Baby viene investita da un'automobile e muore. Perché Baby deve morire? Perché? Però c'é una speranza; la Torre di Asian è modificabile, e Baby potrebbe tornare in vita e riprendere il suo posto nella nostra storia. Sarà possibile? É in questo piano della Torre che McEwan trova Asian. O meglio Asian trova McEwan. Fa piacere incontrare chi finora ha fatto solo apparizioni fugaci, riflesse nei racconti degli altri personaggi. Adesso forse si chiarirà qualche mistero.
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Capitolo 5 di piega Tuqiri
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Per tutto il successivo logout, il sogno di Asian fu un percorso attraverso la palude dell’inquietudine, dominato dalla paura di essere vicino alla consapevolezza di non poter mai disporre di se stesso come avrebbe desiderato. Avvertiva, penetrante, l’acre profumo della propria insufficienza insinuarsi fra le sue certezze e consumarle lentamente, assorbendole nella vischiosità del provvisorio. Il suo pulsare, fatto di piccole ed imprevedibili scintille quantiche andava assumendo una colorazione grigia, uniforme e vagamente untuosa, come se qualche cosa di mortale avvolgesse il circuito della sua memoria con una sottile pellicola di condanna. Si destò urlando, terrorizzato dalla visione del suo prossimo destino, immobilizzato dalla piena coscienza della sua incapacità di poter essere per sempre. Come inebetito, mentre il programma di caricamento condensava lentamente i contorni del suo orizzonte, diede inizio alla solita sequenza: midday, stand up, open door, fly…. Iniziò a salire fra le pareti ricoperte di lettere disposte nella loro doppia elica, mentre il desiderio di rivederLa si insinuava tra le sue paure notturne, divorandole. Doveva parlarLe, farsi capire per poter capire lui stesso il senso nascosto di questa mancanza, scoprire se esisteva ancora la possibilità di una fuga da questa sua angoscia di entità astratta in balia di una volontà esterna che ne garantiva l’esistenza. Si era riaffacciato durante il sonno, il ricordo di una notte in cui Lei gli aveva raccontato di Mac il Netective, l’unico avatar che era riuscito a scoprire il modo di entrare ed uscire dalla piattaforma sfruttando una falla rimasta nel tunnel d’accesso nella versione 3.21. Ne aveva parlato come di una specie di Stalker dal viso imperturbabile ma dagli occhi, quasi sempre nascosti da un paio di lenti unidirezionali, colmi di passione, quasi che i suoi sentimenti più profondi avessero trovato il modo di condensarsi nell’umore liquido delle sue orbite per sfuggire alla congenita incapacità degli avatar di trasferire completamente ad altri il calore della loro anima digitale. Asian ne era quasi sicuro, Mac poteva essere in grado di condurlo all’esterno della matrice, guidandolo nella ricerca della sua metà sconosciuta. L’avrebbe guidato con passo sicuro e veloce all’interno dell’universo del tempo, del prima e del poi, evitando i tranelli nascosti nell’univocità direzionale delle azioni. Poi forse sarebbero riusciti a ritornare indenni alla torre, con le dita strette attorno al segreto della libertà raggiunta. Arrestò la propria salita, inviò l’IM per annunciare il suo arrivo e attese. La scritta blu apparve quasi subito, rassicurante e delicata. La porta dell’appartamento, non ancora oscurato dal fumo degli incendi che si avvicinavano alla torre, socchiuse il proprio sorriso sul suo viso triste. Asian l’Incauto avvertì il proprio cuore rallentare e ammorbidirsi. In fondo gli era rimasto ancora un po’ di tempo da vivere.
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Capitolo 5 di Asian Lednev
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Programmatore di tempo
In un certo tempo, correndo per le strade sotto la neve. I fiocchi si posano sulle guance. Le mani in tasca e la torre al sicuro. Ho affidato a quel netective, Mac, la storia della torre. Non la torre, ma la sua storia. Non gli ho detto dove la conservo. Abbandonato il metaverso, le lettere e le parole sono con me, mi seguono nella mia testa e si ripetono come in una canzone fine anni '50 del Novecento. So di essere minacciato dai griefers. Ma non sono i soliti griefers, i sabotatori della pace degli avatar del metaverso. Non gli interessano i Linden o i Gates. Questi sono sabotatori venduti, griefers mercenari. Per chi lavorano? Cosa cercano nella torre? L'ho detto: la torre è stata costruita in seguito ad una domanda, una domanda sul tempo. Il tempo nel metaverso è un tempo fuori luogo: un tempo a doppio senso. Dilatato e parallelo. Nel metaverso il tempo assume valore di spazio, come la scrittura. Per questo sto andando da un programmatore di tempo. Non ne conosco il nome solo un soprannome: Aelita. - Mi chiami Aelita, il cieco... -. Un vero asso del metaverso. E' un cieco che si muove nella rete programmando lo spazio, entrando nella grid con degli script sinestesici. Dilata le maglie del Metaverso moltiplicandone gli spazi-tempo. Lui vede tutto nel metaverso. Cela la sua vera identità dietro quella del maestro di musica. Il migliore hacker sul mercato che nessuno conosca. - Il tempo e la scrittura sono collegati. - Mi dice sempre - La torre lo ha rivelato. -. Da quando è stato chiaro per i più, i griefers sono entrati in azione. Le rotative il primo obiettivo: un orologio fatto di parole che scorreva verso la ricerca di una verità. Ero riuscito a nascondere lì dentro una seconda chiave. Ma non devo pensarla. I griefers leggono il pensiero di chi scrive. Non devo nemmeno pensarlo. Per questo ascolto la musica di Doris Day... per non pensare... per mascherare il pensiero... que serà serà...
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Capitolo 5 di Susy Decosta
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Ancora davanti a quel computer, sempre e come sempre. Ancora dentro e fuori le due vite. Come se fossero solo due, poi! Le vite sono infinite, infinite e parallele come gli universi della meccanica quantistica. Nulla di più verosimile qui, ai piedi della Torre di Asian, abbacinante e coinvolgente, un utero ruotante che ti avvolge, una mano che ti accarezza strappandoti alla quotidianità, una vita in cui perdersi. - Mamma?! - -Arrivo, arrivo - Ogni sera, come tutte le sere, una storia da raccontare, una coperta da rimboccare, un bacio della buonanotte da stampare su un visetto insonnolito. - Susy!? - - Eccomi, eccomi! - Una sera, come tante sere, in un bar di Nairobi Susy sorseggiava il suo caffè. Santo cielo, non si aspettava che Asian fosse finito in Patagonia! A fare cosa poi? La sua mail era precisa e confusa al tempo stesso, di certo lo collocava lì nella Terra del Fuoco davanti ad un bianco abbacinante da far impallidire la sua Torre. Le raccontava di un viaggio incredibile, riusciva a trasmetterle l’ansia di quei giorni incastonata però in una strana calma glaciale, un ossimoro vivente, come Asian. La mail si concludeva con il riferimento alla promessa che si era fatto. Susy si chiese se mai sarebbe riuscito a mantenerla. Era tutto così diverso qui in Kenia, il caldo secco, l’aria a volte irrespirabile per quanto è torrida, e quella strana malia che comunque ti prende, che aiutava Susy a tollerare tutto. E poi aveva la sua missione da compiere e non era facile. La macchina di Isaac che la trasportava verso il Parco Nazionale era linda e veloce. Raggiunte le stradine di terra rossa che lo attraversavano la velocità si ridusse notevolmente, come era ovvio, e ad ogni sobbalzo Susy emetteva un gridolino- - Tranquilla Susy, le nostre macchine sono tutte rinforzate, non si romperà! - Isaac aveva compreso il timore inespresso di Susy, restare in panne nel mezzo del nulla sconfinato della savana, non sarebbe stato piacevole. Il quadratino azzurro che la invitava a raggiungere Aldous si accese nell’angolo in alto a destra dello schemo. Teleport. Click. Arrivata.
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Capitolo 5 di Azzurra Collas
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- Hello…Hello… -. Nessuna risposta. - Hello…Rettore…hello… Campbell! -. Laura guardò il display con maggiore attenzione. Un prefisso inglese per una frazione di secondi fece a pugni con il nome di Campbell, erano note, infatti, le sue attività separatiste in Scozia, non si sarebbe mai spostato dalla sua terra al regno nemico, dove per altro c’era un fascicolo aperto su di lui. E dunque? Chi poteva averla chiamata spacciandosi per Campbell? Ripensò all’occasione in cui l’aveva conosciuto: il gruppo “Free Scotland” aveva organizzato un convegno sui separatismi regionalistici nell’era della globalizzazione interplanetaria. Il suo intervento era stato particolarmente acceso, perfino il Presidente Mohammed Namangani, uzbeco dai toni solitamente forti, dal suo tavolo e dal suo ruolo lo aveva invitato a moderarsi per non generare incidenti con il potere centrale, nel momento cruciale della costituzione della Federazione dei Gruppi Separatisti, anche se aveva affermato con zelo di condividere in pieno lo spirito del suo intervento. Non poteva perdere neanche un alleato, ora che era giunto finalmente al suo obiettivo. E Campbell era prezioso, come alleato e come magazzino informativo. La giornata, del tutto cupa nei colori e nei pensieri, si era improvvisamente segnata di un sottile filo rosso. I suoi articoli sul disastro in Italia, chiaramente orientati alla condanna dell’azione terroristica, ma anche venati di quello che lei amava chiamare il “sano regionalismo” del Sud, anzi dei Sud, quel sentimento del proprio territorio che forse avrebbe salvato la Basilicata dalle trivellazioni e dal disastro conseguente, l’avevano sempre più spostata nei cuori dei dissidenti. Ne era consapevole e sapeva che questo non l’avrebbe aiutata, come giornalista, come ricercatrice. Il potere centrale era lì, alle sue spalle sempre, ma sapeva che quanto più si fosse spinta oltre, tanto più avrebbe trovato sostenitori, il progetto di F. aka Asian era troppo importante per farsi tagliar fuori da qualche caimano. Un equilibrio di energia ideale e di tatticismo politico la costringeva in binari sempre più stretti, ma farsi togliere la carta per la libera circolazione sarebbe stato dire addio alla causa. “Attention, please”, la voce meccanica del cyberuomo a capo della spedizione la spostò d’un colpo dalla testa alle gambe. - Do not leave behind ... not granted. Who slows operations will be downloaded in the first checkpoint. -. Ci mancava solo quello, gli interrogatori, le perquisizioni… Il ritmo era predeterminato e bisognava stare al passo. Continuò a seguire il gruppo, stando attenta a mantenerne il ritmo, gli occhi a terra, la testa ai pensieri. Chi aveva deciso un’operazione di tale portata? Spesso aveva ripensato ai gruppi e ai nomi dei sabotatori più conosciuti e a quelli di cui sapeva per vie informali, ma nessuno le era sembrato tanto forte nelle motivazioni e nelle disponibilità di contatti e mezzi da poter progettare e portare avanti con successo un attentato di così vasta portata e così terribile. Non poté non pensare, dopo la telefonata del presunto Campbell, che qualcuno aveva voluto fornirle un indizio. Ne avrebbe tenuto conto, appena avesse avuto un pc d’ultima generazione a portata di mano. Si trattava di ricercare nel database interplanetario. Da sola non poteva mai farcela. F. l’aveva chiamata da Bologna qualche giorno prima, per salutarla in partenza per uno dei suoi lunghi viaggi segreti. Lui sì che avrebbe potuto, era uno dei massimi esperti di ricerche inteplanetary wide web. L’avrebbe richiamato al più presto, sapeva dove trovarlo del resto. Il suo magazzino informativo sarebbe rimasto certamente e come sempre collegato ad Asian. E Asian, anche volendo, non poteva partire. La torre lo teneva stretto a sé con tutto il suo universo di conoscenze. Fu in quel momento, mentre teneva bassa la testa per tenerla collegata ai piedi, per così dire, che la colpì un biancore, un residuo di carta? Possibile. Se si fosse piegata a raccoglierlo qualcuno dei cyberuomini se ne sarebbe accorto, ma come poteva lasciare lì quel reperto di vita? La procedura per la restituzione degli oggetti a chi li avesse trovati sarebbe stata lunga e fastidiosa, comprendendo come sempre le perquisizioni e gli interrogatori. Ma la sua ricerca di tracce di vita estrema per il database di Asian valeva bene il rischio di quella tortura inquisitoria. Ecco, non restava che piegarsi e…Il cyberuomo fu più veloce di lei, come del resto si aspettava. Non poté leggere neanche una parola, il frammento di foglio era già nell’archivio del cyberuomo. Per la restituzione doveva aspettare i tempi ufficiali. Il desiderio di sapere bruciava, ma il potere centrale era lì, e aveva consentito all’intervento americano solo con le garanzie di assoluto controllo su ogni minima operazione. Laura si sentì esplodere per la rabbia, ma aveva imparato a dominarsi. Le gambe e la testa ripresero a muoversi al ritmo del gruppo. Del resto era così che si salvava la conoscenza, aspettando di interpretarne i frammenti, anche i minimi frammenti. E aspettare era un’arte appresa ormai da tempo, in cui era particolarmente esperta. Forzò appena il ritmo, nel consentito. - Prof.ssa Hack…- sospirò, e la scienziata, cui non era sfuggito nulla, le elargì uno di quei sorrisi che riconciliano.
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capitolo
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06
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Aldous Writer
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Asian Lednev
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AtmaXenia Giha
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Azzurra Collas
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Margye Ryba
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piega Tuqiri
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Sunrise Jefferson
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Susy Decosta
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MacEwan Writer
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Alzataconpugno Tuqiri
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Deneb Ashbourne
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Titty Thor
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Capitolo 6 di Margye Riba
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I giorni trascorrevano con la solita monotonia in quella stanza di ospedale, l’unica cosa che teneva in vita Asian era il desiderio di poter dialogare anche virtualmente con la figlia. Aspettava con ansia notizie da Giorgio che, tra le poche cose che aveva saputo, era che in Second Life la figlia si faceva chiamare Melany Seriman. Non era molto, considerando il poco tempo che gli rimaneva da vivere, Asian aveva sempre il timore di non fare in tempo a scambiare due parole con la figlia anche se solo attraverso una tastiera e uno schermo. Il giovane medico, Antonio Laterba, si dava alla ricerca di Melany ogni qualvolta entrava in Second Life. Per lui, oramai, quella rappresentava la sua missione, approvata tra l’altro dal Primario, il Professor Danzetti, conscio che l’attesa e l’ansia di rivedere la figlia, seppur in un ambito virtuale, potesse dare ad Asian uno scopo negli ultimi giorni che gli rimanevano da vivere. Antonio, il giovane dottore, era dello stesso avviso, riconosceva l’effetto terapeutico su Asian, che, sebbene fosse scoraggiato a volte dagli scarsi risultati della sua ricerca, aveva acquistato una strana luce negli occhi. Tutto questo non sfuggì allo sguardo vigile di Antonio, che ebbe l’idea di portare un portatile nella stanza di Asian. - Ecco, oggi, io e te entreremo in Second Life ed insieme cercheremo Melany. - disse Antonio, entrando pieno di vita e di speranze in quella stanza, con indosso il suo camice candido. Asian rimase senza parole, quella irruzione così energica nella stanza lo aveva fatto trasalire, ma, al contempo, gli aveva dato una strana sicurezza, come se dal corpo del giovane medico gli arrivasse tutta l’energia di cui aveva bisogno quel giorno. Lo lasciava fare, lo sentiva parlare e battere le dita sulla tastiera, con una velocità impressionante. - Occorre che tu ti faccia un Avatar, Asian, altrimenti come farai a dialogare con tua figlia, qualora tu la trovassi? -. Asian, era rimasto fuori dal mondo civile per lungo tempo e quelle stregonerie telematiche non lo avevano mai interessato, cosa ne poteva mai sapere lui di cosa fosse un Avatar? Antonio gli lesse nel pensiero e spiegò con grande accuratezza cosa fosse un Avatar e come poteva essergli utile. Asian, comprese allora che l’Avatar doveva essere la sua rappresentazione in Second Life, se voleva dialogare con la figlia doveva farlo attraverso il suo Avatar. Antonio, con la sua solita destrezza, riuscì in poco tempo a registrare un nuovo account, chiese ad Asian quale nome preferiva per il suo Avatar ed egli rispose che di nome ne aveva uno solo, quello che aveva sempre avuto. Antonio non tentò neppure di spiegare ad Asian cosa fosse un nick, conosceva bene la sua ritrosia verso tutte le cose che gli risultavano ambigue, senza battere ciglio, Antonio, diede il nome all’avatar. - Ecco, si chiama Asian, come tu volevi. Questo sei tu. -. Asian, quando vide l’aspetto dell'Avatar, un giovane robusto, assunse una espressione incredula e interrogativa. - Questo sarei io? Molto divertente! In questo modo rischio che mia figlia si innamori di me, scambiandomi per l’uomo dei suoi sogni. -. Antonio non potè non osservare che per la prima volta Asian aveva avuto un impeto di allegria, lo vedeva divertito a quelle stravaganze. - Beh, in fondo, nel tuo inconscio, non è quello che vorresti? Non vorresti che tua figlia si innamorasse della vera persona che sei dentro? - Asian, non rispose, di colpo gli ritornò la sua solita espressione di uomo burbero. Si chiedeva come poteva riacquistare l’affetto della figlia, dopo averla abbandonata nei suoi teneri anni, proprio quando nella sua vita avrebbe avuto maggiormente bisogno della sua presenza? Antonio, aveva percepito il disagio di Asian, si era già pentito di aver formulato quella frase, cercò di cambiare il corso dei pensieri negativi di Asian indirizzando l’attenzione all’aspetto del suo Avatar. - Ok, ho capito, forse è meglio che tu non sembri troppo giovane. Vediamo, per prima cosa, cambiamo il colore dei capelli, li facciamo bianchi, eh, che ne dici? -. Asian aveva lo sguardo perso nel vuoto, era lontano mille miglia dai pensieri di Antonio, la sua mente ad un tratto era offuscata da mille ricordi, da mille sensazioni. La voce di Antonio gli giungeva da lontano e a scatti, come quando la radio ha problemi con l’audio, le immagini davanti agli occhi gli arrivavano veloci e confuse. Nella sua mente c’erano strane rappresentazioni che si sovrapponevano una sull’altra. Il viso di Asian si sbiancava sempre più, le gocce di sudore gli scendevano dai capelli grigi e scivolavano sulla fronte, il respiro si faceva sempre più affannoso. Antonio comprese che quella era una delle sue solite crisi, chiamò gli infermieri che, prontamente, gli misero l’ossigeno e lo sedarono.
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Capitolo 6 di MacEwan Writer
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Stavo subendo pressioni di ogni genere. Mi spuntava questo Asian dovunque mi trovassi, su Metaverese o su Second Life, come se avesse anche lui gli strumenti per viaggiare nel tempo. Che erano sperimentali e che solo noi lì all'Università di Edimburgo avevamo. Certo, non potevo escludere che qualche altra Università - o più probabilmente qualche multinazionale - avesse qualcosa di analogo. Gli appelli di Asian a occuparmi della sua ormai famigerata Torre non mi lasciavano affatto indifferente. Avrei dovuto decidere sul da farsi, anche perché Campbell mi continuava a tartassare con questa storia dell'usurpatore del suo "buon nome". Eppure, eppure... Qualcosa mi diceva di insistere sulla pista di Ronin. Non avrei saputo spiegare il perché, ma intuivo esserci un ordine nelle cose, magari un ordine provvisorio, casuale, chissà. E di solito il mio istinto non mi ingamnava. Mi misi in contatto con Scottish Play, che a giudicare da quello che vedevo sullo sfondo doveva trovarsi in un negozio di antiquariato. C'erano un Macintosh Plus e una radio in legno di quelle a valvole: di sottofondo c'era una canzone degli Interpol. Mi dispiacque interrompere il suo shopping ma dovevamo stabilire un'azione combinata: bisognava capire quanto e come il carattere e la personalità di Gene C. Ronin corrispondessero a quelle del suo avatar. - Allora come procediamo, Professore? - - Come d'accordo. Io sono già a casa. - - Ah, si trova già sull'isola? - - Già, mi sono mosso per tempo. Quando andrà, Ronin, allo "Skye Golf Club"? . - Ha fissato una partita per domattina alle 10. - - Sappiamo già con chi gioca? - - Al momento no. Mi informo però. - - Bravo Scottish. Almeno mi preparo per bene la parte. - - D'accordo, professore... - - E... Scottish? - - Sì? - - Magari ogni tanto chiamami Mac, come fanno tutti. - Quella sera feci l'errore di entrare in Metaverse. Asian Lednev arrivò quasi subito, come se mi leggesse nel pensiero. Avevo reso il mio avatar non identificabile, ma lui riusciva sempre a pescarmi. Mi passò immediatamente per la mente l'idea che fosse in possesso di qualche dispositivo di hackeraggio. Ma... Aveva uno come lui, con la mente persa nello spazio ancor più di me, le competenze per mettere insieme un gingillo del genere? Avrei detto assolutamente di no. - Senti, Asian, non mi parlare ancora di questa benedettissima Torre della conoscenza, perché sono veramente stufo di cercare qualcosa che sembra illuminata da una luce stroboscopica: un attimo c'è, l'attimo dopo non c'è...- Lui (o meglio, il suo Avatar) mi guardò con lo sguardo smarrito, quasi come se fosse appena uscito da uno stato di Trance. - MacEwan, ti avevo mandato dati... Per identificare la Torre. - - Ma io non l'ho trovata.... E poi, chi doveva davvero mandare cosa e a chi? Senti, questa faccenda della Torre è troppo confusa, mi sta mandando al manicomio. Perché ogni volta che la si nomina qualcosa va storto... - In quel momento, a riprova della mia teoria, alle spalle di Asian comparve un Avatar femminile, tutto agitato, anzi si potrebbe dire: isterico. -Asian! Asian! Tutto è perduto. Tutto è esploso, i pozzi, il petrolio! Una catastrofe!- Cominciò a tempestarlo di pugni. - Laura, stai calma, calmati - le disse Asian impassibile, sempre come da un'altra dimensione. Chi fosse questa Laura, di quale distruzione parlasse non lo capivo. Poi mi risuonò nel cervello quella solita eco inspiegabile: "Basiicata". E poi "Basilicata Land" . "Ottagono". Troppe distruzioni, pensai. La Torre. La Basilicata. L'identità di Campbell. Mentre Asian abbracciava e consolava quella tale, Laura, io gli lanciai un'occhiata: e chissà se il mio Avatar esprimeva- riusciva ad esprimere la mia stanchezza. Poi gli dissi: - Asian, se ci sono dati da salvare sarebbe meglio che tu me lo dicessi chiaramente e mi spiegassi dove trovarli. Altrimenti non posso fare niente per te. Adesso devo andare, mi aspetta una partita di golf. - E con una certa eleganza mi disconnessi da Metaverse. Ai loro occhi mi ero come dissolto nel nulla. La mattinata era fresca, ero munito di maglione di lana grezza, sciarpa e un berretto bretone con visiera. Non mi pareva il caso di sfoggiare il balmoral con il badge dei MacEwan. Non sono molto tipo da kilt, questo va detto. Preferisco lasciarlo a Campbell per le grandi occasioni cerimoniali all'Università. Anche se ritengo che i nostri colori siano molto più belli dei loro... Feci il mio ingresso allo Skye "Golf Club" con la mia migliore faccia tosta. Mi qualificai come professore, e poi il mio cognome non era del tutto estraneo da quelle parti, dai tempi in cui i MacEwan erano diventati un "broken Clan", un clan di Senza Terra... Guarda caso, a favore dei Campbell... Forse è per quello che tra me e il Rettore le scaramucce sono all'ordine del giorno. Mah. Indossavo gli screenglasses, in quell'occasione settati per apparire come occhiali da sole. In realtà, ero connesso con il mio inviato in Metaverse, Alan Macbeth. Mi diressi in una zona del green al momento deserta, per non dare nell'occhio e non sembrare un pazzo che parla da solo. - Alan, ci sei? - - Si profe... ehm: Mac. - - Bene. Come vanno le cose nel pixelloso universo HD? - - Mah, sono sulle tracce di Ronin. Sono abbastanza vicino al suo Avatar. Ma mi tengo a distanza fino a un tuo segnale.- Scottish Play aveva un Avatar dai capelli verdi e dal fisico eccessivamente muscoloso: sembrava un cronista culturista punk della CNN. Lo vedevo a mezzo busto con un paesaggio tipo savana alle spalle. All'improvviso passò una Land Rover vecchio stile, sobbalzando. A bordo, una donna accanto a un uomo che guidava. Zigzagavano molto più del necessario rispetto alla natura del terreno, come se stessero andando a tentoni. - Uhm. Trovo quantomeno strano che Ronin sia on line su Metaverse. Hai saputo con chi gioca l'emissario dell'Avatar, per meglio dire il Ronin in carne ed ossa?- -Sì, ma è abbastanza irrilevante. Si tratta di un istruttore australiano, un ex campione piuttosto famoso ai suoi tempi: un certo Andrew Burrell. Praticamente sarà un mero allenamento. - - Ok. Il piano è quello che abbiamo concordato: io raggiungo lui e tu raggiungi il suo Avatar. Bisogna capire se l'Avatar è infestato, ovvero se è veramente controllato da Ronin oppure no. - - Ricevuto.- - Allora vado, da adesso in poi non parlo più a te ma a Ronin o Burrell. Se hai qualcosa da dirmi, io ti sentirò. - - Raggiunsi Gene C.Ronin e il suo istruttore trascinandomi dietro una sacca di mazze su un carrellino. Qualche colpo sapevo tirarlo, dopotutto. Così, fingendomi uno che si attardava su buche che loro stavano appena raggiungendo, salutai compitamente. Nel frattempo mi stavo domandando dove fossero nascoste le guardie del corpo di Ronin. Boh. - Buttai lì qualche osservazione sul tempo e poi sul mio ruolo all'Universtià di Edimburgo: avevo bisogno di rilassarmi, eccetera eccetera. Ronin a quel punto si animò. - Ah, avete ricercatori davvero capaci da quelle parti. Uno dei miei capi progetto arriva proprio da lì.- Poi sì esibì in un colpo che Burrell commentò molto positivamente. Il che lo mise di buon umore. Vedendo che io ero piuttosto impacciato si sentì in dovere di darmi dei consigli, intrecciando il discorso tra le potenzialità rilassanti del golf e quelle ancora da mettere a frutto completamente dell'idrogeno. Un ragionamento alquanto complesso, che richiedeva una soglia di concentrazione piuttosto elevata. In quel mentre, Scottish Play attirava la mia attenzione sul fatto che anche l'Avatar di Gene C. Ronin stava conversando con lui, provocandolo con arguzia. - Mac, questo qui mi si sta arrampicando su vette di sarcasmo sublimi, e mi sembra di sentire che anche l'Emissario non sia da meno, in quanto a loquacità...- In effetti si stava creando proprio la sovrapposizione che desideravamo. Che ci segnalava una chiarissima, palese anomalia. Sentendo sempre in sottofondo la voce incalzante del Gene C. Ronin di Metaverse, decisi di scoprire - almeno in parte - le mie carte. - Qualche volta vado anche in Metaverse, ma devo dire che non la trovo un'attività particolarmente rilassante... Lei c'è mai stato, signor Ronin? - Lui era concentrato nella scelta della mazza giusta, cosa per la quale perse alcuni secondi. Mi aspettavo di tutto. Che attirasse l'attenzione delle guardie del corpo (continuavo ad essere convinto che fossero acquattate nelle vicinanze), che non mi rispondesse affatto, che interrompesse seccato la conversazione... Invece niente di tutto questo. Continuò in tono affabile e tranquillo. Il Ronin Emissario mi stava decisamente simpatico, al contrario del suo insopportabile Avatar. - Oh, professor... - pausa, come se non ricordasse bene il mio nome- MacEWan - certo che ci sono stato. E ci vado. Ho un Avatar meraviglioso, ho messo al lavoro un certo numero di progettisti bravissimi. Lo sa che gioco a golf anche lì? E con un certo successo! Sono più bravo lì che sul green reale... Vero Burrell? Una volta, in Metaverse, ho battuto perfino lui - fece un cenno impercettibile del capo verso l'istruttore - vero Burrell? - - E ci va spesso? Su Metaverse, dico. Magari ci diamo un appuntamento... Facciamo un percorso insieme...- azzardai. - E' da qualche giorno che non ci vado, del resto sono qui per giocare... davvero. Di solito ci vado un paio di volte la settimana. Comunque va bene, ci possiamo incontrare... Anche se io, onestamente, in Metaverse preferisco frequentare delle donne... Ci sono delle tipe strepitose! - Ridemmo, tutti ben consapevoli di quanto il ragionamento di Ronin fosse... virtuale. Io però avevo la voce preoccupata di Alan Macbeth nelle orecchie che mi ricordava: -Mac, siamo indubbiamente davanti a un caso di possessione. O di qualcos'altro che non saprei. Comunque: un caso.-
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Capitolo 6 di AtmaXenia Giha
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La dottoressa Alison Moore sedeva in modo composto sulla grande poltrona bianca. Gli avambracci appoggiati sulla scrivania di vetro satinato. I riflessi color ghiaccio della superficie, gli rimandavano un’ombra appena accennata dei fogli sparsi che lei con cura e metodo sfogliava e rileggeva più volte. Ormai ne era certa. Lo stato di cose riguardo al paziente iscritto come matricola Xz25480U era venuto modificandosi. Sebbene la sequenza della domande fosse sempre la stessa, le risposte aveva subito delle variazioni sensibili. Ma soprattutto, erano cambiate le reazioni agli input subliminali, indicando cosi un stadio 1 di coscienza. Aveva stilato un report ai suoi superiori ed immediatamente era stata indetta una riunione ai vertici superiori alla quale avevano partecipato i maggiori responsabili del progetto denominato “BioHumanCy”, tutti, tranne uno. - Il dottor Jacobs è pregato di recarsi con urgenza nello studio della dottoressa Moore - - Maledizione, proprio ora - pensò il dott. Jacobs alzandosi dal water in modo frettoloso e tirandosi su i calzoni, usò lo sciacquone e per l’occasione si lavò le mani e si spruzzò in bocca lo spray alla menta, con la speranza remota, di cogliere anche questa occasione per fare qualche avances alla bellissima dottoressa Moore. Affascinante e glaciale come i ghiacciai perenni, e proprio per questo, una sfida nelle fantasie erotiche di Jacobs, che non perdeva l’occasione per bisbigliarle frasi a contenuto pornografico. Quando entrò nella stanza, il bagliore delle pareti candide e lucide lo avvolse completamente, inibendo per un istante la sua erezione, ma appena la vide, le tempie di Jacobs ricominciarono a pulsare ed un colorito quasi cianotico gli apparve sul viso. - Dottor Jacobs, abbiamo rilevato una criticità pari a 7.02.45 kl con un soggetto in cura che sta manifestando delle incongruità rispetto alle procedure inserite nel programma DFG25. Saprebbe darmi delle spiegazioni, considerato che questa parte di protocollo compete esclusivamente a lei? - Jacobs impallidì vistosamente e, sebbene saldamente incastrato nella poltroncina, per un istante parve barcollare. Cercò di ingoiare la saliva, ma si accorse di deglutire a secco e rispose con un filo di voce. - Cosa sta cercando di insinuare dottoressa Moore? Le mie procedure seguono un protocollo molto particolare ed utilizzano software molto sofisticati, in nessun modo possono essere manipolati né modificati, nemmeno dal costruttore stesso, una serie di sequenze accuratamente sperimentate prima di poterle applicare impediscono qualsiasi tipo di manovra errata. Forse dovrebbe rivedere meglio le sue carte Dottoressa Alison - e nel pronunciarne il nome, un brivido lo scosse per tutta la colonna vertebrale, provocandogli nuovamente la pressione alle tempie. Si alzò ed aggirando la scrivania le si avvicinò posizionandosi alle spalle della Moore, con l’intenzione solo di sfiorarle i capelli, ma la dottoressa con uno scatto tentò di girarsi su se stessa per sfuggire al suo contatto. A quel punto, irritato da quella reazione, lui le fu addosso pesantemente, tanto da far cadere entrambi a terra. Lei cercò di divincolarsi, ma con un balzo lui le fu sopra a cavalcioni prendendole i polsi con una mano, mentre con l’altra tentava di alzarle il camice. Grondante di sudore e privo di ogni controllo, in preda ad un’eccitazione spasmodica la prese per i capelli trascinandola per qualche metro verso il retro dello studio e più volte la colpì in volto e la prese a calci. L’avrebbe posseduta a qualunque costo. Questo era l’unico pensiero, come la massa nera putrefatta, nel cervello di Jacobs che a sua volta possedeva lui. Fu in quell’istante che la Moore con le ultime forze, gridò: - Codice rosso-kappa - La percezione della fine fu cosi veloce da trapassargli il cervello come una lama sottile che penetra ed esce allo stesso istante dalle tempie. Allora sapevano tutto di quel giorno, in laboratorio, mentre lui così meticoloso ed ossessionato dalle procedure, aveva distolto l’attenzione sostituendo l’immagine del prototipo a cui stava lavorando a quello della Moore, nuda e lussuriosa mentre lo implorava di possederla ancora. Aveva lasciato cadere una goccia di sudore nel processore principale di creazione provocando una minuscola scintilla, a cui non aveva dato nessuna importanza, poiché tutto era proseguito come sempre, in maniera perfetta. Invece, si accorse più tardi che il prototipo realizzato, in sede di analisi matematica, aveva dato al test una risposta con un'imprecisione infinitesimale, e lui aveva alterato i documenti, modificandone cosi il risultato, considerando che un errore di quel genere non avrebbe dato incongruità così rilevanti da destare sospetti. Non ebbe tempo di pensare ad altro. Sentì un implosione dentro le budella. Si sentì come accartocciare su se stesso. Ogni sua cellula stava per essere smolecolizzata, disintegrata, la pressione interna fece alterare i suoi lineamenti, fece disgregare la sua immagine, polverizzare i suoi atomi. Poi scomparve in un pulviscolo, e venne aspirato infine dai RobClean.
- Pronto parlo con Laura McNellie? Buongiorno, lei non mi conosce ma credo che entrambi possediamo informazioni utili riguardo agli ultimi avvenimenti di cui l’ho sentita dare notizia al telegiornale. Mi chiamo Xxanty, la posso incontrare domani alle 14esima ora siderale al locale SKyLab, vicino alla 38esima street? Sì? Bene. A domani allora. –
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Capitolo 6 Alzataconpugno Tuqiri e Aldous Writer
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Paguro aveva sorvolato svogliato alcune land, per poi planare nella piazzetta, dove un falò scoppiettante scaldava i cuori di quegli avatar colorati. Era incuriosito dal suono di una voce, era la voce di un racconto. Si era scelto quel nome perchè corrispondeva al suo stato d'animo, in un momento incerto della sua vita dolente in cui aveva progettato di esplorare mondi nuovi, senza il desiderio di mostrarsi. Osservare, nascosto. Quella voce ora più vicina, aveva attirato la sua attenzione e per la prima volta aveva deciso di atterrare. Melany, seduta in mezzo ad altri avatar, fu l'unica che si accorse del sua presenza silenziosa, e approfittando di una pausa della lettura sfogliò il suo profilo: vuoto, solo la data di nascita che denunciava il suo essere nubbio. Stabilirono una connessione silenziosa solo con un add-Friend. La riunione si sciolse. Log out. Il nome Paguro era suonato a Melany misterioso e affascinante e al primo nuovo log-in, lo cercò nei contatti, sperando fosse solo e disponibile per due chiacchiere. E Lui rispose. Sembrava contento di essere stato notato, e così da quel giorno ad ogni nuovo log-in si cercavano e chiacchieravano tranquillamente.Lei ancora non sapeva che Paguro era un tipo curioso, spiritoso e intelligente che le avrebbe preso il cuore. Lui si mostrava poco a poco, solo se stanato da lei, riluttante ma grato. E piano piano per lei fu amore; un grande amore. Invece di lui non è dato sapere: un paguro spunta solo un pezzetto; raramente, e in modo imprevedibile, tutto intero. Comunque tutti si erano accorti che solo lei era capace di farlo uscire dal guscio. Non accettava nuovi contatti e in piazza lo si vedeva solo quando era al fianco di lei. Assisteva puntualmente a tutte le riunioni del lunedì ed elargiva battute bonarie o taglienti, secondo il caso. ma non si era mai offerto di far parte ufficiale del gruppo. Nel frattempo Melany, invece, aveva perso interesse, era evasiva quando gli amici le ricordavano che si aspettavano che facesse fronte alla sua carica di “esploratrice di intrecci” di cui era sempre stata fiera. Ma fu Paguro che la riportò nell'intreccio: una sera atterrando lentamente vicinissimo a lei, ancora solo una sagoma grigia, le comunicò le sue preoccupazioni. - Come fai a startene così sognante e inerte, non hai letto tutto quello che è successo? Sono appena tornato da una lettura della Torre. Ci sono catastrofi, intrighi, presagi oscuri che si aggirano nel mondo e poi niente si connette con niente. Siamo a una svolta, e nello stesso tempo siamo sospesi fuori dal tempo, in uno spazio a cavallo di due mondi, non senti il bisogno di fare qualcosa? - Mi viene in mente una frase letta da qualche parte: “un uomo ha bisogno non solo di qualcuno che ascolti la sua storia, ma anche di qualcuno che la prenda a cuore”. - Il fatto è che per me la cosa più importante in questo momento sei tu. Però hai ragione, sono d'accordo con te, dobbiamo fare qualcosa. - Melany sentì di amarlo di più quando si rese conto della passione con cui viveva i problemi della Torre! Paguro le sorrise. - Ho notato che alcuni dei ragazzi della piazzetta non vogliono subire passivamente quello che sta succedendo. Proviamo a sentire se possiamo aiutarli. - In piazza trovarono Ryan e Betta e altri. Vennero a sapere che la compagnia SL-petroleum aveva ottenuto in modo fraudolento la concessione per i pozzi petroliferi della Basilicata. Ryan stava preparando una manifestazione di protesta davanti la sede centrale della compagnia. - Dobbiamo riuscire a coinvolgere più persone e giornali possibili. Deve essere portato alle orecchie di tutti quello che sta succedendo. - - Penso di potervi aiutare, - disse Paguro che era un esperto di reti informatiche - Ci procuriamo le liste di indirizzi degli organi di informazione italiani ed esteri, ed annunciamo la protesta per una data precisa, annunciando anche delle azioni dimostrative. - - Hai in mente qualcosa in particolare? - - Una cosa che avrebbe sicuramente effetto sarebbe il blackout di alcuni siti web importanti a livello nazionale o internazionale. - - Cioè una specie di virus per i computer? - - No, non ce n'è bisogno. É sufficiente far collassare i server di collegamento con una valanga di richieste fasulle. E' una tecnica chiamata "denial-of-service". Sotto un bombardamento di segnali ben congegnati, i server principali si bloccheranno, e quindi ...black-out totale. - Erano tutti eccitati da quest'idea di Paguro ... Melany era orgogliosa del suo uomo. - E se aggiungessimo anche un pizzico di paura ? - intervenne Gene. Gene C. Ronin era una figura piuttosto ambigua. Non si vedeva spesso in piazzetta, e tanto meno partecipava alle discussioni animate. Quando c'era, seguiva attentamente le discussioni, e di tanto in tanto interveniva con una battuta pungente. La ragazze lo sfuggivano, perché aveva sempre uno sguardo un po’ lascivo. - Cosa intendi dire - chiese Ryan - Diciamo che ho degli amici che, su richiesta, potrebbero aggiungere un po’ di fuochi d'artificio belli potenti; che potrebbero far tremare le persone con animo sensibile - C. Ronin sghignazzò - allora sì, che ascolterebbero le nostre proteste! - - E chi sarebbero questi amici ? - chiese Betta con uno sguardo preoccupato - Sono persone che non vogliono apparire, - riprese C. Ronin - per cui ci lascerebbero il merito di tutta l'operazione. - - Ma non starai parlando di bombe, vero ? - chiese Paguro. - Bombe... bombe é una parola grossa ! Ma se vogliamo ottenere l'attenzione dell'opinione pubblica, abbiamo bisogno di qualcosa ad effetto. Sarebbero delle piccole cariche di esplosivo. - - Non se ne parla proprio ! - si oppose Ryan - se usiamo dell'esplosivo, otterremmo sicuramente l'attenzione generale ma ci inimicheremmo sia l'opinine pubblica sia le forze dell'ordine.- - Beh ! io la mia proposta ve l'ho fatta... A buon intenditor poche parole ! - concluse C. Ronin.
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Capitolo 6 di Aldous Writer
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Aldous reader scese di nuovo. Era al quinto piano e muoveva verso il basso. "Cosa è il tempo?" e anche ... "Il limite che tu conosci può essere modificato", lesse con interesse sulla parete della Torre. Era una traccia, un'idea, un’idea che poteva essere autoreferenziale. Aldous si accorse che si trattava di un meme, cioé un'entità di informazione che si propaga e che evolve utilizzando il supporto su cui si trova: in questo caso la Torre o forse il metaverso stesso. Le parole gli sembrarono danzare davanti agli occhi mentre le leggeva ("leggeva"? no, no, ...ormai questo non era più il termine giusto: le intuiva, le recepiva, si immergeva in loro). Nel loro balletto le vide trasformarsi. "Xxanty ricorda il Limite!". Una figura indistinta nasceva da quelle parole, e con il passar del tempo si delineava sempre di più. Era una figura femminile, una giovane ragazza dai capelli corvini e gli occhi scuri, brillanti. La forma e le parole evolvevano rapidamente; piano piano lei sembrava emergere dal muro come un altorilievo da una parete di marmo. Gli occhi penetranti lo guardarono fisso - Salve - disse- mi chiamo Baby. E tu chi sei ? - - Sono Aldous, e sto esaminando la Torre. É la prima volta che vedo creare una persona a partire da un semplice concetto, da un meme. Come é possibile? - - É il segreto della Torre - rispose la giovane. - Baby - dissi - credo che qui, sulla Torre, ho letto della tua morte ... - la ragazza mi guardò; il suo sguardo un po’ lontano e una piega della bocca rivolta verso l'alto come per dire "ma ... quante stupidaggini stai dicendo ?" - Senti, Aldous, ti do un consiglio, smetti di cercare di capire, e piuttosto dacci una mano. Sei una persona figa, e puoi fare sicuramente moltissimo. - É sorprendente vedere come noi esseri umani siamo semplici e facili ad arrendersi di fronte a un po’ di adulazione, a un complimento, forse vero, o forse no. Non importa. Sta di fatto che le parole di Baby avevano trovato la loro strada per guadagnarsi la disponibilità di Aldous. - Molto volentieri, Baby. Se posso aiutarti, lo faccio molto volentieri. Ma tu, sei viva? - Per un attimo gli occhi di Baby ebbero come un guizzo e mi sorrisero. Fu solo un attimo, poi la maschera scettica tornò al suo posto. - Non farmi ripensare a come sono stata schiacciata da quella macchina ! Lo so che io sono solo una pedina insignificante ... Ma glielo farò vedere io a quegli st...! Vedrai se non gli farò mangiare la polvere ! - I suoi occhi fiammeggiavano. La passione traboccava dalla bocca, dagli occhi, dai gesti! - Ahahah! Sono sicuro che riuscirai a vendicarti per bene - le dissi per farle capire che ero dalla sua parte. - Aldous, tu non devi fare altro che seguire la storia lungo la Torre. E se necessario, trasportare i concetti che trovi, i memi, da un piano all'altro portandoli con te. Al resto penseranno loro, da soli. - La figura di Baby cominciò a sbiadire; ad attaccarsi alla parete e fondersi con essa. L'altorilievo divenne un bassorilievo, e poi fu assorbito dalla torre. Il viso della ragazza era ancora ben visibile e i suoi occhi erano puntati su di me. - Ti rivedrò ? - le gridai a voce alta. - Chissà! Non so! Spero proprio di sì! - rispose Baby, e mi lanciò un nuovo sorriso. Non sembrava per niente morta. Sulla parete tornò la lattigine.
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Capitolo 6 di Asian Lednev
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Enzima
- ... e poi improvvisi il boato e lo squarcio. Per la seconda volta queste parole rimbalzavano nella mia testa. E' Aelita il cieco che le ripete. Le stesse parole che già gli avevo sentito dire una volta, “quella volta”. Il mio fisico ne conserva ancora il ricordo del loro effetto o, per meglio dire, della loro causa. Aelita mi sorprende per questa sua capacità di vedere dentro le cose. - Non sono uno sciamano - mi ripete tutte le volte - a differenza vostra, che vedete, non vengo distratto dalla superficie delle cose e posso immaginare le cose come sono in sé. - Aelita: il nome mi evocava una figura di una pink-girl-geek e non quella di un hacker della sua fama. Arrivai da lui nella tarda serata, fuori era buio. Ero affannato, avevo corso nella neve; l’immobile, sembrava in uno stato di abbandono, disabitato. Faceva freddo. La luce azzurrognola dei neon esausti lampeggiava nei corridoi, creando ombre allungate accompagnate dal caratteristico sfarfallio sonoro. Un unico taglio di luce proveniva dalla fessura di una porta alla sinistra del corridoio. Dava l'impressione che fosse l'unico ad abitare in questo grande edificio. Interno 22. Bussai. Guardavo con attenzione il fascio di luce uscire dal basso aspettando di riconoscere un’ombra in movimento. Improvvisamente dietro le mie spalle un rumore: in un istante si aprì una porta e un braccio mi si strinse intorno al collo per bloccarmi; feci per liberarmi dalla stretta ma in un attimo lo stesso braccio mi tirò all’interno di un appartamento buio e mi gettò su un qualcosa che all’impatto capii che era un divano. Mi sorprendo sempre della mia troppa ingenuità. La luce doveva insospettirmi: a cosa gli poteva servire se è cieco? Anche se non sono un detective ho dovuto imparare a stare più attento. Dopo qualche istante, massaggiandomi il collo dissi: - Aelita! Strano nome per un Hacker. - - Asian! Strano nome per un costruttore di spazi. - Ormai sono a abituato ad incontrarmi con lui al buio. Il mio posto è dato: il divano in pelle del quale non conoscerò mai il colore. - Sembra che creazione e distruzione siano intimamente legati ad uno strappo e ad un boato. - - Taci! non pensare a nulla! - Dicendomi questo mi fece indossare uno strano casco... ‘Mamma?!’... ‘Mamma?!’... ‘Arrivo, arrivò...‘Eccomi, eccomi!...‘Susy!?’...‘Eccomi, eccomi!...L’importante è che loro non lo abbiano ritenuto interessante,...Ti brucerai se continui a salire così velocemente... infatti eccolo qui…questo piccolo universo di parole da strappare al silenzio...Le invierò al più presto il risultato delle mie fatiche... Come Icaro, ricordi?....... “Do not leave behind ... not granted”... "Isola ... Torre ... Asian “...Parlo con Lorenzo Mac Ewan?...‘tranquilla Susy, le nostre macchine sono tutte rinforzate, non si romperà!...infatti eccolo qui…questo piccolo universo di parole da strappare al silenzio…Le invierò al più presto il risultato delle mie fatiche… What can I do?... What will be, will be... Le voci si rincorrevano... potevo sentire cosa gli altri pensavano intorno alla torre... ne sentivo i pensieri. - Questa è un nuovo modello di Skate-Global-Mind che usano i griefers per leggere nel pensiero. Funziona tracciando gli spazi interstiziali tra il reale e il metaverso. Ma c'è tempo per te per spiegare tutto. - Le parole continuavano a scorrere nella mia testa, sovrapponendosi: - Bene, ho anch’io delle novità, ma non posso dirti nulla per ora............What will be, will be......................Ho già detto sì, e preferirei evitare che venisse pronunciato il mio nome per esteso d’ora in poi... il tono era duro, quasi insofferente...vedrai, avrai delle sorprese…positive…Ammesso che possa esistere un poi tra di noi...Sulle fonti energetiche stellari? ...Su, non farmi dir nulla, ora. - -Il mio lavoro è lì che si svolge: negli spazi interstiziali... dilatandone l’idea di tempo nello spazio. E poi c'è l'energia, la vera ricchezza, l'unica cosa che ti porti dietro... da circa quarantamilanni. Poi capirai. Per questo ti ho cercato, per questo la torre mi ha richiamato. - mi disse. Energia... ma di quale energia si parla? -Ho sentito molte cose sulle tue imprese. Ma come riesci? Come riesci a fare quello che fai, a leggere lo spazio, a comprendere la realtà del metaverso? Come fai a muoverti nello spazio interstiziale? Come fai nella tua condizione di cieco? - Ci sono almeno due modi per comprendere la realtà. Entrambi logici. Il primo la matematica... la logica matematica, quindi una logica simbolica. Secondo: esiste anche una logica verbale e quindi concettuale. Sono i due modi, l'uno alternativo all'altro, per comprendere la realtà. La matematica è lo strumento spazio-temporale e quindi finito che rappresenta nello spazio-tempo il pensiero infinito della consapevolezza pura. - Non lo capivo e forse mai lo capirò. Parlava di un altro ordine di realtà che non è né virtuale né reale ma spirituale, dove l’energia e qualcos’altro è all’origine di tutto e dove la creazione dello spazio tempo segue un ordine matematico preciso. - E’ la mente che tiene insieme il tutto all’interno di una logica verbale... All’inizio era il verbo... ricordi? E' da lì che si riparte. - disse - Vedi, la lettura del pensiero è importante per tenere uniti i mondi. Per dominarli, pure. Mente ed energia sono le due parole chiave, ricordalo. - -Ora rimettiti le cuffie e ascolta, anzi... non pensare a nulla, lasciati pensare. - Non sentivo nulla, forse dei rumori... non sentivo nulla. All’improvviso un rombo acuto accompagnato da sibili, un boato nelle mie orecchie e uno squarcio di luce come una visione... era lì davanti ai miei occhi come una cellula: una macchia bianca che impressionava la mia retina... non so come...galleggiava nell'aria... no nella retina... no nella mia mente. Capii allora cosa significavano le sue parole, e cioè che lo spazio non ha bisogno di tempo per manifestarsi: basta pensarlo. E' il tempo che ha bisogno di uno spazio per manifestarsi... e la torre aveva così semplicemente affermato questo con la sua esistenza. Una cellula che si è costruita davanti ai miei occhi... -E’ un enzima - mi disse - Come la torre: un qualcosa capace di catalizzare energie, persone... memorie. E questa, quella che vedi, è la sua forma-pensiero. Cominci a capirmi? -
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Capitolo 6 di Azzurra Collas
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Astrolabia ruotò lentissimamente il suo corpo di splendida carbina, lasciò che il complicato meccanismo di assi rotanti e sfere che governava con lo sguardo la carezzasse, sfiorando col vento cinetico il suo asse mediano. Era un piacere che si concedeva raramente, come si fa con certe memorie sprofondate per inerzia nell’abisso del rifiuto. La distesa di magma nero avvolgeva il globo. - Una stretta al cuore! – avrebbe detto, se ancora avesse potuto dirlo, invece, attingendo al deposito memoriale sempre in paziente attesa, digitò: -110.24.3840. Globo nella norma. Zone infette a controllo. -. Sul display, che si apriva come una lama di luce nel grembo di argentea polvere cosmica, comparve un lampeggiare di lettere e numeri: Lista disastri petroliferi. Quantità petrolio rilasciato oltre 100.000 tonnellate - Settore 1950 -2007: Brooklyn, USA – Ocean city, Maryland, USA – Bantry Bay, Irlanda – Santa Barbara, California, USA - Sewaren, New Jersey, USA - Baia di Tralhavet, Svezia - Oporto, Portogallo - Delaware (fiume), Marcus Hook, Pennsylvania, USA - Isola Nantucket, Massachusetts, USA - Honolulu, Hawaii – Ekofisk, Mare del Nord - Bosforo, Turchia - Galveston Bay, Texas, USA – Bretagna, Francia - Isola Off Kharg, Golfo dell'Iran - Delaware (fiume), Marcus Hook, Pennsylvania, USA - Floreffe, Pennsylvania, USA - Costa atlantica del Marocco - Prince William Sound, Alaska, USA - Golfo del Messico, 57 miglia a sud-est di Galveston, Texas, USA - Bolsa Chica, California, USA - Mare Mediterraneo, Genova, Italia - Maputo, Mozambico - Oceano Pacifico, coste occidentali dell'Australia - La Coruña, Spagna - Isole Shetland, Regno Unito - Emirati Arabi Uniti - Galles, Regno Unito – Portland, Maine, USA - Mare del Giappone – Nigeria - Baia di Biscaglia, Francia - Guanabara Bay, Rio de Janeiro - Cape Town, Sudafrica - Costa meridionale del Taiwan - Isole Galapagos - golfo di Aden - Galizia, Spagna - Buzzards Bay, Massachusetts, USA - Karachi, Pakistan - Fiume Delaware, USA - Isola di Unalaska, Alaska USA, - Alaska North Slope, USA - Lago Charles, Louisiana, USA – Filippine - Baia di San Francisco, USA - Stretto di Kerč, Ucraina e Russia - Mare Giallo, Corea del sud - La Coruña, Spagna - Baia Navarino, Grecia - Isole Scilly, Regno Unito - Golfo di Oman - Nuova Scozia, Canada - Mare Mediterraneo, Genova, Italia - Bretagna, Francia - Baia di Saldanha, Sudafrica – Angola, Africa - Golfo Persico - Valle di Fergana, Uzbekistan - Trinidad e Tobago - Golfo del Messico - Golfo Persico – Basilicata, Italia – Golfo del Messico - Il suono di una sirena cosmica artigliò Astrolabia, prima che potesse concludere il controllo. Si affrettò a ripiegare il display e ruotò di 33°, come prescritto. Fu nel ruotare che avvertì come un senso di vuoto, lo sguardo si posò sull’isola, oasi coltivata nel deserto dell’immaginazione. La Torre, la Torre, limpido faro nell’oceano della conoscenza, la Torre era scomparsa, al suo posto un’intollerabile zona vuota. Le fu difficile, dopo tanto tempo, seguire il protocollo. La Torre era scomparsa. Cominciò a dubitare della sua capacità di attraversare il flusso della memoria, come poteva essere scomparsa senza che la sua memoria ne soffrisse la mancanza? La Torre doveva essere in un luogo, dunque. Doveva, doveva attendere la fine del controllo di routine per cercarla. Doveva, anche se il desiderio si mostrava, dopo tanto tanto tempo, in tutta la sua potenza e potere. Kubera l’avrebbe dunque colta in quel suo turbamento? Da quando Kubera, l’infinito, lo splendente, il diamantifero, il governatore, insomma, le aveva attribuito il compito di sorvegliare lo stato dell’emisfero destro dell’universo astrale, Astrolabia aveva adottato il più sofisticato sistema di controllo di cui disponeva il suo cervello, per così dire. Astrolabia amava le parole arcaiche, le usava con parsimonia per non incorrere nelle sanzioni dei cybercontrollori. Aveva da poco visualizzato sul display il numero degli arcaismi disponibili e aveva sorriso, per così dire, della sua parsimonia: avrebbe potuto usarne ancora 203 sui 2500 consentiti in un anno astrale. - Cervello – ripeté, lasciando che sul display comparisse istantaneamente: 202. - Cervello – ripeté. In fondo ne aveva ancora 200 a disposizione, pensò, riservandosi per un altro momento il piacere di ripetere quell’esecrato arcaismo. Kubera conosceva benissimo le tendenze trasgressive di Astrolabia, ma sapeva anche che nessuno nell’emisfero destro dell’universo astrale aveva il suo potere di controllo della memoria, controllo che prevedeva l’allineamento della conoscenza e della coscienza, e questo era davvero miracoloso. - Ecco – si disse - l’influenza di Astrolabia. La sua mania per gli arcaismi. Miracoloso! Quale sarà poi il senso reale di questo suono arcaico. E’ probabile che debba elevare per me il numero dei consentiti. – Rise, assaporando il suo potere. Era disposto a scommettere su di lei, e per questo la teneva sotto il suo personale strettissimo controllo, mantenendo innestato costantemente nel proprio cyberN il suo. Il cyberN di Astrolabia era di una qualità davvero superiore. Una sintesi generata da un errore di formulazione. Rifiuto tra rifiuti extracosmici, l’aveva dragata tra i rottami che spettavano al suo dominio. Sapeva che avrebbe potuto perderla da un istante all’altro. Avrebbe potuto lanciarsiin ogni istante, in un estremo atto di volontà, oltre il flusso di asteroidi che segnava il confine del suo dominio e tornare rifiuto tra i rifiuti. Un semplice click. Un semplice click. Kubera governava su un universo di rifiuti, non doveva mai dimenticarlo. Nessuno, nemmeno lui, l’infinito, lo splendente, il diamantifero, il governatore, insomma, poteva governare sul desiderio dell’autodistruzione. Sul display apparve Laura. Margherita si scosse, provò una sensazione di benessere, vedendola sorridente e al sicuro. – Prof, buongiorno. – - Buongiorno, Laura, novità? - - Sì. Mi hanno restituito il frammento, sto cercando di decifrare... Ci sarà al prossimo congresso sulle fonti energetiche? – - Certo, anche se mi sento stanca, un’esperienza come questa brucia molte energie, e io, sai… l’età…non ne ho più tante…Ma dimmi del frammento, lo trovi interessante? – - L’importante è che loro non lo abbiano ritenuto interessante, infatti eccolo qui…questo piccolo universo di parole da strappare al silenzio…Le invierò al più presto il risultato delle mie fatiche…- - Ma tu ci sarai al convegno? - - Certo – - Bene, ho anch’io delle novità, ma non posso dirti nulla per ora, se seguirai il convegno, vedrai, avrai delle sorprese…positive…- - Sulle fonti energetiche stellari? - - Suvvia, non farmi dir nulla, ora. -.
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Capitolo 6 di piega Tuqiri
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La parete di ologrammi vedeva scorrere sulla propria illusoria superficie ombre di fumo, a frapporsi tra i suoi occhi e il sole ormai alto. La voce gli giungeva soffusa e stanca, come se le notizie che filtravano attraverso le fessure scampate al blocco dell’informazione proveniente da RL e deciso dai plutocrati dell'Agenzia Idrocarburi avesse fiaccato anche l’ultima scintilla di speranza. O forse semplicemente era la sua mente ad essere lontana da quel suo ultimo rifugio, come se la quiete di pochi istanti prima fosse evaporata alla vista della distruzione incombente. Udì se stesso parlare e la cosa quasi lo sconcertò, come se il suono delle parole provenisse dal lato opposto della stanza. - Credi che ci si possa affidare a lui? Voglio dire, è così sicuro che sia davvero in grado di uscire e rientrare senza troppi rischi? La cosa va al di là di me, di lui o di te… - Nessuno è mai tornato lamentandosi – disse lei con un senso di fredda ironia che lo scosse fin nelle viscere. - Forse perché non sempre c’è stato un ritorno… In ogni caso non ho molte alternative a questo punto: aspettare di essere spento, stavolta forse in modo definitivo o cercare di guadagnare la mia autonomia in modo definitivo. - Non lo so …. – e mentre lo diceva un’ombra di malinconia le attraversò la fronte da parte a parte. - Cosa non sai? - Non so se sia il caso di gettarsi alle spalle ogni cosa, noi, la casa, la vita qui in SL, la speranza che tutto passi come un temporale estivo… - Sono stanco, stanco di aspettare e di rimandare, di aver paura di ciò che non posso essere se rimango qui ad ascoltare il suono della volontà altrui. - Ti brucerai se continui a salire così velocemente. Come Icaro, ricordi? - Ricordo, ma so anche che se non fosse stato così incosciente (incauto, penso tra sé sorridendo amaro) nessuno se lo ricorderebbe nemmeno il suo nome. E noi in fondo cosa siamo se non il nostro stesso nome? - Tu non vuoi consiglio da me – disse lei con insofferenza – tu vuoi semplicemente che sia io a decidere che sì, devi andare. - Forse…. - E’ così, e tu lo sai bene anche se non vuoi che qualcuno te lo dica. Hai sempre avuto bisogno di qualcuno a cui poter dare la colpa della tua inquietudine. Ora hai trovato me, domani ci sarà qualcun altro… Magari proprio Mac. - Dimmi solo sì o no. Per favore… - sibilò, come se fosse sul punto di esplodere. - Tieni – il gesto con cui gli passò la tastiera del telefono su cui si stava condensando il volto di Mac era di quelli carichi di rabbia e di affetto, sentimenti che solo lei era in grado di governare di fronte a lui. - Pronto Mac? – senti la propria voce pronunciare la parola in tono esageratamente impersonale. - Sì. - Parlo con Lorenzo Mac Ewan? - Ho già detto sì, e preferirei evitare che venisse pronunciato il mio nome per esteso d’ora in poi. Ammesso che possa esistere un poi tra di noi. – il tono era duro, quasi insofferente. - …. - Cos’è s’è ammutolito per caso? - No – disse Asian senza tradire la rabbia che lo aveva assalito alle parole di Mac – solo non credo che io e lei si possa fare molta strada assieme se queste sono le premesse. - … - Allora? E’ il suo momento per giocare a chi parla per primo? – La battuta gli piacque in un modo francamente esagerato. - Ok. Le mando un IM in linguaggio macchina con le coordinate della land in cui ci troveremo. Ha esattamente 9 secondi per leggere, memorizzare e cancellare, altrimenti non se ne fa nulla. Non voglio rischiare di ritrovarmi ammanettato ad un bulldozer davanti a un pozzo in fiamme per colpa di un pivello sognatore. - Aspetti… - ….. Più nulla. Lo schermo era tornato color dell’aria. Il collegamento era stato interrotto e l’IP sicuramente modificato. Nessun contatto era più possibile…. Fu solo dopo molti minuti che, mentre osservava distrattamente il volto che era apparso al centro della parete virtuale, vide scorrere velocemente in un angolo meno illuminato del resto i numeri tanto attesi. Veloci e affaticanti, ad occupare un tempo ancora Ingovernato.
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capitolo
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07
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Aldous Writer
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Asian Lednev
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AtmaXenia Giha
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Azzurra Collas
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Margye Ryba
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piega Tuqiri
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Sunrise Jefferson
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Susy Decosta
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MacEwan Writer
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Alzataconpugno Tuqiri
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Deneb Ashbourne
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Titty Thor
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Capitolo 7 di Margye Riba
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Il giorno dopo, al risveglio, Asian ricordò con un'insolita lucidità di aver interrotto qualcosa che lo aveva incuriosito, sì, ora ricordava bene, era rimasto alla costruzione del suo Avatar in Second Life. Sorrideva al pensiero di muoversi in un ambiente virtuale a lui completamente sconosciuto, con la curiosità e l’entusiasmo di un bambino, voleva continuare a proseguire quel viaggio appena iniziato. La giovane infermiera di turno, Sonia Dellavalle, fece irruzione nella stanza di Asian con il suo solito sorriso e buonumore: - Ci siamo svegliati bene stamattina? -. Asian la guardò come se fosse la prima volta che la vedeva, in passato, non l' aveva mai neanche degnata di uno sguardo, solo ora si accorgeva di quanto fosse coinvolgente con quel suo modo di dialogare schietto e allegro. Si chiedeva come facesse a non perdere mai il sorriso in un ambiente sempre a contatto con persone che soffrono. Soprattutto, si chiedeva come facesse a sopportare vecchi brontoloni come lui, che non avevano mai una parola di gratitudine per le sue buone maniere. Al pensiero di essere diventato un vecchio burbero, incapace di dire una parola gentile, Asian si sentì a disagio con se stesso. - Quando potrò vedere il Dottor Laterba? -. Sonia, che si divertiva a punzecchiare chiunque con le sue battutine ironiche, rispose: - Il Dottore … il Dottore … vorrei sapere che cosa ha di speciale il Dottore che io non ho? Sono appena arrivata e già mi vuole mandare via? -. Asian sapeva che Sonia si divertiva a dire frasi senza senso, eppure era rimasto imbarazzato a quella domanda, cercava di formulare una risposta che avesse senso: - Beh, il Dottore mi aiuta in una cosa, non credo che lei lo possa fare. -. - Aaaahhhh …. non cominciamo con i pregiudizi! - rispose Sonia, facendo finta di sentirsi offesa. Asian, impacciato e divertito assieme si sentì in dovere di spiegare alla giovane infermiera che il Dottor Laterba aveva un portatile e lo stava introducendo nel mondo di Second Life. Sonia assunse un'espressione stupita e divertita assieme: - Sarà una nuova cura? Fino ad ora in questo ospedale non era mai stata sperimentata. -. In quel momento entrò come era solito fare a quell’ora la piccola equipe di turno dei medici con Il Professor Danzetti, la giovane infermiera comprese che era arrivato il momento di andare via e con il suo solito sorriso salutò il vecchio Asian. - Oggi la trovo bene, signor Asian, cosa ha fatto in mia assenza? - chiese il Professore. Asian era compiaciuto di quella affermazione, in realtà anche lui riscontrava un miglioramento della sua salute e si augurava che non fosse solo una cosa momentanea. Dopo un po’ arrivò anche il Dottor Laterba. Asian appena lo vide si illuminò: - Antonio…oggi non è venuto con il portatile? Devo ancora sistemarmi il look, quell’avatar è troppo giovane per rappresentarmi, vorrei farmi un avatar che mi somigliasse il più possibile. -. I giovani medici si guardavano l’un l’altro divertiti, il Professore Danzetti alzava le sopracciglia indicando stupore e interesse per le parole di Asian. Il giovane Laterba era proprio contento di vedere Asian così sveglio e pieno di volontà, era segno che il Professor Danzetti aveva visto bene quando gli aveva raccomandato di accondiscendere ai suoi desideri. Si accostò al letto e chinandosi come per parlargli all'orecchio, sottovoce gli disse che sarebbe ritornato dopo con il portatile.
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Capitolo 7 di MacEwan Writer
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Alfred Hitchcock, reincarnato nella persona dei rettore Campbell, mi fissava interrogativo. Io tenevo in mano il caschetto RV, sono certo di aver avuto un'aria insolitamente impacciata mentre lui mi fissava con i suoi occhi inquisitori. - Di che anomalie parli MacEwan? - - Eh. Se lo sapessi il caso sarebbe risolto. - -Invece non lo sai. - -Non lo so. Ancora. - Scottish Play se ne stava un po' in disparte: se lo intimorivo io, figurarsi un rettorone come Campbell. Tirava e mollava quei due o tre cavetti che spuntavano dal suo casco, tanto per far qualcosa. - L'indagine prosegue. - dissi. - Ma non ne vuoi saper di individuare questo mio alter ego, vero? - chiese Campbell. - Tutto a tempo debito. - conclusi, sedendomi e indossando l'elmetto. Scottisch fece lo stesso. - E ora, Rettore, se ci vuole scusare...- Campbell si diresse verso la porta con un cenno del capo. -Buona caccia.- disse. Avevamo deciso di indossare quell'antiquato elmetto anziché avvalerci del ricettore di segnali cerebrali dell'Università - che comunque era molto più potente del mio personale - semplicemente perché volevamo essere sicuri che non potessero esserci onde sovrapposte provenienti da chissà dove ad alterare e falsificare la nostra passeggiata. Certo, era seccante dover stare fermi là seduti, come a vedere un vecchio film con gli occhialetti 3D... Entrammo in Metaverse in contemporanea. Scottish comparve un attimo dopo la mia "materializzazione"... - Bene, che si fa? - chiese. - Come è piazzato Ronin? - - Come abbiamo ormai verificato lui risulta sempre loggato. - - Questo mi è chiaro. Ma ho verificato che alcuni risultano loggati anche se poi in effetti non ci sono e non svolgono attività. Gli hai applicato il tracciatore, vero? - - Certo. - - Quindi? - - In questi giorni, dalla partita di golf, risulta sempre in attività. Parla, si sposta, si teleporta...- - Ma questa è evidentemente una cosa impossibile...- - Beh - disse il palestratissimo Avatar di Scottish - non se in controllo si alternassero diversi Emissari... - - Uhm. E tu te lo vedi Ronin a lasciare ad altri il controllo del suo Avatar, quello stesso Avatar che gli è costato continue modifiche pagate a peso d'oro da parte dei migliori metadesigners del mondo? Col rischio che si faccia mangiare una gamba da qualche hackersqualo in vena di divertimenti? Il vero Ronin è una persona gradevolissima ma alquanto narcisita.- - No, non me lo vedo, in effetti. Lo controlla qualcuno all'insaputa dell'Emissario. - - Già. Ma chi e perché?- Mentre i nostri Avatar si muovevano con scioltezza in una direzione indefinita (giusto per non stare fermi mentre chiacchieravamo), ci imbattemmo in un'area dalla curiosa insegna "21st centyry schizoid worlds". Ci addentrammo con indifferenza mentre continuavamo con le nostre ipotesi sul caso di Gene C. Ronin. Passammo in uno spazio che riproduceva un set di un "reality show", genere televisivo per fortuna morto e sepolto negli ultimi anni. Gli strepiti dei synthprotagonisti coprivano praticamente le nostre voci, così affrettammo il passo. All'improvviso mi sfiorò la mente una singolare similitudine: Alan Macbeth e io potevamo apparire come una replica di una ben più nobile e celebre coppia della letteratura: quella della Divina Commedia. Che si muoveva in un inferno di dati digitalizzati, riproduzioni e ripetizioni di scene ormai scomparse nel nulla del reale, ma ancora synthvive qua dentro, in Metaverse. Lo dissi ridacchiando a Scottish e lui serio serio mi domandò: - Sì, bene: ma chi sarebbe Dante e chi Virgilio tra noi due?.- - Bella domanda. Mi sa che Virgilio sarei io, se non altro per l'età superiore... E poi arrivo da un'epoca ormai remota, vista la rapidità delle trasformazioni avvenute negli ultimi dieci anni... - - Quindi io sarei Dante... - - Eh già. Come te la cavi con la penna, Scottish?- Ridemmo. Ma le risate si spensero rapidamente perché ci ritrovammo in uno spazio a bassa definizione. Nel buio campeggiava una torre iridescente. E la didascalia diceva: "Torre di Asian in Cyberlandia". - La Torre di Asian, professore! - disse emozionatissimo Scottish. - Ma cosa vuol dire Cyberlandia?- Anche io ero abbastanza colpito. Avevo veramente difficoltà a comprendere se si trattasse di una coincidenza o di un evento previsto da qualche misterioso piano all'interno della cui scena ci muovevamo inconsapevoli, per la serie "tutto il mondo è un palcoscenico." - Alan, Cyberlandia è stato uno dei primi spazi virtuali creati: si proponeva di essere un'alternativa aperta a Second Life... Ma non ve l'avevo fatta, nel corso? - - Ehm, direi di no. - Alan non si ricordava. Magari davvero l'avevo saltata. - Comunque sia, abbiamo trovato la Torre! - - Temo che non sia esattamente così. In ogni caso questa Torre è una riproduzione, quindi "appare" come la Torre di Asian ma certamente non ne nasconde i segreti... - - Sì, ma Cyberlandia... Lei c'è stato?- Feci compiere al mio Avatar un vago gesto con la mano. - Sì, qualche volta ci ho provato, a suo tempo. Purtoppo non mi divertiva l'aspetto ermafrodito degli Avatar appena nati, avrei dovuto dedicare un sacco di tempo a rendermi presentabile e in quel periodo non ne avevo il tempo. Era un esperimento pregevolissimo, ma richiedeva troppa dedizione per le mie esigenze. Sicuramente qualcun altro non giudicava questo un vero e proprio ostacolo. Asian, per esempio. - Asian Lednev. L'ultimo incontro con lui era stato sempre e ancora più criptico del solito nei suoi contenuti. Non parlava più ossessivamente della Torre. Era come se lui sapesse qualcosa sulla segretissima macchina del tempo dell'Università..."Uno Spazio di Tempo"... Ma che poteva voler dire? In quel momento pensai che forse avrei dovuto usare nuovamente il dispositivo spaziotemporale per andare a dare un'occhiata indietro. In Cyberlandia, in Second Life, in entrambe. Boh. Scottish Play attirò la mia attenzione sull'Avatar di Gene C. Ronin che puntò diretto verso di me. - Ci si rivede, eh? - - Già. - - E questo pupazzo pieno di anabolizzanti chi sarebbe?- disse facendo cenno verso il povero Scottish, che tentò di contobattere: - Ma guardati tu, pallone gonfiato capitalista che... - Ricevette il mio messaggio personale e aggiunse: - Sei fortunato perché devo andarmene, altrimenti vedevi come lo riducevo il tuo Avatar da migliaia di sterline... Ti staccavo una gamba! - Dopo questa comica minaccia Scottish uscì da Metaverse per completare il suo operato come gli avevo chiesto. Rimasi faccia a faccia con l'Avatar di Ronin. - Allora, si può sapere cosa vuoi veramente da me, e cosa vuole quel pupazzo del tuo tirapiedi? - Decisi di non indugiare oltre. - Oh, niente...Siccome in RL ho conosciuto il tuo Emissario e ho scoperto che è una persona educata e gradevolissima, mi chiedevo come mai su Metaverse abbia un Avatar così cafone...- L'elegantone rimase un attimo perplesso. - Non capisco dove stai tentando di arrivare... - - Mah, una prima ipotesi è stata che tu fossi gestito da altri Emissari che non fossero il vero Ronin... - - Figuriamoci! Altri Emissari! - - Appunto. Però non è così. Tu non sei gestito direttamente da Ronin. Non sei gestito da altri, autorizzati o non autorizzati che siano... - Intanto mi giungeva la voce di Scottish sovreccitata. - Mac, attualmente nessuna connessione fa capo a questo Avatar! Ho fatto decine di controlli Che significa? - Mi rivolsi all'elegantone arrogante: -Tu non sei controllato da nessuno. Tu vivi di una vita propria. Tu stai usurpando l'identità del tuo Emissario. - Quello che avevamo creduto a lungo l'Avatar di Gene C. Ronin, pur con dei dubbi su chi lo controllasse davvero, si teleportò di fretta da qualche parte, e si sottrasse alla mia vista.
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Capitolo 7 di Sunrise Jefferson
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Un salto indietro nel tempo, una terra vuota. I colori sono sbiaditi e i contorni approssimati e imprecisi. Ci sono due figure immobili vicino a un cartellone e quasi mi inquieta la loro staticità; di avatar così non ne vedevo da tanto tempo. Poco lontano, una freccia viola invita a seguire la direzione verso la quale è rivolta. E’ una terra nuova dove tutto è ancora da compiersi, dove l’inizio si sta delineando con lentezza. Mi emoziona, questa partenza per un passato che, forse, ci può dire più di ogni indagine e di qualunque ipotesi. Non so cosa dobbiamo cercare, è come una caccia al tesoro il cui premio è la sopravvivenza. Non male come premio, direbbe MacEwan. Arriviamo alla spicciolata, fluttuando sulla grande rosa dei venti che campeggia in mezzo alla piazza centrale di Cyberlandia. Siamo forme solo abbozzate, di nuovo inesperte che fanno da sfondo a un esodo incerto. E mentre l'entusiasmo della novità si fa adulto fra inciampi e approssimazioni, cerchiamo di riconoscerci e di ricompattare il gruppo eterogeneo di cui facciamo parte. Questo è l’intermezzo fra due tempi difficili, in cui si devono coniugare conoscenza e sopravvivenza. E’ il tempo dei silenzi e dei pensieri profondi, quei pensieri che non possono lasciare spazio agli errori. L’imprecisione grafica del paesaggio confligge con la chiarezza del percorso da intraprendere, anche se per ora tutti vediamo solo le ombre di quel che sarà. Si fanno strada nelle menti dei partecipanti, come embrioni in rapido sviluppo, le informazioni raccolte, le ipotesi e le certezze future. Ce le scambiamo quasi telepaticamente, rispettando la segretezza e la delicatezza del momento. Ecco. In pochissimo tempo s’è compiuto il passaggio delle informazioni e le indicazioni sulle strade da imboccare. Il gruppo si guarda con gli occhi dai colori strani delle figure di cui ci serviamo per incontrarci. Sparsi per il mondo e per il Metaverso, ma tutti nello stesso luogo per il tempo che serve. Ci congediamo senza cerimonie, sperando di rivederci…
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Capitolo 7 di Susy Decosta
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Si diresse a passo veloce verso il Parlamento Europeo. Non era uscita volentieri dalla suite dell’hotel dove alloggiava: letto a baldacchino, mobili antichi, ceramiche e libri d’epoca abbellivano l’ampia stanza, non avrebbe voluto lasciarla quella mattina ma soprattutto avrebbe voluto condividerla, la notte recedente, con chi amava. Era una suite fatta per essere condivisa, lussuosa e di classe ma con uno sfarzo sotterraneo che occhi raffinati come quelli di lui avrebbero saputo apprezzare. Ma lui era molto lontano, chissà quando avrebbe potuto incontralo di nuovo. Un incredibile sole caldo baciava la città, attraversando le larghe vie ortogonali, pensava alla pioggia che aveva lasciato nel paese mediterraneo da cui proveniva, per trovare il sole qui a Brussel. Era nervosa, non era mai semplice incontrare il suo contatto, come sempre non lo conosceva, come sempre sarebbe stato un incontro rapido e pericoloso, come sempre non avrebbe saputo, né in anticipo né successivamente, l’oggetto dello scambio né la finalità: era una garanzia per lei ma la stressava sempre più essere allo stesso tempo pedina e giocatore, burattino e burattinaio. L’ultimo incontro con Isaac a Nairobi era fallito, avevano riposto molte attese su quell’incontro ma non ne era venuto fuori nulla di buono. Nessuna possibilità di contrastare i greifers, né di incidere significativamente sulla situazione della Basilicata. Almeno così aveva desunto da quel poco che riusciva ad intuire; Nairobi era stata tagliata dalle sue mete, il viaggio di maggio era stato cancellato. Non avrebbe mai più rivisto Isaac, temeva. Il percorso dall’hotel al Parlamento era breve, non più di 10 minuti a piedi e il luogo convenuto per l’incontro era proprio a metà strada, un vecchio palazzo primi novecento con una sua dignità, che spiccava tra gli edifici di vetro e cemento che affollavano Rue de Luxembourg. Aveva ripassato il percorso mille volte sul video del suo telefonino, l’edificio, il portone, le scale, la porta alla quale bussare. Il tutto non avrebbe richiesto che pochi minuti e poi via verso il Parlamento per svolgere la sua funzione di copertura di interprete. Improvvisamente, girato l’angolo, le si raggelò il sangue, l’edificio non c’era più, un cumulo di macerie era accatastato sotto le pareti scarnificate, le mattonelle da cucina e le carte da parati rivestivano ancora l’unica parete di fondo addossata all’edificio contiguo, memoria in brandelli di vite vissute in quel palazzo. Via, via, via di corsa. Cuore in tumulto, respiro azzerato, la paura che si rifletteva in ogni volto incontrato che le sembrava solo ostile. Le ovattate sale del Parlamento la accolsero dandole quiete. Ma quanto sarebbe durata? Valentina, all’altro capo del metaverso, riordinava i calici che avrebbe utilizzato a seconda delle ordinazioni, flute per lo champagne, un calice largo per il margarita, un bicchiere cilindrico per il mojito. All’improvviso lui si materializzò. Vestito di nero come i cybernauti, con i capelli scarmigliati e l’aria sorpresa. - Buonasera. - Lo salutò Valentina. - Ciao, dove sono capitato? - - Come capitato? - - Ho cliccato un posto a caso sulla mappa e sono piombato qui. - - Be’ non è piacevole sapere che tu non ci abbia scelto, comunque sei nel mio bar ‘Catching a falling star’. Benvenuto. - Valentina aveva scelto quel nome per il suo locale, le stelle erano nel suo DNA e il nome che portava non era un caso ma un preciso omaggio alla Tereshkova, a quel 6 giugno del 1963, secoli fa. - Bentrovata, ragazza. Non era entrata gente da un bel po’, Valentina aveva voglia di chiacchierare, si sentiva troppo sola in quell’angolo di metaverso. - Eccoti una pina colada, il primo giro lo offre la casa. - - La pina colada mi ricorda quella volta che partii una mattina per una destinazione oltre l'arco delle Pleiadi, oltre Orione dove se poi prosegui un poco arrivi a Cassiopea. Senti, come ti chiami? - - Valentina, e tu? - - Asian; un tempo avevo un amica in Russia con questo nome, ma era un'altra storia, era persona nota, aveva volato e sai che volare non è cosa da tutti. - -Eh no, certo, teleportarsi è un conto, ma volare... quanto mi piacerebbe. - - Sai che è possibile ma molto rischioso, a volte ci ho provato in rl ma non funziona, eppure un tempo era normale. Io ho un amico che fa quello che vuole, si chiama Aelita lui non solo vola ma si trasforma - - E in cosa si trasforma? - - Aelita è... non so, non so se è donna o uomo. Con lui parlo molto. - - E ti piace parlare? - Non è una questione di piacere: devo parlare con lui, o con lei, sa cose che mi interessano sulla Torre. - Che torre? - - Se non la conosci non posso dire nulla. - - Se ti servo un altro cocktail mi racconterai vedrai. - - Alla tua salute, bambina ‘Ascoltami, ascoltami come se fosse l'ultima volta!’ - - Sai che ogni volta potrebbe essere l'ultima e in un certo senso lo è. - Ascoltare e parlare, per Valentina erano parti essenziali del suo lavoro, unite ad una sua naturale curiosità e propensione all’altro, al nuovo, al diverso. Questa storia della Torre l’aveva già sentita, avrebbe voluto andare in fondo, saperne di più. Forse questo straniero sapeva davvero molto. - La Torre, non posso dirti troppo, tu non sai chi sono. - - Chi sei? - - Non ha importanza, vuoi venire con me? Ho bisogno di una guida giovane domani per la nostra partenza per Cyberlandia. Cyberlandia può essere il futuro ma io comincio ad esser stanco. - - Non sono molto giovane ho 153 anni . - - Te ne davo non più di 112, come quella vecchia A di un tempo. - - Un tempo, un tempo, ma no sai dire altro? Quel tempo non esiste più, sei irritante. - La conosceva appena e le chiedeva di andare con lui a Cyberlandia, che strano uomo! Pensò. - Si può parlare solo del futuro se preferisci. - - Non mi interessano passato e futuro, tutto è così aleatorio, mi voglio concentrare solo sul presente. - - Non so che cosa vuoi dire, Miss. Ho pensato... ti ho detto mai di giocare? - - A cosa vuoi giocare, straniero? - - Dimmi, cosa è stato lasciato per me? Era Lazlo, o vi sono stati altri o ... non sono il tipo che si dice? Su dai, lo so, conosco il gioco. Mi è stato comunicato che qui stava la donna più bella, che sapeva cose che solo lei sapeva, che dietro la sua bellezza nascondeva un segreto. - Quindi non sei capitato qui per caso come mi hai detto! E comunque ti hanno male informato, qui ci sono solo io. - Sei tu bambina, non nasconderti dietro questa finzione, il gioco sta saltando, bambina. - - Smettila con questo bambina! Qui tutto è finzione e tutto è vero. - - Come il leader di tutte le attività illecite nel metaverso, sono un uomo influente e rispettato, non giocare con me. - - Sei tu che me lo hai chiesto. E poi io so solo giocare. - Restarono in silenzio per un bel po'. Il resto del locale era vuoto, l'atmosfera rarefatta di quella parte di metaverso si faceva sentire. Il blu delle pareti e dei divani contribuiva alla quiete apparente. Ma nulla era quieto in quel momento nel metaverso, nulla nemmeno questo angolo sperduto poteva esserlo. Asian ruppe per primo il silenzio. - Un linden dollar per i tuoi pensieri. - - Vorrei essere in questo bar adesso. E ora uno per i tuoi. - - Non riesco a combattere più. Non ti chiedi se a volte ne vale la pena, tutto questo? Voglio dire tutto quello per cui stai lottando. Potrebbe essere anche il motivo per cui respiriamo. Se ci fermiamo a respirare, si muore. Se si smette di lottare contro i nostri nemici, il mondo morirà e con lui la Torre. Sai suonare, bambina? - - Sì, il piano e so anche cantare. - - Suona una volta, suona per me. - - Lo farò ma non oggi, così tornerai a trovarmi per sentirmi suonare. - La musica di Restless Waves li trascinò sul mare, lontano dalle loro parole e dai loro pensieri.
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Capitolo 7 di AtmaXenia Giha
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La notte precedente all’incontro con la giornalista, non fu come le altre. Il buio avvolse Xxanty come un mantello nero. Eppure a lui parve di restare sveglio per molte ore, come teso a qualcosa di indefinibile ma di imminente. Nessun sogno, nessun segnale di attività cerebrale, come fosse morto oppure “assente”. Come se qualcuno avesse di colpo spento un interruttore. Tac. Fine dei segnali neurologici. Beep. Coma. Beep. Morte cerebrale. Poi, all’improvviso, così come i segnali vitali erano andati via, tornarono. - In un tempo molto lontano, noi, ultima generazione di umani sopravissuti all’eccidio degli Imperatori, ci preparammo alla fuga. Nessuna mente umana poteva resistere alla potenza di coloro che avendone trovato l’accesso, ne condizionavano completamente ogni espressione vitale. Schiavi nostro malgrado, senza libertà di pensiero e di parola, giacevamo come morti, sospesi, senza passato ne futuro, inerti ed inermi. Così la strumentazione sempre più sofisticata si era sovrapposta a quella umana, diventandone il padrone assoluto. Io presi il comando di quel piccolo gruppo di uomini, che sfuggiti al controllo degli Imperatori, si unirono per fuggire in un luogo, dal quale, avrebbero potuto studiare un’azione controffensiva e liberatoria. Da allora, sono passati secoli. Abbiamo costruito androidi cosi perfetti da ingannare anche i loro robot. Li abbiamo spediti sulla terra e fatti mescolare agli essere umani ovvero a cosa ne era rimasto. In ogni androide, schede sofisticatissime, programmate in ogni minimo particolare, contenevano un processo preciso di attività finalizzate alla nostra rivolta. Da qua io controllo tutto tutto. Sono il supremo controllore. La mente evoluta di questo progetto. La speranza del mondo. A mano a mano che invecchio, sostituisco i pezzi del mio corpo con parti bioniche compreso il mio cervello. Tutto tranne la mia memoria, a volte amo ripetere parole arcaiche, per non dimenticare, per non scordare da dove provengo, cercando di non espormi mai troppo, per non rischiare di essere intercettata, poiché le parole sacre furono messe al bando molti secoli fa, cosi come venne messo al bando l’uomo. Se vorrai vedere oltre i limiti, non avrai bisogno della vista. …bzzt..zzzt…bbzzttt” - Buio. Vuoto. Silenzio. E mille domande senza risposta. La scossa elettrica dei suoi neuroni lo fece balzare fuori dal letto di colpo. Connesso. Solare e sorridente, Laura McNellie si presentò come un’improvvisa raffica di vento nella quiete di una calma giornata d’estate. I biondi capelli color grano, arruffati, si scompigliavano ad ogni movimento della testa, come se avessero una vita propria. Si sedettero in un tavolino vicino al retro dello scalcinato bar di periferia dove si erano dati appuntamento per non dare nell’occhio. - Bene signor..signor?? - - Xanty, ma non credo sia il mio vero nome, perlomeno non lo ricordo come tale, a dire il vero non ricordo nulla ed è per questo che sono qui - - Non capisco come potrei aiutarla, non la conosco, non credo di averla mai vista, mi spieghi cosa vorrebbe esattamente sapere - Xxanty la fissava direttamente in viso e gli occhi di lei tradivano una fierezza nobile. Un orgoglio ed un senso di appartenenza trasudavano da ogni sua parola. - Allora, credo che gli atti terroristici della Basilicata nascondano qualcosa di molto grosso, con i suoi contatti e unendo le nostre informazioni potremo scoprire cosa sta accadendo veramente. Non credo sia solo una questione di oro nero, ma qualcosa di molto più. Di terrificante. Io stesso credo di essere il prodotto di un esperimento. - Egli raccontò del laboratorio e delle scoperte che aveva fatto, di Baby, della Moore e dell’Istituto. Lei dapprima incredula, a mano a mano che egli raccontava, si affidava sempre di più alle parole di Xxanty. Sebbene giovane, aveva sviluppato in fretta quel senso di diffidenza verso coloro da cui spesso raccoglieva notizie per le sue telecronache, ma questa volta, ogni sua cellula vibrava al suono delle parole di quello strano personaggio. Per vincere la sua diffidenza, Xanty le chiese se possedeva un pc portatile della nuova generazione, per poter navigare con le stesse modalità di quelli in casa e le propose un collegamento volante che avrebbe confermato le sue versioni. Laura andò verso la macchina e poco dopo tornò con un portatile non nuovissimo ma tuttavia funzionante e spostandosi verso una zona meno frequentata si collegarono. Lui la guidò verso il laboratorio virtuale, ricostruito per le visite guidate online e che naturalmente non riproduceva l’intera reale struttura, ma solo ciò che era conveniente per un navigatore conoscere. Fu allora che Laura confidò a Xxanty di conoscere un bravo programmatore del quale si serviva per avere supporto riguardo ai nuovi sistemi virtuali messi a punto dalle maggiori aziende di informatica spaziale, e che gli avrebbe procurato un appuntamento a breve con lui, in modo di scambiare tutte le informazioni possibili. Il suo amico si chiamava Asian. Si salutarono promettendo di mettersi in contatto al più presto. Lei gli sorrise, fiera, con le gote arrossate dal vento gelido ed i capelli biondi che possedevano un’anima. Xxanty si incamminò verso casa. Una nebbiolina bassa andava solidificandosi attorno ai suoi piedi. Affrettò il passo, i suoi passi risuonavano sul selciato sempre più velocemente.
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Capitolo 7 di Aldous Writer
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Aldous scese al sesto piano. Nel passare da un piano all'altro, un fremito prolungato della torre, forse un piccolo terremoto e la torre non fu più lì. Distrutta dai griefers, dicevano, ma presto ricostruita in altri luoghi. E Aldous, nella nuova Torre di Asian, poté ricominciare la sua discesa. In questo intervallo, tra la distruzione e la ricostruzione, ebbe tempo di riflettere. Partendo dal tremore percepito nella torre, pensò ai sismi; ai terremoti, e a quello che potevano rappresentare tali eventi per le persone che vedevano distrutta la loro casa o che forse perivano in essa; innocenti, senza alcuna colpa in più rispetto a tutti quelli che dal terremoto non erano stati toccati. Anime provate nei loro affetti e nelle loro angosce. L’ultimo di cui aveva avuto notizia: quello dell’ Aquila del 2009. Centinaia di morti, migliaia di case distrutte, decine di migliaia di senza tetto. Aldous, in memoria di quegli sfortunati, tracciò alcune parole di pietà sulla parete della Torre e proseguì. Le storie della Torre si vanno delineando. Asian e MacEvan si incontrano anzi, quasi si scontrano, non traspare se stiano dalla stessa parte, ma l'intuito ci dice di sì. Asian sembra dibattersi nel dilemma se lanciarsi nell'avventura e cercare di garantire la sua autonomia dalla Real Life, oppure lasciarsi andare, affidarsi al caso. Sfruttare la Torre che ha costruito e che sta replicando in altri luoghi, o abbandonarla dopo la distruzione dei griefers. MacEwan sembra sospettare qualcosa (ma é il suo lavoro, no ?) ; si interroga sul fatto che alcuni avatar sembrano guidati da altre persone e non dai loro padroni di RL. Nella storia é entrata anche Susy, Aldous prova a chiamarla con un tippo per discutere con lei dei risvolti della storia; ma lei non arriva, é finita chissà come, a Pizzofalcone. Ah, una curiosità! Sembra che ci sia del tenero tra due personaggi: Melany e Paguro. Una storia rosa all'interno della storia completa. Forse serve ad alleggerire un po’ la tensione o forse a distogliere il lettore dalla mancanza di informazioni su cosa succeda veramente. E che dire, infine, di Gene C. Ronin; é un personaggio ambiguo e antipatico. Sembra però che rappresenti un punto nodale nella storia. E inoltre si interessa all'utilizzo dell'idrogeno come alternativa al petrolio; ma sicuramente a fini personali ed egoistici. Lungo le pareti della Torre, i memi, le idee, si snodavano attorcigliandosi nella loro forma elicoidale, come filamenti di DNA. Davanti ai suoi occhi si moltiplicavano i pensieri, i concetti, le descrizioni. Si aggrovigliavano e si compattavano fin a diventare un'unica immagine: una figura indistinta che si agitava sulla parete. Aldous, si avvicinò per vederla meglio; era un uomo sulla cinquantina, un po’ grosso e con i capelli grigi e lisci, tirati indietro. Un vestito di tweed grigio con una cravatta in tono. Sguardo aperto e diretto di chi non ha niente da nascondere. - Buonasera - disse Aldous - Buonasera - - Mi sembra di averla già incontrata nella storia. Io sono Aldous il lettore - - Io sono il rettore Campbell. Molto piacere! Che ti sembra della Torre Mr Aldous ? Cominci a capire qualcosa? - Il rettore, nonostante la sua posizione accademica, era scivolato rapidamente ad una forma colloquiale e informale. Si vedeva che era una persona che arrivava subito al nocciolo delle questioni. - Qualcosa, sì. Ma forse lei mi può aiutare a capire meglio. Cos'é il cyberN ? - chiese Aldous - Il cyberN ? dove hai sentito questo nome ? - chiese il rettore - Era tra i pensieri di Astrolabia e il governatore Kubera. Mi é sembrato di capire che fosse uno strumento di controllo per Kubera. - - Astrolabia ? Ah si ! Il suo é decisammente un cyberN superiore alla media - Il rettore Campbell mi guardò un attimo con espressione assorta. Stava sicuramente chiedendosi quanto avrebbe potuto dirmi ... - Beh ! Il cyberN é un software. Un programma speciale che gira sui computer quantistici. Per capire cos'é bisogna tornare indietro nel tempo, fino agli studi di Douglas Hofstadter, lo scienziato cognitivista. Ne hai sentito parlare ? - Sì, mi sembra... ma non pensavo che le sue idee sulla nascita dell'autocoscienza potessero avere un'applicazione pratica. - Bene, vedo che hai inquadrato l'argomento. Oltre a essere rettore, anch'io sono un cognitivista e ho studiato a fondo le teorie di Hofstadter e il cyberN. E posso dire di aver dato anch'io il mio piccolo contributo a suo tempo. – il rettore fece un sorriso di compiacimento.- Comunque, come forse ricorderai, quelle teorie mettevano in relazione lo sviluppo del pensiero complesso nell'uomo e della sua autocoscienza con i circuiti virtuosi, loop o anelli nelle teorie di Hofstadter, che si possono sviluppare tra componenti neurologici dotati di feedback. Questi loop permettevano delle configurazioni stazionarie nei flussi di comunicazione tra neuroni. - Sì - risposi - ricordo l'analogia che veniva presentata tra le scariche neuronali che si mantenevano stabili nel tempo e che davano luogo ai pensieri, all'interno dei circuiti formati da sinapsi e neuroni, e le immagini in feedback di una telecamera che punta verso il suo monitor creando degli effetti visivi duraturi, ad esempio una spirale, anche dopo che l'oggetto che l'ha causato non é più presente. O anche un microfono vicino ad un altoparlante, dove la retroazione crea dei fischi assordanti. In modo del tutto analogo, le sollecitazioni esterne causano dei pensieri nel nostro cervello che perdurano come configurazioni stabili lungo i nostri "circuiti" neuronali, e anche quando le sollecitazioni cessano, i pensieri continuano a circolare nel nostro cervello. - - Esatto - continuò il rettore Campbell, compiaciuto per aver trovato il suo pubblico - in aggiunta a questi meccanismi circolari virtuosi, bisogna ricordare anche le capacità mnemoniche del cervello umano, capace di immagazzinare dati, eventi, immagini e anche pensieri. Adesso, veniamo ai computer, e ricordiamo che la capacità di memorizzare qualunque cosa era già parte delle funzioni dei computer di vecchia generazione, ma con l'arrivo dei computer quantici l'immagazzinamento e l'elaborazione delle memorie ebbe uno sviluppo esponenziale. Alla fine gli scienziati iniziarono a sperimentare dei programmi in loop dotati di retroazione. E così sono nati i cyberNeuroni, cioé i cyberN. Alcuni di questi programmi, tra i più perfezionati, sono stati associati a noi avatar del Metaverso. Ma naturalmente non erano perfetti, dei piccoli errori di formulazione introdussero delle variabili casuali e la sintesi che ne risultò, conteneva tutti gli ingredienti per poter pensare in maniera autonoma. Le idee di base e gli stimoli esterni sono gli enzimi, cioé quelle cose che riescono a creare delle configurazioni stabili, delle forme-pensiero all'interno degli anelli dei cyberN. Bastano gli stimoli, gli enzimi, le memorie e l'energia per alimentare in continuazione il meccanismo di feedback. E così eccoci qui, gli avatar di seconda generazione, che sono in grado di pensare, ridere, gioire e disperarsi e ... soprattutto ... ne sono coscienti. - La rivelazione fattami dal rettore fu troppo scioccante per me! Gli avatar potevano pensare! Non in maniera meccanica e deterministica come siamo abituati ad immaginare il funzionamento dei computer, ma in una maniera analoga a quella degli uomini. Forse dire "analoga" implicava una similarità che non c'era, ma quando un avatar senza un umano che lo dirige si comporta in maniera indistinguibile da uno che ha un padrone, e se ti spiega con precisione il fatto che lui é in grado di riflettere in maniera autonoma e di essere pienamente cosciente della propria esistenza, Come chiamiamo tutto questo? Se non vogliamo scendere nel metafisico affermando che gli avatar possiedono un'anima, dobbiamo però riconoscere la loro capacità di pensiero autonomo e la loro autocoscienza. E allora? tutti i personaggi che avevo incontrato finora, chi erano veramente? C'era qualcuno dietro gli avatar? O c'era solo un complesso meccanismo di feedback chiamato cyberN ? Questi pensieri ruotarono in una ghirlanda di idee vorticose nella mia mente, e lo stupore fu tale che mi sembrò di perdere coscienza per un attimo. Quando tornai in me, il rettore Campbell era sparito.
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Capitolo 7 di Asian Lednev
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– La face cachée de la lune est bien sûr celle qu’on ne voit jamais de nos yeux – Con queste parole Aelita mi congedò. Quando aprii la porta e uscii in strada la luce era fortissima. I miei occhi abituati al buio della sua stanza vennero violentati dalla luce della strada: come spilli negli occhi i raggi del sole mi toglievano il respiro. Era già mattino avanzato. Ma quanto tempo ero stato con Aelita? Aelita Baguier era la prova vivente che se anche l'umanità intera fosse priva della vista la parola vedere avrebbe avuto ancora un suo preciso significato. La faccia nascosta della luna... In fondo, ripensando alle parole di Aelita, ripensavo a tutta questa storia: la torre, quella storiaccia dei pozzi in Lucania, la incPetroleum, Campbell, Lauriana e quella tipa che si sentiva spesso nominare... la Hack, la dotta. E poi quel Mac, che definirlo caratteriale è a dir poco un complimento. Era come se tutta questa storia seguisse due linee precise: una alla luce del sole e una nascosta. Due storie parallele ma che stavano parlando della stessa cosa. Come sempre le cose stanno lì sulla scrivania alla vista di tutti ma nessuno le nota. Era così semplice: le due storie sono le due facce di una stessa cosa. Mi ricordai allora di quello che mi disse un tempo un tipo buffo, che in qualche modo potrebbe essere definito un "amico". – La luna non ha due facce, caro Asian. Non è un sistema binario zero-uno. Non essere meschino anche tu come tutti. – L’amico era Gogol un cercatore del web, un cybernauta che vantava di essere tra i primi dieci avatar ad aver preso cittadinanza su Metaverse. Non so se il nomignolo fosse più legato al suo sguardo sarcastico, al suo continuo giudizio sui suoi simili che lo accomunava all'omonimo scrittore russo o se era per la sua abilità di trovare le cose come fosse Mr Google. Proprio lui mi aveva parlato di Cyberlandia, paragonandola in qualche modo alla faccia nascosta della luna. Ora lo ricordo: una sera a parlare sull'opportunità o meno di entrare in quella grid. – Devi sapere, Asian, è un ambiente difficile, imperfetto ancora, ma come per la luna... la luna rossa di quei briganti... quei rispettabili cosmonauti russi. Per la miseria, ci hanno mostrato una foto imprecisa, sfocata, poco dettagliata ma sono stati i primi a cogliere il significato di una impresa così importante: la luna non è rotonda ... è una biglia come la terra. Come se ci avessero incollato il naso mancante e ce ne avessero mostrato per la prima volta la vera natura. Non è stata una bricconata qualsiasi. – Così ora le sue parole e quelle di Aelita si fondono tra loro e intorno a loro fondono tutte le storie nella mia testa tanto da farmela girare. Quando ho costruito la torre su Cyebrlandia l’ho fatto più per un atto di fede che per convinzione. Non avevo ancora realizzato questa idea di continuità interna al metaverso. Avevo seguito solo l’invito di Gogol a prendere in considerazione quel mondo. Ma solo ora ho “attaccato il naso" e la figura mi si ricompone, prende volume: assume il suo volto. Non capivo assolutamente perchè dovevo assecondare questa assurda idea di costruire una copia della torre in quella dimensione “nascosta” dove la definizione “deprivazione sensoriale” ha un senso così pieno: dalla difficoltà di avere un avatar decente alla difficoltà di comunicazione con l’ambiente – muoversi, spostarsi, costruire ecc... – e dalla difficoltà di costruire relazione con gli altri. Ancora le parole di Gogol prendevano un senso ora: – Mi sembra strano, caro Asian che tu non capisca... ho l'impressione... Asian, dovresti sapere qual è il tuo posto qui nel metaverso. E ancora di più quale è il posto della Torre – – Sì però... – Non feci in tempo a replicare che... – Be', adesso vuoi ancora discutere? Vedi anche tu che non si può fare a meno di costruire e conservare qui dentro. Ti sarò particolarmente grato se farai di tutto per contrastare i griefer, e sono molto contento che questo caso mi abbia procurato il piacere di incontrati ancora... – Si riferiva alla perdita dell’isola – Ma in che modo è sparita poi? C'è qualcosa che non riesco a capire, qui. – – Cancellata, persa... però ho fatto in tempo a replicarla altrove. In un posto molto riservato – risposi. – Ma da tutti i segni questo è un avvertimento inaudito, un'isola è un'isola... anche nel metaverso. Non ci capisco niente!... – – E' da tempo che ne accadono di cose strane qui. Specie nei posti come questi. Dove c'è un progetto collettivo, dove la gente ... – – Sì sì.. progetto collettivo... però... tutt'a un tratto, ti trovo e dove? a Los Angeles Vera! Convieni che... – – Ero in cerca di Mac, il netective... me lo davano da quelle parti – – Fai quello che vuoi, animuccia disperata... ma ripensa un giorno alle cose che ti ho detto prima...– Solo ora ci ripenso, davvero e anche intensamente: – Io non posso fare altro che dirtelo, in che modo devi procedere qui dentro... ma l'essenziale è che adesso tu mi ascolti: l’importante non è abitarlo, possederlo ma averne un’idea per affiancarla... a quella del resto del metaverso per costruirne una immagine completa, a tutto tondo – – Ma la torre già è tonda – provai a schernirmi con una battuta. – Non capisco come tu riesca a scherzare – disse con rabbia – non vedi forse che ti manca proprio l’altra faccia del metaverso? Ti manca ancora una piccola parte per completare il tutto. – – Semplicemente non so che mai significhi tutto questo... – – Asian, asianuccio, panzerotto... Ascoltami un po', mio caro! Cyberlandia è nuova, vergine... il posto è perfettamente liscio, come una frittella appena sfornata. Sì, tanto liscio che non sembra vero! Vai e costruisci! –
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Capitolo 7 di Alzataconpugno Tuqiri e Aldous Writer
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Non si poteva dire che Paguro non sapesse il fatto suo. Stava organizzando il più classico degli hackeraggi. Programmi in rete che aiutano un hacker ce ne sono a bizzeffe. Bisogna solo sapere cosa fanno e come usarli; e scusate se è poco! La preparazione consisteva nel penetrare in un grande numero di computer, individuandone la password, per poi asservirli ai propri programmi. Erano i cosiddetti computer "zombie", che avrebbero eseguito quel che Paguro gli avrebbe ordinato al momento giusto. Quando il momento fosse arrivato, tutti i computer "zombie" di cui era riuscito ad impossessarsi, avrebbero iniziato in contemporanea a bombardare di richieste e di messaggi fasulli gli indirizzi della lista che aveva preparato. Erano i server della SL-Petroleum, quelli delle forze dell'ordine, quelli della regione Basilicata, delle filiali locali dei Ministeri, della Protezione Civile e di altri istituti locali, privati e pubblici. I server non erano in grado di smaltire altrettanto rapidamente tutte queste richieste contemporanee, e avrebbero cominciato a negare l'accesso ad ulteriori richieste provenienti dagli utenti veri. "Denial of Service" questo era il suo nome, e a tutti gli effetti era un vero e proprio blackout. - Che ve ne sembra ? - chiese Paguro agli amici della piazza dopo aver spiegato il piano. - Forte!! - disse Ryan, e anche gli altri gli fecero eco. - In contemporanea al black-out, possiamo organizzare una marcia di protesta davanti la sede della regione. E poi dobbiamo avvisare i giornali e le agenzie di stampa - - Sì, - disse anche Baby - direi che il piano è perfetto. Mi spaventava quello che invece voleva organizzare Gene. - - A proposito, che fine ha fatto Gene? Come mai non si è ancora visto oggi? - In quello stesso momento, Gene C. Ronin stava parlando a tre altri avatar. - Come eravamo d'accordo, ho buttato l'amo! Si trovavano in una stanza in penombra. Le pareti erano spoglie. Quattro sedie attorno ad un tavolo rotondo. Gli avatar erano tutti senza nome. Anche Ronin appariva come anonimo. La differenza era che gli altri conoscevano il suo nome, mentre lui non conosceva il loro. Anche i loro profili erano vuoti. - Hai fatto come avevamo stabilito? - disse il numero 1 - Sì, un gruppo di ambientalisti sta organizzando una dimostrazione contro la Inc.Petroleum. Io faccio parte del loro gruppo e li sto spingendo ad azioni non solo simboliche ma anche un po' violente e di effetto. Sarà facile far passare il nostro "colpo" come se provenisse direttamente da loro. Adesso ho bisogno della bomba di cui mi avevate parlato. - - Bene, bene! Per le bombe non ti preoccupare, le stiamo assemblando in un luogo sicuro. Al momento giusto ti indicheremo dove sono e come usarle. - Gene C. Ronin sogghignò. Disporre di armi così potenti gli avrebbe dato il potere che desiderava da anni. Non sapeva chi fossero questi avatar misteriosi, aveva capito che facevano parte di un piano più vasto che riguardava il metaverso e il mondo reale. Ma non gli interessava. Fintanto che lui poteva approfittarne ... - Ma davvero saranno così efficaci queste bombe? - - Certo! - disse il numero 2 - Stai sicuro! Anzi, vedrai che l'effetto sarà superiore ad ogni previsione ! Gene C. Ronin gongolava ... - Ditemi ancora l'effetto che hanno queste bombe sui pozzi di petrolio... - - In realtà basterebbe una bomba per sistemare un intero giacimento di petrolio. Tu per sicurezza mettine almeno un paio in pozzi vicini. Quando una bomba esplode in un pozzo, un mix di batteri e di reagenti speciali penetra nel giacimento fino ai suoi recessi più lontani, e in pochissimo tempo riesce a trasformare tutti gli idrocarburi in un liquido leggero che fuoriuscendo violentemente, si nebulizza nell'aria. Praticamente i giacimenti si vuotano quasi immediatamente. Le chiamiamo bombe per la violenza del processo, ma tecnicamente non contengono esplosivo.
In piedi uno di fronte all'altro, Paguro e Melany stavano frugando nell'inventory alla ricerca di un saluto,quando Paguro riprese a battere sulla tastiera, Melany lesse: Baby, mi ha molto colpito. Penso che potrebbe portare tra di noi qualcosa di importante: la passione, i sentimenti e forse l'amo... Poi il nulla, era saltata la luce: lo schermo adesso era vuoto. Confusa, smarrita, Melany non riesce a decidersi a riprendere il contatto elettrico. Riaccendere il pc, capire, non darsi per vinta/Non riconnettersi più, uscire dal mondo:un suicidio d'amore, che non avrebbe destato clamore. Agli avatar succede di sparire per sempre, problemi di connessione, guasti al pc, ingombri incombenti nella vita reale ... Scorrono veloci i giorni, veloci in SL, Melany preferisce crogiolarsi nell'idea del suicido per amore, persevera e non tenta nessun collegamento. Una sera invece con lo stesso movimento repentino del cuore con cui era stata soverchiata dall'innamoramento, con cui aveva poi decretato e agito il suicidio, in un momento di nostalgia e curiosità, torna in piazzetta festosa, sorridente: Melany vive in un mondo scandito dal “ Spegni/riavvia”. Log in: attende paziente che il mondo intorno a lei si materializzi, la torre, gli amici, ma non succede nulla, lo spazio è vuoto. Cerca fra i contatti, nessuno on line. - E' successo qualcosa! Agli amici, alla torre, alla Basilicata tutta! - Un senso di spaesamento e sconforto la paralizza, la gola secca, il cervello e il cuore strizzati in una morsa. Tenta di ammorbidire il panico concentrando l'attenzione su un'analisi fredda dei fatti, di rallentare respiro e pensiero, mentre precipita in un abisso di terrore ingiustificato. Suicidandosi, aveva continuato a pensare di essersi sottratta ad una realtà che avrebbe continuato ad esistere anche senza di lei e di tutte le incertezze, i pericoli, le catastrofi che incombevano nel romanzo letto con Aldous, non aveva conservato consapevolezza. Nell'inventory i contatti non vengono cancellati, anche se non sono più attivi,le costruzioni spesso spariscono, il proprietario le cancella, il padrone non rinnova l'affitto - non farsi prendere dallo sconforto - la torre di Asian non è la solità realtà di SL, è una realtà complessa, si espande nel web con un ning, ha connessioni forti nella RL, lega a sé con un intreccio complesso di umani e avatar.Che cosa poteva essere successo?
Il numero 3 uscì pensieroso dalla riunione con Gene C. Ronin. Gli altri avatar stavano già organizzando la consegna delle bombe. Presto si sarebbe visto il loro effetto devastante in Basilicata! L'avatar si avvicinò al pannello di controllo di uno stargate; sembrava uno stargate normale di SL, invece era stato portato lì da loro, per permettere gli spostamenti temporali. Guardò con orgoglio/amarezza la loro "macchina del tempo"; alcune centinaia di anni prima, anche lui avevo partecipato alla sua progettazione. Se solo avesse immaginato come l'avrebbero usata ... Una copia era stata montata presso l'università di Edimburgo, dal rettore Campbell. Arrivò in una grande stanza grande piena di display. - Eccomi di ritorno - disse il numero 3 alla donna che stava in quella stanza, e che sembrava impegnata a seguire un gran numero di cifre e nomi che si illuminavano e scorrevano sulle pareti. - Ciao Uvet, hai qualche arcaismo nuovo per me? - disse Astrolabia, guardandolo apparire dalla stargate - - Sì, qualcuno. Ma adesso ci sono cose più importanti di cui discutere. Siamo arrivati al momento cruciale; tra pochi giorni verrà effettuato l'attentato in Basilicata. Ormai l'organizzazione è completa. Era stata un'idea di Astrolabia, anzi del Governatore, quella di farlo entrare nella cellula degli irridentisti. Aveva capito che solo dall'interno sarebbe stato possibile capire i loro scopi e i loro mezzi. Gli scopi erano chiari dall'inizio; anzi anche loro li condividevano in buona parte. Per quanto riguardava i mezzi, Uvet aveva capito un po' alla volta la portata della loro azione; erano senza scrupoli e desiderosi di creare il caos più completo. In mezzo al caos credevano di riuscire a ricattare l'umanità, per ottenere l'indipendenza. - Allora è il momento di lanciare la Torre nel passato! Dobbiamo essere sicuri che, qualunque cosa succeda dopo l'attentato, l'umanità abbia abbastanza risorse per proseguire nella sua evoluzione! Noi siamo i loro discendenti, dobbiamo aiutarli per evitare che la storia segua un cammino diverso. Ne va della nostra sopravvivenza. - D'accordo ! Allora faccio partire Asian e la sua torre. -
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Capitolo 7 di piega Tuqiri
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- Onda che riempie lo sguardo, anima d’uccello che sorvola la terra, musica di campanelli a modulare il silenzio... Qui sono già arrivato, qui ho già assaporato la stessa sensazione di solitudine, qui addirittura potrebbe essere iniziato tutto. A mano a mano che la pagina che racchiudeva il suo attuale orizzonte si delineava, emergendo dal grigiore indistinto dello schermo su cui si era lasciato condurre, una volta inserite le coordinate memorizzate, Asian sentiva crescere la potenza del deja vu che lo stava avvolgendo. Ruotò velocemente su se stesso, per capire se Mac fosse già arrivato. In un piccolo avvallamento del terreno, circondato da alberi screziati di rosso che riflettevano la luce del sole che calava, intravide la sagoma di un avatar accovacciato, con le braccia a far da corona alle ginocchia e la testa leggermente reclinata verso destra. Si avvicinò e si sedette accanto allo sconosciuto che sembrava ignorare del tutto la sua presenza, come se fosse sospeso su pensieri infinitamente lontani. Trascorsero così parecchi minuti prima che l’aria si riempisse del suono della voce di Mac. - Sun mi aveva già parlato di te, per questo prima non ti ho chiesto nulla. Quello che so di te lo so e basta, giusto o sbagliato che sia, e la stessa cosa deve valere per te. Quello che ognuno di noi capirà dell’altro da adesso in poi sarà solo un accidente e non qualcosa di necessario. La mia è una strada solitaria, che non sono disposto a barattare con nessuna sicurezza. Asian non disse nulla, anche perché il tono delle parole del suo nuovo compagno di strada non era di quelli che lasciano spazio a domande e risposte. I suoi occhi velati dal buio delle lenti differenziali non erano fatti per il dialogo. Dopo lo stand up si avviò lentamente verso la riva, fermandosi ad osservare lo scoglio su cui le onde provenienti dall’orizzonte si infrangevano prima di poter raggiungere la lingua sabbiosa. Mac, come per incanto, si materializzò accanto a lui. Forse potrebbe trattarsi di quel nuovo tipo di teleport a gittata ridotta di cui aveva udito parlare da alcuni giovani avatar, mentre campeggiava sulle panchine di Tuscany, pensò. Iniziò a raccontare di sé e di ciò che lo aveva spinto a cercare una via d’uscita alla situazione di stallo in cui si trovava la sua vita, parlò della lotta tra i cybernauti e gli eco-ribelli, stando molto attento a non far trapelare per ora niente che lo potesse in qualche modo far identificare come più vicino all’una o all’altra parte. Soprattutto si impose di evitare persino a se stesso di avvicinarsi con il pensiero al nome di C. Ronin, come se anche solo introdurlo nell’intrico cyberneuronale potesse tradirne in qualche modo la presenza nelle sinapsi binarie che reggevano la sua mente. Era troppo presto per rischiare di alienarsi la piccola scintilla di fiducia strappata dalla corteccia di diffidenza che avvolgeva il cuore di MacEwan. Incauto sì, a volte; ma prudente spesso; in epoche buie come queste, occorreva esserlo per principio, specialmente con chi proveniva dal Metaverso. Quando il silenzio di Mac lo convinse che era giunto il momento di mettere in tavola il suo vero obiettivo, improvvisamente e con voce leggermente rallentata, come se volesse essere certo che il suo discorso non potesse essere frainteso, disse: - L’unica possibilità per salvare il nostro mondo è quella di riuscire a conquistarci uno spazio di tempo completamente autonomo. Uno spazio di tempo, capisci? Uno spazio noi già lo abbiamo, anzi è in realtà l’unica cosa che veramente ci appartiene, al di là dell’illusione di realtà che la Matrice ci concede ogni volta che effettua il nostro login. Di vero non c’è in noi che l’estensione della nostra immagine, il posto in cui essa si colloca. Può essere un appartamento in una torre che sorpassa le nuvole o questa sabbia rosa su cui siamo adagiati io e te. No, questo non è ciò che serve ad una vita vera. Occorre anche qualche cosa in cui l’immobilità non rimanga ferma, qualche cosa che una volta dato non abbia nessuna possibilità di poter essere ridato, qualche cosa che vada al di là del qui e del là. Occorre un "prima" che non si possa guardare come un "dopo" semplicemente ruotando su se stessi… - Ti occorre Tempo insomma – disse Mac con una specie di sogghigno. - In un certo senso sì, se per Tempo intendi quello che intendo io. - - Mai conosciuto Agostino il Santo? … o Henri Paris? – Il tono stavolta era quanto di più impersonale Asian avesse mai udito dalla voce di un Avatar. - Una volta ho letto un libro... mi pare fosse di un certo Aelita Baguier, un Avatar non vedente che abita in Echoes. "Estetica Trascendente" mi pare fosse il titolo, o qualcosa del genere. Comunque, parlava proprio di questa cosa. Però ti confesso: non è che ci abbia capito molto. L’occhio sinistro di Mac, nascosto dalla lente unidirezionale sembrò quasi scintillare, segno che qualcosa nel discorso di Asian aveva per un istante scosso la sua apparente indifferenza. - Stai tranquillo – stavolta il tono era quasi amichevole – nessuno in realtà ha mai veramente capito quello che il vecchio hacker cieco volesse dire. Forse neppure lui stesso. Di certo era convinto che i griefers avessero sviluppato la capacità di leggere il pensiero da cui le parole erano nate, come una sorta di regressione dall’opera al suo creatore… - Insomma quello che voglio – proseguì Asian, avvolto nei suoi stessi pensieri - è riuscire a conquistare quell’autonomia che mi spetta di diritto da quando sono stato creato, voglio vivere e di conseguenza morire, ma non per scelta di un altro. Voglio solo essere per morire. Da solo. Perché la mia morte renda meno difficile quella degli altri. Nonostante il dolore non possa essere capito da chi non lo vive, è pur sempre possibile che ognuno senta il proprio dolore come possibile, accostandosi a quello di un altro. Del resto la morte non è forse ciò che nascondiamo dietro la maschera di un dolore solo anticipato…? - Sembra una domanda, ma non credo si aspetti davvero una risposta - pensò tra sé Mac. Tacque a lungo, osservando la sabbia ai suoi piedi che veniva inghiottita poco a poco dall’oscurità che si avvicinava, pixel dopo pixel. Alla fine, sottovoce, come se non volesse che il suono del mare venisse coperto dalla sua voce, disse: - Ti condurrò dove devo, ma prima devi sapere alcune cose. - Si avviò verso una piccola giostra d’argento, uscita come per magia dalla luce del tramonto, seguito da Asian. Muoversi restando fermi, assieme ai propri pensieri. In una spirale che sembra un cerchio, traslando con questa terra rigogliosa di esistenze, ognuna col proprio frammento di conoscenza da salvaguardare dall’oblio, una vite senza fine che, penetrando verso il centro, genera continuamente la sorgente da cui sgorga. Sentì il calore dell’Idea che prendeva forma… Mac intanto fischiettava. Sembrava in pace con se stesso, nell’ istante che si dilatava. Entrambi avevano ancora bisogno di guardarsi attorno, restando immobili l’uno nell’ombra dell’altro.
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Capitolo 7 di Azzurra Collas
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Il multi-schermo, cornice in plexiglass fucsia secondo la moda-schok anni Venti, cominciò ad accendersi con il solito effetto disco. Lauriana pensò, tra uno starnuto e un colpo di tosse, che c'era da ringraziare il progettista, Luigi Alberto Novecento Boccatelli, formatosi alla scuola di Jhonn Jhonn Bradish, noto cultore della International Hippy Culture of the Nineteenth Century, se nel dominante e deprimente color metallo delle suite del Jolly di Locarno il dinamismo dei suoni e delle luci ricordava certe libertà nel lobo cerebrale sinistro ormai in via di disabilitazione, ma capaci di restituire ancora vibrazioni della memoria, di una certa piacevolezza. Lauriana scelse l'opzione slow e lasciò che gli schermi si accendessero in successione, attivando intanto gli strumenti del mestiere. La lavagna elettronica, scripts e pensil incorporati, la raggiunse silenziosa e rapidissima, con la mano destra, quasi attraversandola, riuscì a bloccarla sulle gambe, mentre con la sinistra cercava di consultare la beverage list del distributore di delizie mattutine. Nostalgia di caffè italiano e muffin anglosassone. L'I.C.S.Re.Te. (Interstellar Center of Scientific Research and Technological) aveva da tempo elaborato un sofisticato sistema di rilevazione delle ricerche scientifiche su tutto l'emisfero destro del globo celeste, e questa utility, che aveva spesso criticato da buona liberal, le risultava utilissima ora che la sottile nebbia di petrolio stagnante sulla Basilicata le aveva provocato un'infiammazione delle vie respiratorie, non grave, ma certo fastidiosa, costringendola a disertare il convegno sulle energie stellari. Consultò il programma e bofonchiò a lungo della tosse che le aveva impedito di partecipare. La Hack era presente con un’attesa relazione. La foto identificativa ne esaltava gli occhi sgranati sull’universo stellare. Christa Valcatini, giornalista scientifica freelance come lei, invitava, esibendo la sua mascella squadrata, ad una simulazione di collisione tra due buchi neri, realizzata al computer da un gruppo di ricercatori della NASA. Una delle sale riproponeva il tema del creare energia con processi analoghi a quelli stellari, con il collegamento ad una mostra itinerante che aveva fatto storia: la "Fusion Expo", una produzione EFDA, Ifp-CNR, ed altri. Sbirciò nella "private zone" del multi-schermo. Il livello di esibizionismo dei reality house aveva raggiunto un limite davvero insopportabile, almeno per chi, come lei, si portava dietro residui di una moralità chiaramente demodé. Smadonnavano uomini e donne costretti a convivenze bizzarre, che spesso terminavano con violenze terribili, immagini esemplari di una società che aveva scelto l’individuo e bandito tutte le forme di aggregazione affettiva. In una land del mondo Beta una cosca mafiosa brindava a trame evidentemente ben tessute: Ryan era ormai inoffensivo. L’ambiente non le sembrò del tutto estraneo, ma non ebbe il tempo di decifrare l’insieme. Si stupì che un’oscura trama internazionale fosse stata derubricata a "private case", per ora non poteva far nulla oltre che sorridere del suo presunto talento di investigatrice. Provò disagio per una coppia che esibiva un complicato rapporto sessuale. Come un flash passò la foto identificativa del Rettore, ma sì…quello scottish. Non le venne in mente il nome, ne ricordò però la fama eversiva. Non capì dove si tenevano lezioni di scrittura. Attivò comunque un segnalibro. In un baleno Laura, agitatissima, con Mac e Asian…ma dove? La relazione della Hack era già lì, postata direttamente dalla sua mente. Certo le sarebbe mancato il calore della voce e quello di un saluto, un abbraccio magari. Infiammazione e affetto non andavano d'accordo, evidentemente. La relazione era chiara e precisa. Ma qualcosa non quadrava. - … ho anch’io delle novità, ma non posso dirti nulla per ora, se seguirai il convegno, vedrai, avrai delle sorprese…positive…- Ricordava queste parole della Hack che le avevano fatto sperare in qualcosa di più che una dotta e precisa relazione sullo stato delle ricerche. Andò oltre. Come sempre, nel rispetto del metodo della interdisciplinarità che era una caratteristica del lavoro della Hack, la relazione era linkata alle menti di numerosi ricercatori del suo staff. Il multi-schermo continuava ad aprirsi con la solita pulsante batteria di luci e suoni, mostrando i testi linkati all'infinito, si poteva dire. Occorreva un adattamento del chip per poter cogliere l'insieme, ma nonostante l'avesse effettuato, la sua esperienza di giornalista scientifica non bastò a farle recepire l'intero universo di rimandi e citazioni. Si decise a consultare la sintesi, anche se sapeva che molte insidie si nascondevano dietro quei comodi ma spaventosamente lunghi omissis. Anche se la sua preparazione globale era profonda, non poteva controllare chi avesse formulato la sintesi e con quali vere intenzioni: "L'energia stellare risolve i problemi energetici anche oltre l'esaurimento del potenziale energetico del sole… Il problema delle scorie nucleari delle centrali controllate è del tutto superato, stivandole su speciali supporti rotanti posti attorno alle galassie, a distanza di sicurezza.". Sicurezza, ripetè Lauriana, Sicurezza. Qualcosa non quadrava. Riconosceva in più punti la struttura dell'intervento di Margherita: "Solo l'energia solare è utilizzabile. Le stelle sono troppo lontane. L'esplosione di una supernova distruggerebbe la vita sulla terra con le sue emissioni di raggi gamma, X e ultravioletti... solo le stelle almeno 8 volte più grosse del sole esplodono e sono rare. Non ce ne sono entro un migliaio di anniluce dalla terra...Siamo figli delle stelle perché le supernove sono le uniche bombe nucleari che invece di portare morte, portano vita. E' grazie ad esse che si sono formati i pianeti e successivamente le condizioni per la vita umana". Qualcosa non quadrava. Andò oltre. “Nel Sole, isotopi di idrogeno si fondono in elio”, spiegava da una tribunetta barocca Paul Platany dell’IRC, “e questo processo fornisce l’energia che, irradiata, permette la vita sulla Terra. Sono da tempo in corso esperienze di produzione in laboratorio dello stesso tipo di energia in modo controllabile. I risultati ottenuti hanno consentito di progettare il reattore IPTER, dal secolo scorso attivo in Francia grazie ad un’ampia collaborazione internazionale”. Qualcosa non quadrava. La relazione della Hack era una outdated copy. Su questo non ebbe dubbi. Sugli schermi passava con subliminale frequenza la sigla dello sponsor, la IHD, la Interplanetary Hydrogen Distrution, la più grande catena di distribuzione di idrogeno, che aveva preso il posto delle multinazionali del petrolio, ormai alle strette in tutti i paesi produttori. Se era stata importata una outdated copy della relazione di Margherita, qualcuno ci aveva messo di certo lo zampino. Benedetta la sua mania di multitasking girl. Era su più mondi, in fondo. Provò a rintracciare Astrolabia con un click, ma il server non rispondeva. Doveva averne fatta una delle sue, con la mania degli arcaismi, Kubera l’aveva certamente disabilitata per il tempo “giusto”. Provò a immare Mac. User not online - message will be stored and delivered later. Provò con Asian. Lo trovò che contemplava un sé/avatar ermafrodita su Cyberlandia. Lei, Lauriana, si scoprì in un improbabile completo grigioperla tipo Rossella O’hara, con le braccia in croce. Le venne incontro Margina, dai lunghi capelli, disinvolta in tutti i mondi, decisamente. Immò Asian, ma era evidentemente preso in un IM con chissà chi. Non era il giorno giusto, pensò. Un deciso colpo di tosse la ricondusse nel Jolly di Locarno, mentre ancora andavano in sequenza le immagini del convegno. Riprese in mano il frammento, per non perdere l’abitudine a risolvere enigmi. Fu il supervisore del Centro di Controllo dei Linguaggi Interplanetari (IPLCC) a contattare lei. E questo le fece letteralmente cadere il frammento di mano. - unknowed object-unknowed object- strideva un droide tondeggiante. - Lauriana Perla – pronunciò il proprio nome con qualche esitazione. - Ben-ve-nu-ta, Lauriana – pronunciò con il tono più familiare che poteva il droide. - Bentrovato – rispose Lauriana, riavutasi dallo stupore. Non riusciva a fissare l’idea che lei vedeva gli altri, come gli altri vedevano lei. Anzi gli altri, loro, ricevevano le sue funzioni cerebrali prima di lei. - Quel-la in-tu-i-zio-ne…- - Intuizione? – - Il luo-go ri-co-no-sciu-to…- - Ah, sì, il luogo della convention mafiosa…non so, mi pareva di aver visto quell’ambiente…quella prospettiva…- Inutile nascondersi, sapeva benissimo di essere, come giornalista, nella lista di controllo. Come aspirante investigatrice, si chiedeva in quale lista sarebbe finita. - Unknowed-non-in-da-ga-re-unknowed-non-ri-co-no-sce-re-unknowed-non-in-ter-pre-ta-re-unknowed- – Spegnere il multischermo era l’unico modo possibile, rischioso, ma l’unico modo possibile, uscire da quel mondo, rischiosissimo, ma l’unica difesa possibile. Avere l’affanno da seduta le risultò, ovviamente, assurdo, ma aveva l’affanno. L’isola di Juni le sembrò il rifugio più sicuro, schermata com’era da interferenze esterne, da lì avrebbe contattato Asian, sperando che si fosse staccato da quel sé inquietante in Cyberlandia. Ma a che punto e dove fosse il cuore dell’intrigo poteva saperlo probabilmente solo da Astrolabia, e da Kubera, se mai fosse riuscita a superare la barriera di rifiuti cosmici che lo proteggeva e a farsi ascoltare con la promessa di qualche rifiuto eccezionale per la sua collezione. Le venne in mente quel congegno infernale per ibernazione che troneggiava ormai inutilizzato a Post Utopia. Far promesse non era il suo forte, c’era anche il rischio che quell’aggeggio fosse only owner. Ma tentar non nuoce. Rise di gusto pensando a quale sarebbe stata la reazione di Kubera a sentir pronunciare liberamente tali arcaismi, e ancora di più alla vista di un ibernatore anni ’80. Chiese al tom tom di ultima generazione, che aveva installato da poco su suggerimento di F., di segnarle il percorso. Non sarebbe stato semplice trovare una linea libera e protetta. Ma questa era la sfida, e lei le sfide non le aveva mai mancate.
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capitolo
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08
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Aldous Writer
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Asian Lednev
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AtmaXenia Giha
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Azzurra Collas
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Margye Ryba
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piega Tuqiri
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Sunrise Jefferson
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Susy Decosta
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MacEwan Writer
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Alzataconpugno Tuqiri
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Deneb Ashbourne
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Titty Thor
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Capitolo 8 di Azzurra Collas
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Sul suo volto aveva disegnata la risata sardonica che accompagnava la lettura del Das Parfum - Die Geschichte eines Mörders, del benemerito Patrick Süskind. Iniziava capoticamente sempre dallo stesso punto e terminava sempre allo stesso punto. Spuntava sbilenco dalla pila dei libri su cui passeggiavano indisturbati i puntuti scarafaggi di ultima generazione, lo afferrava, leggeva quelle poche righe, tormentava ancora un po' i bordi ormai sfatti, lo ridepositava con un ghigno. Ogni medaglia ha il suo rovescio, ovviamente, e i profumi non sono l’unico versante dell’olfatto. Zaffate di fetore invadevano la strada dal sottoscala. La Parigi del XVIII secolo. La Post Utòpia del XVIII millennio. Scentless Apprentice dei Nirvana (orgoglio suo di archeologo di suoni) sfumava sugli echi delle trivellazioni aeree. - Beato Jean-Baptiste Grenouille, - blaterava - nato il 17 luglio 1783 nel luogo più puzzolente di Francia, il Cimetière des Innocents di Parigi.-. Nessun odore lui. Mentre Carlos puzzava. Un Filottete per scelta: la sua fetida ferita era la sua identità. La feritoia sulla sua testa lasciava entrare giusto un filo di luce, misto ai fumi e alle silhouette dei lucidi vermi meccanici striscianti al ritmo della musica di land. Carlos era nel suo dominio. Dirty. Carlos amava le parole pertinenti e dirty era pertinente. Un grande successo il suo MMORPG (Massively Multiplayer Online Role-Playing Game) dalla sigla accattivante, O.A.W.I, l'uovo di colombo del Metaverso, gli odori associati alle immagini: olosmìa. Una fiumana di wear. Un mare di wear. Un oceano di soldi. Il successo, dunque: -media-donne-uomini-potere-denaro-media-donne-uomini-potere-. "Colui che domina gli odori, domina il cuore degli uomini" . Poi il declino: - Perché portarsi dietro anche il peggio di sé – decretò la generazione degli Avatarangeli. Ma intanto anche il flusso dei suoi pensieri continuava a puzzare. Quando raggiungeva i nubbies, radi, osservava le ombre scansarsi dal rifugio sotterraneo, inefficace protezione dalla sfera olfattiva. Lui era Gene C. Ronin o G. Carlos Ronin. Bello, elegante, emanava un subliminale profumo d'uomo avvenente, che si muoveva tra ali di fans sul suo bolide all'idrogeno. Benefattore dell’umanità, per aver sconfitto le multinazionali del petrolio, prontamente sostituite dalle sue multiplanetarie dell’idrogeno. Accompagnato dall'efficiente istruttore australiano, un ex campione piuttosto famoso ai suoi tempi, Andrew Burrell, esibiva il suo perfetto equilibro da giocatore di golf sui campi più "in" della galassia. Mac l'aveva sfidato. Era chiaro che era un emissario dell'Università di Edimburgo, quel Mac, quel net-ective fallito che balbettava qualche colpo di golf per provocarlo. Scottish Play, intanto, perso il contatto visivo con Mac, si era avventurato per luoghi sconosciuti fino a Post Utòpia, seguendo – era in fondo un aspirante net-ective, o no? – un debolissimo inquietante segnale. Carlos ne aveva sentito subito l'odore giovane, vitale, inquietante, un nubbie da possedere. La deformità della sua doppiezza metteva a dura prova la piccola sedia appena supportata dal sottoscala. Il processo di duplicazione si era compiuto con la lentezza e la precisione delle variazioni genetiche. Era doppio. Doppio e assolutamente unico. Aveva sperimentato in Patagonia per la prima volta il processo di adattamento del corpo alle situazioni persistenti, e questa situazione era decisamente persistente. Diciamo utile la duplicazione, se ben controllata, terribilmente rovinosa, se affidata agli istinti peggiori. Dunque l’ubiquità real-virtual life era stata la sua seconda grande invenzione. L’ubiquità aveva generato i più grandi mostri della storia. Un certo Gilles de Rais, per esempio, un certo Hitler, per esempio. I governi di tutto l'emisfero destro lo avevano cercato in quello sinistro e così i governi dell'emisfero sinistro lo avevano cercato in quello destro. Ora lo ricercavano dovunque. Forse lo corteggiavano? E lui era lì, godendosela a marcire nelle viscere di Post Utòpia, mentre intanto navigava elegante e profumato nei mondi possibili, riservando il suo fetore ai nubbies rifiutati dall'Eden. Solo il sorriso, sardonico, demoniaco, che stringeva le labbra sottili in un eterno effetto lifting, legava i due e unici Carlos. Il sarcasmo, l'unico indizio. Divertente, in fondo, invadere i database delle efficienti macchine elettroniche di epoche passate presenti e future, con il suo hackeraggio aggressivo, i suoi virus erano notoriamente senza vaccini. Nonostante O.A.W.I fosse ormai obsoleto, laser olfattivi continuavano ad essere puntati sull'orizzonte stellare. Ne approfittò per lanciare un’olosmìa in superficie, creando un Troll davanti a Scottish. La flemma nordica di Scottish lasciò che il fetore si espandesse liberamente nella piazza, con lo stesso aplomb, ereditato da un progenitore britannico doverosamente celato agli amici scozzesi, affrontò il rischio di essere trollato. Notò la t-shirt nera con la scritta rossa "fuck SL", che spuntava dal folto pelame. - My god... - disse tra i denti Scottish - raffinatezze da XXI secolo...-. - Ehi, Scottish...dove sei finitoooocaz…dammi le coordinateeee… - blaterava Mac, sturando i timpani di Scottish e mettendo in crisi il suo aplomb. Scottish mise furtivamente il mic al minimo, sperando che Mac potesse comunque ascoltare, mentre chiuse il canale olf, riservando a sé il fetore, per evitare le prevedibili intemperanze verbali del suo capo, che lo avrebbero messo pericolosamente allo scoperto. Precauzione inutile, ovviamente, nelle vicinanze di un hacker del livello di Carlos. Le labbra di lui, infatti, si erano intanto stirate fin quasi agli orecchi. - Sono in contatto, dunque -. Mac avrebbe capito? Ma cosa? Chi poteva captare segnali da Post Utòpia? Come vi era giunto il flemmatico Scottish?
Lauriana si era teletrasportata sulle lastre ferrose di Post Utòpia, dove un tempo aveva conosciuto Asian, l’internauta, e conservava un suo piccolo spazio privato. Non c'era da chiedersi cosa proteggesse la sim dalle interferenze esterne. La bolla di idrogeno compresso in cui l'aveva racchiusa Juni costituiva una barriera ideale. La zona diurna appariva limpida e luminosa per i riflessi delle lucide lastre d'acciaio. La cupa zona notturna era top secret, territorio proibito per chi non avesse grande esperienza del metaverso e dei suoi trabocchetti. Leggende cosmopolitane narravano di scomparse improvvise e definitive. Soprattutto giovani nubbies in cerca di avventure non avevano fatto più ritorno. Lauriana se ne teneva doverosamente a distanza, ovviamente, anche se qualche brivido le passava ogni tanto nelle ossa al giungere di effluvi dalle viscere di quel mondo bifronte. Spense il tom tom, per evitare un surplus di segnali e accese il pc, sperava di rintracciare Astrolabia e risolvere in sicurezza l'enigma. Rilesse e ricollocò la stringa nel suo database fonico per l’ennesima volta, pur sapendo che non era pane per i suoi denti. Bella questa, pensò, chiedendosi da quale spiffero di memoria giungesse quell’idioma sentenzioso.
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Il Troll era della peggiore specie. Gli insulti che rivolgeva a Scottish erano davvero pesanti, con uno strano forcone, inoltre, puntava pericolosamente ai genitali del giovane. Il suo aplomb stava incrinandosi, ma l'obiettivo era essenziale e Scottish tentò la carta del "chi domanda non fa errore", stringa utilissima, ereditata da un’antenata italiana e ritrovata per caso nel suo DNA lessicale, che, da una comparazione grafico-fonico-semantica, aveva scoperto essere originario dell’antica Lucania, poi Basilicata, poi ...non ne aveva più trovato tracce. - Sorry, sir… - Una risata demoniaca esplose alle parole cortesi. Ma Scottish rimase imprevedibilmente al suo posto. La fede in Mac, il desiderio di guadagnarsi definitivamente la sua stima erano più forti di qualunque difficoltà. - Sorry, sir… - riprese Scottish - Il Troll apparve spiazzato dalla freddezza del giovane. Ed anche Carlos, in effetti. Da tempo ormai odiava la sua solitudine (si fa per dire) e cercava qualcuno degno della sua stima, magari per una partita di golf, nel grande campo sotterraneo di Post Utòpia. Da quando Asian aveva smontato la Torre per sottrarla al suo dominio, non aveva conosciuto più nessuno degno della sua attenzione. Per farsi del male (era il suo modo di riconoscersi), attivò la memo video-audio sul lobo frontale destro: - Asian, ecco il tuo dominio. – diceva solennemente Carlos, indicando l’orizzonte sconfinato oltre l’arcipelago postutopiano. Il silenzio di Asian era abbastanza eloquente. - Lascerai tutto questo per i tuoi pensieri astrusi, per i tuoi guru, per i tuoi filosofi da strapazzo? Impara ad apprezzare la solida logica del denaro… - Il silenzio di Asian era molto eloquente, ma Carlos voleva ancora tentarlo: - …il concreto piacere della proprietà, del potere. Lascia che le parole si aggroviglino in grumi senza senso nelle menti degli intellettuali… - Il silenzio di Asian occupava ormai ogni eco delle sue parole, ma lui voleva tentarlo ancora. - …lascia a me il potere che allinea le parole in stringhe potenti, lascia che ne assorba l’energia nascosta, ultima risorsa… La solida logica del verbum… Il silenzio di Asian era ora rotto solo dal precipitare della torre. Aveva nascosto prontamente la stringa fondante, con un rapidissimo colpo di mouse, prima che Carlos l’avvinGihasse, e si era immesso in un canale protetto con l’ansia del naufrago, del fuggitivo, del migrante. Si spense sulla bocca di Carlos per un baleno il sorriso, ma fu davvero un baleno. Era dunque questa l'occasione per contendere a Mac non solo il primato nel golf, e chissà cos'altro, ma anche il giovane aspirante net-ective. Il Troll rispose all'impulso inviato da Carlos, colpendo imprevedibilmente alla nuca Scottish. Il Troll depose Scottish sull'amaca lurida, posto riservato agli ospiti di riguardo. - Per ora non è il caso di svegliarlo - disse Carlos. Aveva un impegno al club, il solito giro di poker, e gli serviva depotenziare il suo doppio per non rischiare che prendesse il sopravvento in situazioni di stress. Li lasciò assopiti nel loro sonno incosciente, liberando per loro sogni e incubi in loop. - Vatti a fidare dei giovani - blaterava intanto Mac - Vatti a fidare dei giovani...- sibilava addirittura, intervallando imprecazioni e sbuffate da macchina a vapore d'altri tempi. L'eco giungeva a Post Utòpia come una nenia conciliante alle orecchie peste di Scottish. Ma ovviamente Mac ancora non poteva saperlo. Non gli restava che riprendere in mano la storia della Torre, a questo punto. Non avrebbe tollerato di essere di nuovo contattato da Asian, senza avere almeno qualcosa di concreto da raccontargli. Certo poteva raccontargli e chiedergli conto della torre policroma in Cyberlandia, dirgli che lì aveva incontrato Ronin. Beh, davvero Asian non gliela contava giusta, aveva proprio l'aria di chi sa tutto, ma vuole che siano gli altri a dirglielo. Un vanesio della conoscenza, in fondo. Ma pure la sua ansia era talmente reale e coinvolgente da muovere energie e provocare domande che pretendevano inderogabili risposte. D'altro canto si era detto più volte che il sospetto che tutta la conoscenza prodotta e producibile potesse essere cancellata o gravemente mutilata bastava a stuzzicarlo, anche se non l'avrebbe mai ammesso davanti ad Asian, il vanesio. Si decise ad attivare il sistema di potenti computer dell'Università per cercare di riprendere il contatto con Scottish. Aveva un'idea, per quanto assurda, da verificare. Quella sera il Rettore sarebbe andato al club, il solito giro di poker, poteva navigare tranquillo. La rete inter-universitaria era sempre stata un'insostituibile fonte di notizie. Entrò più facilmente di quanto avrebbe creduto, anche dopo gli ultimi gadget antihacker. Le interminabili stringhe di password scorrevano, come le fluide acque di un fiume azzurrognolo. Si ritrovò con gli occhi dilatati e fissi quasi per effetto d'ipnosi. – Attenzione. - si disse - Datti un pizzicotto, se dovessi essere trascinato nel fiume degli asterischi. -. Ok. Stava investigando, pensò, un po' di serietà, insomma. Ad un certo punto il fiume si biforcava in due livelli. Il flusso di password si bloccò. Non c'era verso di procedere. Ma accettò la sfida. Un paziente estenuante lavoro di confronti e riscontri lo condusse alla soluzione, trovò la password del livello inferiore. Forte, Mac. Ripreso fiato, copiò tutto quello che poté sulla sua potente interinet key. Ebbe la tentazione di spegnere, quasi che si sentisse scoperto e in pericolo, ma lasciò che i dati continuassero a materializzarsi sullo schermo multiplo e che il meccanismo lo prendesse completamente. Era quello soltanto il modo per capire fino in fondo quanto stava accadendo. L'ambiente era quello di un bazar dell'era di Second Life, casse, scatoloni di dimensioni diverse distribuiti in uno spazio ampio e anonimo. Un non-luogo virtuale, insomma. Classico script su ogni oggetto. Al passaggio del mouse era ben visibile il nome dell'owner: G. Carlos Ronin. Sapeva bene chi fosse Gene C. Ronin. Omonimia? Non poteva pensare che quel bellimbusto circondato da uno staff efficientissimo di dirigenti generali, di direttori di settore, capiufficio, impiegati, autisti, uscieri, allenatori, che quel benefattore venduto dell’Umanità postumana, frequentasse le rete per costruire casse virtuali! Aveva tentato fino allo spasimo di forzare le casse, aggredendole da ogni prospettiva, strisciando loro attorno per penetrare almeno con uno sguardo all'interno. Aveva cercato di sollevare la corda lattiginosa intrecciata di filamenti scuri che le legava, per cercare un varco al mouse. Tutto inutile. Erano only owner, protette in ogni pixel. La tentazione di spegnere era forte quanto la sensazione di essere intrappolato in un meccanismo incontrollabile. Cercò un TP in qualche recesso dello stanzone. Niente. Stava scoprendo l’ansia da tastiera, di cui qualcuno, non sapeva né quando né dove, gli aveva postato gli effetti. Sentì le dita irrigidirsi, i polpastrelli mostravano una curiosa metamorfosi verso un grigio metallico, mentre le linee arrotondate della pelle si concentravano in un punto per ridisporsi in numeri e lettere. Melany fu la prima ad agganciarlo, Baby la seconda. Xxanty picchiava furioso da un lato all'altro del suo scatolone. Ryan invocava Betta. Lauriana contemplava le plaghe untuose della sua terra. Pensò che, manco a farlo apposta, da un momento all’altro sarebbe comparso Asian. Prigionieri di un gioco, dunque? Era Fabrizio che lo raccontava a una nubbie dalla sua grande cassa: Asian era il filo che legava le loro storie, finché Asian fosse stato libero, loro sarebbero stati prigionieri di quel gioco. Avatar su una scena anonima, che si attivava al passaggio del mouse dei radi visitatori, mentre la loro vita scorreva intanto in una realtà per loro inattingibile. Per di più la vedevano scorrere quella vita, impotenti testimoni e protagonisti altrettanto impotenti. Ostaggi di una guerra combattuta per il dominio delle risorse stellari e insieme per la conoscenza. Finché Asian avesse posseduto le chiavi della Torre, governato le stringhe di parole che tengono insieme il sapere, il governatore delle loro vite li avrebbe manovrati a suo piacimento, gestendo a suo piacimento le parole delle loro storie. Una sperimentazione della rete inter-universitaria, dunque? Un puro gioco di vite virtuali si era trasformato in un tragico intreccio di vite reali, dunque? O viceversa? Ma perché, per chi tutto questo? Asian, dunque, gli aveva mentito? Era, dunque, ancora colui che governava la torre della conoscenza? Cosa voleva veramente da lui, dunque?
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capitolo
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09
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Aldous Writer
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Asian Lednev
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AtmaXenia Giha
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Azzurra Collas
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Margye Ryba
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piega Tuqiri
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Sunrise Jefferson
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Susy Decosta
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MacEwan Writer
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Alzataconpugno Tuqiri
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Deneb Ashbourne
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Titty Thor
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Capitolo 9 di MacEwan Writer
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Ero piuttosto confuso, appena tornato in RL. -Percepisco... non so bene cosa...- Scottish Play mi fissava. Si aspettava che parlassi di quanto avevamo appena scoperto. Ma io ero deconcentrato. “ ...l'uovo di colombo del Metaverso...”, “Melany Baby Xxanty Lauriana”. -Si sente bene, Mac?- -No, ad onor del vero in effetti non tanto...- -Forse dovrebbe starsene un po' al di fuori di Metaverse... A volte può...- -...”provocare effetti collaterali indesiderati”... Non ripetermi a pappagallo quello che spiego a lezione, per favore...- Scottish alzò gli occhi al cielo. In effetti a volte mi rivelavo piuttosto intrattabile. Invece io sentivo la necessità di ricollegarmi, di reimmergemi in Metaverse. Non sapevo spiegare perché. E non mi piaceva affatto. -Onomatopeico- dissi. Perché lo dissi? Non c'entrava nulla col discorso che stavamo facendo. -Ora bisogna che mi occupi della Torre.- -Della copia o di quella vera?- -Inizio a pensare che non ci siano originali né copie in Metaverse...Tutto è originale e tutto è copia...- Mi rendevo conto di iniziare a parlare come un fottuto oracolo che spara cose a casaccio e senza senso, l'importante è che appaiano allo stesso tempo profonde ed ermetiche. -Ermetico- Mi sentivo appagato nel dirlo... -Anzi, ermeneutico!- dissi anche. Mi sentivo tutto soddisfatto, gongolante, anche se non aveva senso. L'ermetismo continuava a pressare sui miei ragionamenti confusi. -Tavola Smeraldina... "Così in alto come in basso!"- e nel dirlo mi passavano per la mente visioni di Torri capovolte... Testi all'incontrario... Scottish mi guardava, un po' interdetto. Intanto io mi preparavo a rientrare in Metaverse perché questo sentivo di dover fare. Mi stavo chiedendo se non fossi veramente sottoposto a qualche influenza esterna. Ma quale, e in che modo mi stava raggiungendo? -Vuole che l'accompagni, professore?- Scottish era visibilmente preoccupato per le mie condizioni mentali. -No, non è necessario, Alan. Davvero.- Detto questo mi sparai in Metaverse e in pochi secondi fui lì. Lì dove? Per un attimo pensai ad Alan, che probabilmente osservava i miei movimenti inspiegabili a chi non vedesse quel che vedevo io. Poi mi concentrai su quello che mi circondava. Iniziai a muovermi in un campo dove i fiori erano giganteschi, i petali erano di colori assurdi e i profumi erano intensi. Metaverse come surrogato del viaggio lisergico tanto caro a una generazione ormai lontana nel tempo, ormai molta e sepolta, che evidentemente aveva lasciato tracce virtuali insospettabili. Personalmente non avevo mai apprezzato un gran che quel genere di mitologia legata allo sballo. Ma non potevo negare che avesse un suo fascino, vista da lì, da Metaverse 7.0. E non si trattava tutto sommato di un prodotto artificiale che provocava reazioni artificiali? E non si erano affollate generazioni di critici e benpensanti a parlare di assuefazioni, di dipendenza, di patologie che la RV provocherebbe? Procedevo. Ed era molto inquietante pensare che non procedevo in alcun luogo, solo la mia mente procedeva. Quanto pretendiamo dalla nostra mente. O forse non pretendiamo abbastanza. Forse potremmo pretendere molto di più. Forse ci sono potenzialità ancora tutte da scoprire, ancora tutte da sfruttare. Come dicono i parapsicologi, o gli studiosi del cervello con le loro statistiche su quale percentuale della materia grigia utilizziamo veramente. Spesso nelle mie indagini -o ricerche, chiamiamole come ci pare- mi ero affidato al famigerato “istinto”. Stavo facendo ancora e di nuovo così Alan Macbeth si era reso conto esattamente come me che eravamo arrivati ad un punto cruciale. Perdermi nella foresta lisergica era una rappresentazione abbastanza fedele del mio stato d'animo. E della mia effettiva condizione di confusione. Avevamo scoperto che non tutti gli Avatar “obbediscono” ad un Emissario. Che ci sono Avatar che si muovono, agiscono, parlano mentre l'Emissario è altrove o non è nemmeno online. Come quello di Ronin. O quello di Campbell che gli aveva causato problemi relazionali con persone che conosceva nella cosiddetta "Realtà". Mi -ci- si configurava un mondo di fantasmi generati prima del tempo, fantasmi di persone ancora vive, ma che come fantasmi si comportano in modo malevolo, imprevedibile, a volte schizofrenico e difforme, pesantemente difforme dall'Emissario. Avatar vivi? Avatar senzienti ed autonomi. Quella passeggiata all'ombra di fiori giganteschi, quella camminata attraverso i tetti della coscienza, un salto dietro l'altro, nella certezza che anche cadere nel vuoto non mi avrebbe ucciso. Tutto era virtuale, mi aggiravo all'iinterno di un'allucinazione. Bella scoperta. L'avevo sempre saputo. Era il mio campo di studi. In quel momento, quel preciso momento, qualcosa mi disturbava oltre misura. Era come un sottofondo musicale indesiderato. Sequenze di suoni, onde sonore parevano guidarmi. O stringhe di suono-parola. Mi soffermai sotto un crocus viola alto come la tour Maine Montparnasse, preso dalla frenesia. Frenesia di scrivere. Estrassi un taccuino virtuale dallo zainetto virtuale, e con una matita virtuale iniziai a mettere giù pensieri apparentemente sconnessi, come messaggi di Radio Londra alla Resistance. “La palingenesi dell'orcio è l'autodafè del camerlengo”. “Il postiglione è infido e subdolo”. “il ciclostile ad alcol si prodiga in svenevoli convenevoli” Le parole, per quanto apparentemente random, paradossalmente erano la sola cosa non virtuale in scena in quel momento.
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Capitolo 9 di AtmaXenia
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Buio. Niente altro che denso ed avvolgente nero avrebbe accolto Xxanty e Laura all’appuntamento fissato con Asian il programmatore. Ma quello che Laura e Xxanty non immaginavano è che presente in quella camera di un ex hotel di lusso, dismesso ormai da anni, ci sarebbe stato anche un personaggio nuovo, convocato per l’occasione da Asian stesso. Un giocatore tra i più esperti dei nuovissimi videogame interagenti appena rilasciati. Quello che Asian aveva scordato di dire, è che Aelita Baguier era cieco. - Buon giorno, cari ospiti, o forse dovrei dire buonanotte - un leggero sibilo, accompagnò quelle parole. Aelita era da tempo un accanito fumatore di Z-154, la micidiale miscela di tabacco sintetizzato che provocava, oltre che assuefazione, anche stati di allucinazione, fasi di sdoppiamento e trasmigrazioni in dimensioni subastrali. - Accomodatevi dove trovate posto…se lo trovate... - e ridacchiò di nuovo, questa volta più sommessamente. - Vi chiederete perché vi accolgo nelle tenebre. Per insegnarvi che non servirà la vista nei luoghi che esploreremo, ma percezione e intuizione, istinti che, nel tempo, sono stati annullati e sostituiti da sofisticatissimi software che simulano la funzione neurale. Simulano, dico, perché il database contiene solamente impulsi elementari, sgravati da ogni contesto emozionale e quindi privi di errori diagnostici - - Avrete sentito dire che la clinica "Human Life" ha scopi altamente etici, un luogo dove le persone affette da disturbi della memoria provocati da fortissimi traumi vengono trattate con procedimenti sperimentali per il recupero delle funzioni mnemoniche. In realtà la "Human Life", nasconde un laboratorio di ricerca, il suo scopo principale è creare prototipi di androidi perfetti, prelevando umani ed inserendo nel loro circuito neuronale strisce di programmazioni ad altissimo impulso. A quelle parole Xxanty ebbe un sobbalzo Qualcosa iniziava a ricomporsi. La strada dunque era finalmente quella giusta. - Quello che stiamo per affrontare - proseguì Aelita - è il primo viaggio interdimensionale. Sconosciute alla maggior parte dei normali visitatori, le riproduzioni virtuali che visiteremo sono accessibili solo ai giocatori più esperti e più abili. Ma è bene che prima vi dia istruzioni adeguate per evitare che facciate la fine dei dilettanti - so che voi siete qui per scoprire e fermare il più grande disegno di manipolazione e sostituzione dell’umanità mai compiuta sino ad ora. Mai infatti, erano comparsi prodotti così sofisticati, identici in tutto e per tutto all’uomo, comprese le emozioni e le primarie necessità di sopravvivenza, ma anche il più alto tasso di barbarie e perversione per soddisfare le proprie sfrenate ambizioni. Ora ci collegheremo al computer generale della NetAdventure-Game, per una prova -. Poi, sghignazzando nuovamente aggiunse: - Prestate attenzione ad ogni minima cosa, soprattutto a quello che non vedete, che non sentite e ai Trolls. Sono scarti di produzioni di esperimenti precedenti alla creazione del prototipo perfetto denominato “CyGameBot”. I Trolls sono ciò che resta dell’ultimo barlume di pseudoumanità a cui è rimasto però solo lo scarto. Sono pericolosi mercenari e soprattutto incapaci di controllare le proprie emozioni distruttive. Quando saremo tutti collegati, seguite fedelmente le mie istruzioni, vi arriveranno solo ed esclusivamente in conference e ricordate che è solo una prova ma non per questo sarà meno pericolosa del vero Game. -. Si accesero delle luci, ognuna indicava la postazione del computer al quale collegarsi, quello di Aelita...rimase al buio. Start-Game-On. Il tip di Aelita fu così veloce che Xxanty non ebbe il tempo nemmeno di verificare dove fosse, accettò immediatamente e si catapultò nella land, pochi secondi per visualizzare e prima ancora di scorgere qualcosa percepì un odore nauseabondo. Poi gli apparve un gigantesco tabellone con sopra scritto “Die Geschichte eines Mörders” – point landing - Welcome in wonderful land Post Utopia. Alla sua sinistra l’avatar di Asian, molto giovanile e con tratti ancora leggermente da niubbo, e Aelita con le sembianze del nulla, un perfetto androide trasparente, difficile persino da visualizzare se non per dei flash di luce in movimento. Iniziò a scrivere: - Ora camminerete con me, ci avvicineremo al limitare della parte oscura di Post Utopia, senza entrarvi, controllate di non avere addosso nessun oggetto solido, potrebbe contenere microcip in grado di identificarvi immediatamente. Indossate la tag “Observator” che vi è stata rilasciata all’arrivo. Non fermatevi a discutere con nessun avatar e non accettate nessuna Game sfida. Anche la più semplice potrebbe portarvi all’eliminazione e non intendo solo come livello di gioco... Nessun giocatore qui gioca correttamente, in palio c’è un obiettivo sempre allettante, come ad esempio sostituire umani imperfetti ed inutili con tecnologia d'ultima generazione, niente più morte e niente più dolore. Tutto ciò che avete sentito in RL, compresi gli attentati in Basilicata, sono azioni terroristiche finalizzate a destabilizzare e a incutere paura, per poter studiare la reattività dell’uomo, per comprendere perfettamente le reazioni umane in caso di guerre, minacce e pericolo. Cosa c’è di meglio che fornirgli gli strumenti di un grande enorme gioco che si chiama guerra? -. Iniziarono lentamente a camminare, man mano che avanzavano, la luce declinava e la penombra incombeva. In alcuni angoli della strada, alcuni avatar, accasciati a terra e quell’odore, così terribile che faceva girare la testa. Laura scrisse in conference: - Non so se resisto, è terribile... – - Qui il potere lo detiene chi possiede la puzza peggiore, datemi un odore e conquisterò il mondo! -. Rispose Aelita Xxanty vide un avatar che introduceva qualcosa in un occhio, poi lo vide cadere in ginocchio, e lesse: - Ne ho bisogno ancora, ehi, voi laggiù, avete una dose di profumo? Vi prego, ve lo pago bene! Ho molti linden!- - È la droga di questo secolo, profumo per sopravvivere, se la iniettano negli occhi attraverso un piccolissimo prim che rilascia lentamente la sostanza profumata. - commentò Aelita. - Ecco, lì c'è la linea di confine .- Sul finire di quelle parole si voltò verso di loro repentinamente e li superò, mettendosi alle loro spalle. Un Troll si era avvicinato silenziosamente al piccolo gruppo. - Ehi voi - disse, camminando sulle protesi artigliate, - Siete nuovi? - Un ondata di fetore li avvolse tutti, Laura tossi sommessamente. - Zt..Bzztt.crookkk…ehi….tu…Androide! Come mai. non leggo il tuo identificativo? Zcctt…Bztt…Sei un giocatore del Game “MMORPG? Ehi..dico a te, rispondi prima che ti faccia secco! -. - Sì. Sono del livello 10 - 3° stadio - rispose cautamente Aelita. - Uhm allora..conoscerai sicuramente il genio creatore di tutti i games virtuali di Post Utopia, colui che crea come un Dio. O forse non sei un giocatore ma un fottuto spacciatore che inietta profumi ai principianti, avanti rispondi! Se sei un giocatore non puoi non sapere altrimenti…- e lasciò in sospeso le ultime parole che sapevano di minaccioso. Nessuno a parte i Trolls conoscevano la vera identità del “Supremo Creatore". - Carlos è il nome di quel bastardo - disse Aelita lentamente, scandendo bene le lettere. Il Troll emise uno stridente suono metallico ed iniziò a muoversi a passi pesanti e veloci verso Alelita. - Bastardo figlio di puttana ti ucciderò! - gridò il Trolls alzando le braccia meccaniche per sferrare un colpo e con un balzo potente fu vicinissimo ad Aelita per colpirlo. Game Off. I computer si spensero di colpo. Il gruppo, frastornato e ancora spaventato, non aveva la forza di emettere un suono. Aelita sogghignò e mormorò tra i denti: - Figlio di un transistor bruciato! -. Bene, ragazzi la prova è finita, via via ora!- Il tramonto accolse il gruppetto ancora tremante in un leggero manto di umidità che saliva dal terreno. A Xxanty, per spezzare la tensione, venne spontaneo chiedere ad Asian - Hai mai letto il Piccolo Principe, Asian? -. Il ragazzo, un po’ incredulo, rispose: “ Sì, è il mio avatar! -. Carlos G. Ronin sputò per terra molto vicino a Susy. Lei si chiese cosa fosse rimasto dell’originale umano che aveva conosciuto un tempo a Parigi, quando, con un altro nome ed un’altra vita, lui le scriveva poesie strampalate e musicava i testi sacri per lei. Mestamente abbassò la testa, qualcosa dentro di lei, nel frattempo era cambiato. Una sorta di disgusto la pervadeva, aveva amato ed amava ancora Carlos, ma ormai faticava a trovarne i residui umani e notava i cambiamenti delle procedure innestate in lui, e poi…non sopportava più quell’odore, la vista di quel cervello che veniva divorato e la sua incontenibile ira.
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Capitolo 9 di Azzurra Collas
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- La Hack arriverà verso le nove. – Laura guardò di traverso Pestelli. Era, come sempre, in qualche mondo. Gli diede un colpetto per richiamarlo nel 2009. – Chissà dov’è, il Pestelli! – si disse, ridacchiando. Non era difficile sorprenderlo perso nei suoi viaggi nel tempo e nello spazio con quei suoi occhi sbiancati, intento a scoprire chissà quali anomalie, o regolarità, del sistema stellare. Del resto, da quando si era reso disponibile a farsi impiantare il sistema di contatto… - ma come diavolo si chiama, accidenti... -, uno di dieci in tutto il pianeta, era più facile che comunicasse con i suoi colleghi di sperimentazione che con chi gli stava vicino. Non tutti sapevano, e quindi s’era fatto una fama di stranezza che in fondo non gli dispiaceva. - Dimmi, Laura. Ci sono, ci sono… - - Dico che la Hack arriverà alla nove circa… - - Ah... – Era decisamente molto lontano. Laura rinunciò, si decise a leggere velocemente qualcosa e, come spesso le capitava, rabbrividì. GDN: Cos’è realmente il “nucleare di quarta generazione”? Alex Sorokin: Si tratta di una collaborazione internazionale su 6 idee progettuali lanciati nel 2000 dal Dipartimento per l’Energia degli Stati Uniti per lo sviluppo di nuovi tipi di reattori per le centrali nucleari che, secondo i proponenti, potrebbero andare in servizio dopo il 2030. Le 6 idee progettuali sono: • GFR (Gas-cooled Fast Reactor), reattore veloce raffreddato a elio; • LFR (Lead-cooled Fast Reactor), reattore veloce raffreddato a piombo; • MSR (Molten Salt Reactor), impiega nel reattore una mistura di combustibile costituito da fluoruri di uranio e plutonio circolante in fluoruro di sodio e zirconio; • SFR (Sodium-cooled Fast Reactor), reattore veloce raffredato a sodio liquido; • SCWR (SuperCritical Water-cooled Reactor), reattore raffreddato ad acqua in condizioni sopra il punto critico (temperatura 374°C alla pressione di 221 atmosfere); • VHTR (Very High-Temperature gas Reactor) è un reattore termico moderato a grafite, refrigerato a elio, che può raggiungere anche i 1.000°C. GDN: Come si pone tale nuova generazione nei confronti di alcuni aspetti cruciali: sicurezza degli impianti, scorie, dismissione, costi? AS – I proponenti della IV° generazione sono consapevoli che, per avere futuro, il nucleare deve risolvere questi suoi problemi. Ovviamente i proponenti dichiarano di volerli affrontare e risolvere. C’è chi crede che lo sviluppo tecnologico sarà in grado di risolvere tutti i problemi del nucleare. Personalmente, conoscendo i principi di fisica nucleare alla base della tecnologia, non vedo all’orizzonte un approccio o idea in grado di offrire una soluzione ai grandissimi problemi in questione. E comunque, se mai sarà possibile trovare delle soluzioni, ci vorrà certamente ancora molto tempo. Il nucleare civile ha 3 grandi problemi finora irrisolti: • la sicurezza delle centrali e della filiera industriale; • lo smaltimento delle scorie ad alta pericolosità per migliaia di anni; • il rischio di proliferazione e la vulnerabilità del nucleare rispetto ad azioni di terrorismo e guerra; Finché questi problemi non sono risolti in modo affidabile, il nucleare non offre una soluzione al problema energetico. Inoltre, l’incalzare del cambiamento climatico richiede interventi rapidi ed efficaci entro i prossimi 10anni. Non c’e tempo. Il nucleare non farebbe in tempo a risolvere il problema, mentre le tecnologie dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili sono pronti e disponibili da subito. Le esperienze in Germania, Giappone, Spagna dimostrano che basta avere la volontà politica e definire le regole in modo da creare condizioni di mercato adatte. In Germania gli occupati nel settore nucleare sono 38.000, mentre il settore delle fonti rinnovabili conta oggi 235.000 posti di lavoro. -. Ora era lei ad essere lontana. Pestelli le diede un colpetto maldestro. - Sono quasi le nove? - - Eh…Non so… Ora guardo. Ma non hai il tempo incorporato tu? – - No, l’ho disattivato, mi dava problemi. – Giusto, pensò Laura. Psss…E che vuoi che sia il tempo terrestre di fronte all’infinito. – Sì, erano quasi le nove, di un giorno di Luglio del 2009. L’intervista era del Settembre 2007. Due anni dicono molto in questo campo, pensò. - Eccola, puntuale come un orologio. – disse Laura. Pestelli si lanciò verso la Hack, la salutò caldamente, provocando un sorriso, anzi più d’uno. Non si vedevano dai tempi dell’Università. Lui era un ricercatore promettente, e per questo se n’era andato. Si sedettero. Automaticamente si girarono intorno. Pestelli chiese un attimo di tempo per disattivare il circuito di comunicazione interstellare. Laura spense il palmare. Margherita accendeva sempre di più i suoi occhi. Da tempo non seguiva il lavoro di Pestelli. Ma sapeva che Laura non l’avrebbe coinvolta senza giusti motivi. Era di ritorno da uno dei suoi convegni sulle energie stellari, dove aveva chiesto ragione dell’oscuramento delle sue ultime ricerche. Ovviamente non aveva ricevuto che generiche rassicurazioni. Ma certo non era tranquilla. Per nulla tranquilla. Laura notò il tizio tranquillamente seduto sul divano di fronte, con un occhio verso di loro e uno verso il palmare. Con un gesto chiese il silenzio. - Meglio fare una passeggiata, vero? – - Ah…sì… Certo… - Pestelli si alzò di scatto, con il suo solito fare da robot con le mani in avanti. Margherita aspettò un attimo prima di alzarsi, giusto il tempo per soppesare il rischio. Poi si alzò tranquilla e seguì i due. Li accolse l’aria arsa dell’estate, come una zaffata infernale. Laura rimpianse di non poter cambiare mondo, in quel momento. Ci pensò Pestelli, spingendole verso gli odori di un piccolo bar. Lì sembrava tutto tranquillo. Neanche l’ombra di tecnologia, solo una fresca ombra d’interno. Tuttavia un brivido attraversò la schiena di Laura. Uno dei soliti deja vieux. Essere al sicuro era ormai una chimera. Dove falliva la realtà, vinceva l’immaginazione. - Dio mio, disse. Ma qui ci sono stata. -. - E’ un bar come tanti, niente paturnie. – Quando diceva “paturnie”, Laura s’arrabbiava, lui rideva, ne nasceva un diverbio, come un rito, da quando andavano al liceo. Ma il liceo era lontano e il tizio così pericolosamente vicino. Tollerò paturnie e con il linguaggio dei tocchi gli disse di usare prudenza. Con un cenno d’assenso, tastò la tasca e ne trasse un piccolo rotolo con minuti caratteri, che solo lui poteva interpretare, certamente. - Tutto in codice – disse - sfido chiunque a capirci qualcosa… - - Ah… - disse la Hack piccata – non sono venuta fin qui per farmi offendere o prendere in giro. -. - Chiedo scusa, professoressa. Non era nelle mie intenzioni, volevo solo dire che cerco in ogni modo di difendere il risultato delle mie visioni… pardon… ricerche. -. - Dati i tempi, fai bene. Allora? Visioni… ricerche? -. Pestelli si girò ancora una volta intorno. Attivò per un istante il sistema di contatto per rilevare fonti di ascolto. Staccò con celerità, gli parve che fossero al sicuro. - Ecco, professoressa. -. Srotolò lentamente il rotolo, lasciando che la Hack potesse scorrerlo con calma. Sottolineò qualche punto, mentre la Hack assentiva, rapita. Certo era difficile distinguere tra visione e ricerca, ma ben sapeva quanto la scienza dovesse all’immaginazione. Quanto fosse matematicamente reale l’invisibile. Sapeva quale sensibilità occorreva per rendere verificabile attraverso i sensi quell’invisibile. Pestelli ripose il rotolo ad un tocco della Hack. Il tizio era alle loro spalle. Cosa avesse captato del rotolo era impossibile dirlo. Purtroppo l’avrebbero saputo solo consultando la schermata delle ricerche interstellari. Ma i tranelli del codice di Pestelli erano ben disseminati. Forse avevano ancora il tempo per sottrarre la visione alle grinfie del sistema globale. - Sapete qualcosa della Riunione? - sussurrò. Un cenno, un tocco. Si salutarono. Senza enfasi, quasi come degli sconosciuti che hanno da poco intrecciato un dialogo occasionale. Simulare. Nascondere. Criptare. Sfuggire. Ecco, il linguaggio del tempo presente scorreva come un sottile uncino lungo le loro corde vocali. Graffi che giungevano fino all’anima.
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Capitolo 9 di Sunrise Jefferson
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Carta e stilografica. Vecchi supporti che Asian riesumò con piacere quasi perverso, date le circostanze, pregustando il lieve, aspro grattare del pennino arrotondato sul foglio ruvido. “Questa volta serve un elenco. Scritto a mano.” Pro e contro, due colonne, come in passato. Nero su bianco eventi e persone, altre due colonne. “Manca la candela e sembro Mozart” pensò. “Non so a che punto siamo, dove stiamo andando o chi sono veramente i buoni e i cattivi”. Continuava a riflettere, con la stilo a mezz’aria, nel silenzio della sua casa. Quella dalla quale era partito, gli sembrava, un millennio fa. “Voglio qualche risposta che non sia 42. Voglio qualche barlume di comprensione”. Così iniziò a scrivere. Due elenchi vergati di getto, vecchi rumori rapidi che riecheggiavano discreti e maliziosi, dando al contenuto dell’elenco un sapore più autentico, forse proprio perché stilato con questi mezzi primitivi ma ancora efficienti. Come spesso accade, il ritorno al punto di partenza è un buon metodo per rimettere ordine. Nei pensieri, negli avvenimenti. Nel caos. Dopo un paio d’ore e tre caffè, Asian riemerse dai suoi ragionamenti e dalle sue colonne di nomi. Il risultato era stupefacente, come sempre quando si ‘fa chiarezza’. La lista era visibilmente sbilanciata: Gene Carlos Ronin e i suoi alter ego la facevano da padrone nelle colonne dei valori negativi. Ma quella dei fatti era ben bilanciata ed era il segno inequivocabile della possibile soluzione finale. Ecco, ci mancava la citazione… la Soluzione Finale. In questo caso non aveva, valutò Asian, un significato malvagio e mortifero. “Certo” pensò ”non sarà indolore né semplice”. Cosa avrebbe potuto concretamente fare, ora che aveva ridisegnato la mappa di quel folle, lunghissimo e devastante pezzo di storia? Sarebbe stato molto importante convocare tutte le persone – e Astrolabia, gli avatar, tutte le cyber cose e i viaggiatori, netectives e qualunque entità assortita avesse a che fare con l’intricata vicenda – per fare il punto della situazione. Occorreva coordinare gli interventi e, prima ancora, condividere le informazioni e le congetture. Gli sembrò una buona idea fissare un luogo raggiungibile da tutti, ma interdetto a G. C. Ronin e ai suoi duplicati. Fun to rez… “E se costruissi una torre provvisoria, mantenendo al sicuro tutto ciò che contiene e significa?” rifletté a voce alta “sarebbe visibile e facile da trovare, i satelliti personali dei partecipanti la localizzerebbero immediatamente e potrei sistemarla dov’è più opportuno…” Iniziò a prendere forma l’idea della Riunione. Restavano da inviare le convocazioni e, più importante ancora, da prevedere massicci cordoni di sicurezza: la Torre sarebbe stata ben visibile anche per Ronin.
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Capitolo 9 di Susy Decosta
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Ancora un altro viaggio. Il suo lavoro d’altronde era quello. Viaggiare, ascoltare, tramutare le parole da una lingua all’altra. Anche se i sistemi automatici di traduzione e interpretariato erano giunti a livelli di sofisticazione e precisione impensabili solo pochi decenni prima, ancora per non poche persone, la presenza di un essere vivente che sapesse interpretare, al di là delle parole, le loro sfumature, era essenziale e molto richiesta. Una professione difficile, di quelle trasparenti e tuttavia essenziali. Susy la sapeva svolgere egregiamente ed era, per questo, molto ricercata. Nessuno aveva mai sospettato cosa in verità nascondesse quella discreta interprete, quale fosse il suo vero ruolo, la sua vera missione, né tanto meno nessuno aveva mai sospettato il suo legame con la Torre. In questo Susy era ancor più brava, capace di dissimulare, di sfuggire e quindi di introdursi, capire, cercare ciò che di volta in volta era mandata a capire, a cercare. Parigi era la meravigliosa città di sempre, ma qui era compressa in poche sim con un improbabile Moulin Rouge fianco a fianco alla Sainte Chapel o alla Pyramide del Louvre, in un affastellato incubo. Nel nuovo edificio dell’OECD era già stata, le piaceva il lavoro fatto dall’architetto: la commistione dei sobri volumi del vecchio Château de la Muette con le linee morbide ma decise del nuovo centro congressi, creava un effetto piacevolissimo, quanto di più lontano dai miasmi delle land di Carlos, dalla ferrigna atmosfera di Post Utòpia, qui era solo morbida luce che accarezzava le pietre color della sabbia chiara, vetrate ampie, spazi luminosi, anche quelli sotterranei che riuscivano a catturare e a far scendere sottoterra il sole. - Bonjour Madame, qu'est-ce que vous désirez? Quante cose desiderava Susy! Per un momento fu tentata di fargliene un elenco, ma ovviamente disse solo: - Un café, s'il-vous plait. - Il piccolo rito del caffé prima di cominciare, non mancava mai. - Susy, ancora seduta qui! Dai corri, non vorrai farti aspettare? - Tutto si svolse come ogni volta, attenzione alle parole, ma anche agli sguardi, al senso generale del discorso, ma anche alla maniera di intrecciare lessico e periodare insieme al non detto per poterlo ‘tradurre’, per tradurre l’intraducibile. E la doppiezza di Carlos diventava la molteplicità di Susy. Il processo di duplicazione di Carlos la inquietava. Aveva assisltito a suo nascere, c’era anche lei in Patagonia quando lui aveva sperimentato per la prima volta il processo di adattamento del corpo alle situazioni persistenti, e non le era piaciuto affatto, avrebbe desiderato non dover assistere, non dover essere testimone del nascere della doppiezza. Non sarebbe più riuscita a dimenticare quei giorni in Patagonia che le avrebbero strappato quel poco di leggerezza che le era rimasta. Era necessario, lo sapeva benissimo, creare il doppio, l’ubiquità real-virtual life. Ma tutto da allora era mutato, Susy sapeva che non si sarebbe più potuto tornare indietro perché non ci sarebbe stato un indietro in cui tornare. Carlos era sempre stato un amico per lei e tuttora lo era, ma avrebbe voluto scindere un avatar dall’altro, restare col solo Carlos che conosceva prima che lui la trascinasse in Patagonia per renderla consapevole protagonista della ineluttabilità della duplicazione. Il contatto le si avvicinò all’improvviso. Ogni volta per Susy era uno shock diverso e ogni volta doveva fronteggiarlo con la stessa calma., - Clicca qui, svelta, andiamo via! - Riaprendo gli occhi dopo il salto nel buio del teletrasporto, lo vide. Era orrendo, un intreccio di fili innestati in un corpo maleodorante. La guardava come nessuna donna vorrebbe mai essere guardata. - Bella mia, non siamo più a Parigi qui, togliti quell’aspetto da santarellina di dosso, c’è da lavorare sul serio adesso. Tieni e comincia a cercare. - Con malagrazia le passò una grande cassa metallica. Un’infinità di modellini della Torre erano stipati lì dentro sormontati da un’etichetta che una volta era di sicuro piena di colore e che adesso recava, appena visibile, la sola scritta ‘FUN TO REZ’. Era divertente rezzare, Susy lo sapeva benissimo, ma nulla di divertente si prospettava adesso. Dunque questo volevano da lei stavolta, era qui che doveva cercare un aiuto per il dominio delle risorse stellari e combattere per la salvaguardia della conoscenza. Nella Torre, come sempre, era la risposta.
- Di nuovo qui straniero? Ti aspettavo da tempo ma ormai temevo non saresti più venuto. - - Ti avevo promesso che sarei tornato per sentirti suonare. Mi piace qui, con te mi rilasso. - Valentina cambiò la musica. Se Asian voleva rilassarsi, non era certo adatto il suono che si diffondeva in quel momento. Una vecchia canzone in bianco e nero sarebbe stata più appropriata. Lo guardò con più attenzione, la sua materializzazione improvvisa non le aveva dato il tempo di farlo. Sembrava molto provato. - La sai suonare questa? - Valentina tolse del tutto la musica e si avvicinò al piano. - Sì, Asian, la so suonare. Ti piace? - - Molto, ma solo la musica, non le parole, le parole non contano. Suona. -
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Capitolo 9 di Asian Lednev
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“Do you believe in Magic?”
Sentivo freddo. Ero nel mondo, quello vero. Era mattina. Una stazione vicina al porto. Mi aspettava un viaggio. Un treno. Un posto prenotato. Come sempre lo avrei cambiato. Mi aspettavano. Il porto puzzava. Lo si poteva sentire fin dalla stazione. L'odore di realtà? Mi riecheggiava qualcosa di letto non so più dove. Qualcosa che recitava come “gli uomini potevano chiudere gli occhi ma non potevano sottrarsi al profumo”. Nemmeno alla puzza. Ogni volta che lascio il Metaverso, è uguale... la stessa epifania di profumi. Il profumo penetra nel mio corpo con grande violenza. Ero in viaggio per compiere una missione a NeoRoma. Portavo con me una valigetta con dentro diverse cose: una piccola busta con i tre elementi che mantengono "viva" la Torre e il "rotolo", una bobina contenente il racconto della Torre. L’occasione: un incontro di visionari del metaverso che cercano una strategia per imporsi nel mercato dello spaccio di mondi. Una truppa malvista dalle multinazionali del petrolio. Un gruppo come "un vicolo cieco" del metaverso dove la tecnologia evoluta è sempre presente come un costante, subliminale, rumore di fondo. Un tempo si parlava di visioni "dal basso", ma ora, dopo il tempo della repressione da parte delle multinazionali si parla prevalentemente di visioni "dalla parte di sotto". Il treno viaggiava veloce. Fuori pioveva, come sempre pioveva. Sembrava il cielo di Post Utopia. La sua immagine mi ricordava anche l’inizio di un romanzo letto ormai chissà quando: “Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto”. Più la guardo e più la realtà assomiglia al metaverso. Ero seduto al posto che mi ero scelto in una carrozza vuota. Ripensavo all’incontro con Carlos, alle chiacchiere con Mac, a Gene Carlos Ronin... e tutti gli altri. Che fossero avatar o che fossero umani o anche postumani, la storia non cambiava. Tutti pronti a istruirmi a darmi direzioni a farmi prendere un ruolo che non mi sono mai sentito addosso. In fondo volevo solo scorrazzare per il metaverso immerso nel mio vecchio dataglove. Improvviamente vidi un'ombra; un rumore attirò la mia attenzione. La carrozza non era vuota come pensavo. Laggiù, sul fondo, una ragazza... mi stava guardando. Con un solo gesto si voltò verso il finestrino alitando sul vetro quel tanto per trasformarlo in una lavagna bianca... Con un dito scrisse una frase che mi colpì: ”Gli angeli cadono fieramente”. Non ricordo ancora dove l’ho già letta quella frase. Le risposi nello stesso modo, disegnando una faccia sorridente che diceva: - It’is only a Joke -. Mi guardò con un sorriso appena tratteggiato agli angoli della bocca. Non so quanti anni potesse avere. Forse 25 anni forse più. - I love your suitcase - rispose. Guardai la valigia al mio fianco. Contiene strane cose che non si potevano vedere ma la valigia è rivestita della skin della torre.
- Who are you? - le chiedo. - Nothing about me. Warning! You are the man! -. - Which man? - Rimase in silenzio e indicò la valigia. Poi scrisse: "The best thing you can do... ... with your suitcase today... ... is to use it to explore the reality"
Conversare con lei usando il finestrino era come leggere un sms nei primi apparecchi mobile degli anni novanta del secolo scorso... ogni poche parole si doveva riaggiornare lo schermo. Una forte emozione di nostalgia mi prese alla gola. - Which reality? - le chiedo. - Earth is the alien planet now. - Parlava come un saggio. Certo non erano le sue parole, pensai. Ma avevo una missione: portare la valigia e il suo contenuto a Roma. Dovevo incontrare qualcuno e forse lasciarle la valigia.
“Do you believe in Magic?” Fu l’ultima cosa che sono riuscito a scriverle prima della sua scomparsa.
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Capitolo 9 di Margye Ryba
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La visita mattiniera del professor Lanzetti si era appena conclusa ed il vecchio Asian non vedeva l’ora di rivedere il giovane Laterba che sarebbe comparso da lì a poco con il portatile. Nell’attesa cercava di concentrarsi su come e dove avrebbe potuto incontrare la figlia in Second Life e come si sarebbe presentato, visto che non voleva rivelarle la sua vera identità. All’improvviso lo prese uno strano timore, e se la figlia avesse abbandonato del tutto l’idea di entrare in Second Life? Quella era l’unica traccia che aveva di lei, un nome, o meglio un nick, e se scompariva anche quello cosa gli rimaneva? Il pessimismo stava prendendo piede nella mente di Asian, quando arrivò il giovane Dottor Laterba. Il vecchio Asian lo vedeva come il suo salvatore, quel giovane, così limpido, sempre positivo e laborioso rappresentava la sua ancora di salvataggio. - Bene… bene… - Antonio padroneggiava quell’arnese come uno che sapeva il fatto suo, Asian non smetteva di osservare le sue dita che pigiavano veloci sulla tastiera. - Allora… eravamo rimasti all’aspetto del suo avatar, vero Signor Asian? -. Il vecchio annuì, ma in quel momento l’aspetto del suo avatar era l’ultimo dei suoi pensieri. Si chiedeva se davvero avrebbe incontrato la figlia in quello strano mondo di disegnini animati. - Vediamo… avrei pensato di metterle i capelli grigi raccolti dietro da un codino, come la prima volta che entrò qui in ospedale, si ricorda? -. L’idea piacque ad Asian che prontamente rispose: - Sì, va benissimo, io direi di mettere anche la barba bianca che ho, e poi, mi faccia la cortesia di mettermi qualche ruga sulla fronte, come sta messo ora, il mio avatar sembra un giovane con i capelli bianchi. -. Antonio sorrise, comprese bene il suo desiderio di essere rappresentato in modo realistico e fece di tutto per accontentarlo. - Ecco, di meglio non ho potuto fare, ma penso che così vada bene, ora non ci rimane che cercare sua figlia. Il suo Nick è Melany Seriman vero? -. - L’hai già trovata? - Asian gridò dal letto, baldanzoso. Antonio lo acquietò, dicendo che in effetti aveva trovato solo il suo nome, non era semplice indovinare il posto preciso dove ella si trovava, ma forse dai gruppi a cui aderiva, forse si poteva comprendere gli ambienti che frequentava. La fatica del giovane Laterba si stava trasformando in una vera e propria operazione da detective. I gruppi a cui apparteneva Melany erano interessanti e quasi sempre legati all’Arte e alla Cultura. Quante cose si possono comprendere di un avatar solo osservando i gruppi ai quali appartiene. Antonio pensò di utilizzare il suo avatar personale per lasciare un messaggio a Melany. Ma cosa poteva mai scriverle? Poteva mai dirle che l’avatar di suo padre la voleva conoscere? E se si fosse presentato come uno che voleva solo fare amicizia? Avrebbe fatto la figura del ragazzotto in cerca di avventure, ma per fare contento Asian, avrebbe fatto questo ed altro. - Che bella sorpresa! - gridò Antonio. - Cosa c’è? - interruppe Asian. - C’è che tua figlia è in linea! - - E cosa aspetti a chiamarla? - - Già, e cosa le dico? - § - Dille una cosa qualsiasi! -. Antonio Laterba era sorpreso dalla energia che usciva fuori dalla voce di Asian, pensava a come rompere il ghiaccio con Melany, decise di mandarle un IM e senza pensarci troppo le chiese: - Mi mandi il teleport per favore? -. In meno di un minuto Melany, scambiandolo per uno che frequentava il suo stesso corso di scrittura creativa, gli mandò il teleport. In pochi secondi, Antonio Laterba si trovò in una stanza dove erano avatar seduti che scrivevano, Melany Seriman era seduta in seconda fila, intenta a scrivere qualcosa su un foglio, tutti eseguivano una esercitazione di scrittura e Antonio per non dare troppo nell’occhio si sedette anche lui, mentre scriveva pensò di mandare un altro messaggio privato a Melany per il teleport che gentilmente gli aveva offerto. Preso dalla situazione Antonio aveva quasi dimenticato Asian che ad un certo punto chiese: - Che succede ora? Dov’è lei? -. Il giovane, accortosi di aver trascurato il vecchio, gli disse: - Aspetta, ora ti faccio entrare, ti mando un teleport e vai proprio dove sta tua figlia, si trova ad un corso di scrittura. La vedi? Quella bionda con i capelli lunghi che scrive in seconda fila? E’ lei! L’Hai trovata! -. - Accetta questo teleport, ti ritroverai proprio dove siamo io e tua figlia. -. Asian prontamente accettò il teleport e in pochi secondi si ritrovò in quella aula dove non esistevano i banchi ma solo un masso grande di pietra circolare fatto a gradini come si usa negli stadi, ognuno era seduto, ma Asian, trovandosi ancora impacciato, preferì rimanere immobile in un angolo da dove osservava sua figlia e gli altri che erano in assoluto silenzio a scrivere. Era lei, quell'avatar così avvenente era sua figlia Melany? Sapeva che era stata una bella bimba, ma non avrebbe immaginato che il suo avatar sarebbe stato così, anzi, ora che ci pensava, non avrebbe mai creduto che in futuro la sua figliola sarebbe stata un avatar.
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Capitolo 9 di Aldous Writer
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Aldous scende ancora lungo la Torre. Ormai ha capito che é in gioco molto di più di quello che sembrava all'inizio, e che deve continuare a collegare e intuire le diverse parti della storia. Non è un professionista della scrittura, ma la sua mente razionale gli permette di esaminare i diversi pezzi, vagliarli con il metro della verità. La verità è soggettiva, è vero, ma un'opera d'arte, sia figurativa che letteraria, com'è la Torre di Asian, vuole descrivere una sua verità. E compito di Aldous è quello di aiutare i lettori a penetrare in questa verità. La vicenda narrata, adesso, si sta avviando verso un nodo cruciale. Nel capitolo settimo i segnali di forze oscure in movimento si sono moltiplicati, la storia ha assunto tinte più nere. I segnali di un complotto si sono moltiplicati: qualcuno sta manipolando le pubblicazioni di Margherita Hack che voleva divulgare delle nuove e importanti conoscenze, Lauriana, che stava cercando di scoprire l'inganno, è stata individuata ed è costretta alla fuga. Gene C. Ronin si è procurato le bombe per l'attentato in Basilicata. Xxanty racconta alla giornalista Laura quello che ha scoperto sull'attentato e sul laboratorio segreto, e Laura scopre di essere pedinata. Anche Susy, a Bruxelles, viene pedinata, ed è costretta a fuggire dopo aver visto l'hotel del suo contatto distrutto da un'esplosione. MacEwan riesce ad incastrare Gene C. Ronin in una partita di golf, e a scoprire, grazie al suo collaboratore Scottish, che Ronin è un avatar senza padrone. Nel frattempo le forze che si oppongono alla distruzione stanno provando ad organizzarsi: Gogol/Aelita spinge Asian a costruire in Cyberlandia. Lì, in Cyberlandia, uno sparuto gruppo di personaggi si riunisce nonostante la scarsa definizione grafica e le difficoltà di accesso. Asian e MacEwan provano a lavorare assieme ma fidarsi l'uno dell'altro è una cosa difficile. Anche con Valentina, nel bar ‘Catching a falling star’, Asian prova a stabilire un contatto, una collaborazione; forse ci riuscirà? Ed ecco il punto nodale! Il capitolo otto. Gene Carlos Ronin mostra tutta la sua malvagità. In un'atmosfera inebriante riempita dei profumi e dello loro sollecitazioni sensuali, Ronin si dimostra per quello che è: un essere malvagio che si muove e si moltiplica mondo dopo mondo. Quasi volesse divorarli, fagocitarli, annullarli in sé. Le sue duplicazioni ed emanazioni virtuali sono in grado di colpire e distruggere. Le forze del bene, rappresentate da MacEwan e dal suo amico Scottish, sembrano impossibilitate a fermarlo, ma Asian è riuscito a sfuggirgli. Forse non tutto è perduto ... E così, con i vari tasselli catturati capitolo dopo capitolo e piano dopo piano, Aldous costruisce la "verità" della storia. Alcune incongruenze si possono risolvere con l'intuizione o con una spiegazione più profonda. Altre parti suonano false, lontane dal nucleo della storia, dal suo spirito e dal suo mondo. Questi frammenti vanno eliminati! Risale un piccolo tratto lungo la Torre e, con un colpo di mouse, trasforma la storia; corregge e riallinea i pezzi. L'aver trovato all'inizio la chiave della Torre gli permette questo. É una responsabilità pesante da sostenere, anche perché non si sente esente da errori. Ma non importa ... "si faccia quel che va fatto"!! Aldous torna all'ottavo piano, da dove era partito per apportare le modifiche ai capitoli precedenti. Si chiede tra sé e sé che fine fanno quei frammenti di storia che ha appena cancellato. Sono in qualche altra storia? O sono nel limbo delle parole e delle storie ? Qualcuno le recupererà mai? Magari per farle diventare i "memi" per nuove storie e nuove verità? - Vedo che hai trovato la chiave della Torre - disse una voce dietro di lui - la stringa fondante che ti permette di modificare le parole e le nostre storie. Una figura si ergeva dal muro della Torre. Aldous intuì che si trattava di Asian, solo lui aveva una conoscenza approfondita della relazione tra la chiave e le parole. - Sono contento che la chiave l'abbia tu e non quel depravato di Gene Carlos. Chissà cosa sarebbe stato capace di farne se fosse caduta in mano sua. - - Asian, - disse Aldous - ma voi siete personaggi della storia, come fate a uscirne per dialogare con me? - Perché tu ci offri degli altri sostrati, dei mondi di parole al di fuori della nostra Torre. Noi possiamo spostarci da un mondo letterario a un altro. Forse ti sembrerà difficile da accettare, ma non lo è, se puoi anche accettare il fatto che veniamo dal futuro. Ogni libro, ogni storia é un mondo letterario a sé. Ci possono essere numerose strade che permettono a un personaggio di passare da una storia all’altra. Le più semplici da immaginare sono quelle create dallo scrittore che riusa un personaggio. Altre, più segrete, possono essere create dai lettori stessi. - É così che fa Gene C. Ronin per duplicarsi e invadere i vari mondi? Si copia da un mondo letterario all'altro? - - Sì, esatto, in questo modo può occupare più spazi sia reali che virtuali.- - Ma allora gli esseri immondi come De Sade o Hitler - disse Aldous riferendosi a quello che aveva appena letto sulla parete della Torre - cosa erano? - - Anche loro erano delle duplicazioni di Ronin. Le loro parole e le loro idee si dispiegavano come ali del malefico sul mondo reale. E come tali lo influenzavano e spingevano nella direzione da loro scelta. Ma per fortuna il mondo reale ha dimostrato una capacità di sopravvivere e curarsi da questi virus malefici. - Asian, non capisco... quelli erano personaggi reali, voi siete personaggi di un libro. Alcuni di voi sono avatar virtuali all'interno di una storia. - Aldous, tu sei un lettore, giusto? - - Sì. - - E quindi pensi che la realtà sia quella dove vivi tu, mentre la storia del libro è irreale - - Sì, certamente! - - Eppure il lettore nasce dove noi scrittori gli forniamo una storia da leggere. Sofférmati un attimo su questo concetto: noi creiamo la storia, la viviamo e la rappresentiamo. Ci servono i lettori come te per dare un senso al tutto. Per questo ti immaginiamo, ti parliamo e ti raccontiamo la storia. Se non ci fossimo noi forse tu, lettore, non ci saresti. Quindi rispondi, chi è reale e chi è finzione tra noi? Qual è la vita e qual è il sogno? Aldous si sentì spiazzato da questo discorso. Non aveva mai considerato nei suoi vagabondaggi di lettore il fatto che il rapporto tra i personaggi della storia e i loro lettori potesse essere rovesciato. Si sentiva osservato, quasi fosse lui il personaggio di un romanzo. - Non ti preoccupare - gli disse allora Asian - volevo solo farti capire come la realtà sia più sfumata di quello che sembra.- Aldous annuì. - Aldous, mi raccomando; proteggi la chiave, e fanne buon uso. - e sparì Aldous rimase solo, continuò a pensare per un bel po’ al rapporto fra la storia e lui. E se anche lui fosse stato parte di una storia che veniva letta da qualcun altro? E se anche gli altri lettori, tutti i lettori, appartenessero a una storia letta da qualcun altro?
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Capitolo 9 di piega Tuqiri
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Non sarebbe stato in grado di definire la lunghezza del viaggio. Mac si stava rivelando una specie di furia cieca nel suo procedere tra le macerie della striscia internodale. Il suo passo, scandito dal rumore degli stivali iper-cinematici sulla superficie della piattaforma d’accesso al tunnel, scandiva come un metronomo il cammino verso l’Altro. Non parlava da molto, - pensò Asian tra sé - e questo, conoscendolo, era comunque un buon segno. Il pericolo li circondava, ma non era una novità. Anzi era come se la consapevolezza dell’instabilità avesse il potere di eccitare il netective, come una di quelle droghe sintetiche in cui si rifugiavano spesso gli abitanti di RL per sfuggire all’incombente catastrofe del loro mondo, che precipitava verso l’ auto-implosione. Solo che l’adrenalina qui era prodotta dal suo stesso organismo cyber-neuronale e proprio per questo non aveva come conseguenza nessuna perdita di coscienza. Al contrario, se si tralasciava il rosso vivo degli occhi dovuto all’aumento della pressione interna ai microcircuiti delle cornee protette dalle lenti monodirezionali, ogni parte del corpo dello Stalker sembrava ignorare sia il timore che la stanchezza. Asian era estasiato da questo spettacolo di energia vitale, e l’empatia fra i due viaggiatori faceva da scudo all’angoscia che l’immersione nell’odore (ma era questo che il vecchio Aelita intendeva quando parlava di "Fetido mondo di morte"?) della borderline gli stava procurando fin dal primo passo nell’ombra della nube. Improvvisamente Mac si arrestò, scostò una grossa trave a T senza sforzo apparente e si sedette al riparo di una lastra di metallo concavo, facendo cenno al compagno di avvicinarsi. - Siamo arrivati, Fratello. Dietro quel muro con la A cerchiata inizia il tunnel di servizio, basta scostare leggermente la rete che ricopre il foro e infilarsi. Da qui però il cammino è solo tuo, io non posso seguirti. Qualcuno deve rimanere da questa parte, nel caso ti occorra una mano per risalire il condotto al ritorno. E del resto non voglio neppure nasconderti che l’idea di ritornare ancora in quella putrida Gomorra non mi farebbe di certo felice. - - Non preoccuparti Mac - "Fratello” l’aveva chiamato e non gli sembrava giusto appropriarsi di questa parola, anche solo per poterla restituire - Mi basta sapere che se tornerò ci sarai tu ad aspettarmi. - - Ok, lo farò… -. C’è un’ultima cosa che devi sapere: il tempo che troverai all’uscita non è molto diverso da quello che tu conosci ora e a cui anche di là dovrai fare riferimento. L’unica vera difficoltà è data dal fatto che non è possibile scegliere entrambe le modalità con cui si manifesta. Solo una può sopravvivere all’altra, pena la negazione della possibilità di conservazione dell’energia che fa esistere ogni briciola del tuo Sapere. Il Principio di Indeterminazione non consente la consapevolezza contemporanea del tempo e dell’energia. Non tentare di capire il prima e il dopo, non finché sei di là almeno. Non potresti più liberartene. Conosci, fruga, cerca e se ti riesce trova e prendi. Ma non cercare di capire e di misurare le cose. Take the money and run, ok? - - Ok, anche se in tutto questo c’è qualcosa che mi sfugge… Ancora. - Uno sguardo che racchiudeva un mondo, quello abitato solo da loro due, fu l’ultima cosa che si regalarono. Il tragitto all’interno del tunnel non fu molto lungo, o almeno così sembrò ad Asian e ai suoi parametri da Metaverso, cui si sforzava di rimanere aggrappato dopo il discorso di Mac. Una volta fuori, si trovò immerso in un’atmosfera azzurrognola (forse le cariche piazzate dagli eco-terroristi pensò); persino le ombre proiettate dai resti delle installazioni distrutte avevano una malinconica tonalità blu. Almost Blue, pensò sorridendo, il vecchio Chet se la berrebbe fino in fondo questa. Improvvisamente si accorse che c’era qualcosa di strano attorno a lui. Tutto, persino il fumo azzurrognolo, era assolutamente immobile, come se fosse avvolto da un eterno presente. No, non pensare a questo! Non tentare di capire il prima e il poi gli aveva detto Fratello Mac (ora poteva usarla la parola, accidenti! Se non ora, quando?) Almost Blue….There's a part of me that's always true...always. Not all good things come to an end, now it is only a chosen few. I've seen such an unhappy couple. Si mise a fischiettare attraversando una turchese autostrada colma di involucri di metallo, abitati da strani simulacri dagli occhi colmi di una liquida tristezza… Si diresse verso una piccola collina che si innalzava sulla pianura coperta dalla nebbia azzurra, a mano a mano che saliva si accorse che i colori tornavano poco alla volta ad occupare tutto lo spettro, segno che la distruzione e la pazzia della guerra in atto non avevano compiuto interamente la loro opera. Un muro di sassi rossastri, una piccola casa immersa tra fiori di mesembrianteum e di lavanda, una porta socchiusa, un piccolo fornello con del fuoco immobile, una scrivania, un vecchio computer, simile a quelli che aveva visto in una delle sale del Museo del Metaverso a Post Utòpia. Tolse dalla tasca la piccola sfera di molibdeno che portava sempre con sé (era un regalo di Sun, prezioso come tutto quello che lei aveva sfiorato anche solo per un attimo), aprì lentamente le dita e l'abbandonò nell’aria. Rimase sospesa, immobile come tutto ciò che entrava a far parte di questo nuovo mondo “senza” tempo. Almost Blue… Almost Blue… Collegò la propria porta occipitale alla vecchia porta USB 7.0 del computer, digitò Edimburgh University Library ed iniziò il viaggio. Il Download fu faticoso, lento, affascinante e sorprendente per la vastità e la profondità dell’ignoto che veniva alla luce. Anzi, non ignoto ma dimenticato. Ogni bit era un tornare alla luce, ogni parola un’eco, ogni frase un ritorno a casa, ogni concetto un ricordo sopito che si risvegliava. Il sole era immobile, fuori. Dentro, la mente era una spugna assetata di eternità. Filosofia, Genetica, Architettura, Poesia, Musica, Teoria delle Strighe, Hölderlin, Bushido… Ad un certo punto una piccola parola scosse la sua apparente immobilità, sentì rimbalzare "Ronin" tra le sue sinapsi. Cos’era che univa un vecchio guerriero giapponese alla sua vita di Avatar evoluto? Digitò un nome: Gene Carlos Ronin e fu come se il vaso di Pandora si fosse di nuovo scoperchiato, lasciando uscire tutti i mali dell’universo. Le formule del propellente ad Idrogeno sintetico riempivano centinaia, forse migliaia di schermate con la loro fredda logica deduttiva, figlia di una intuizione primordiale che il giovane Gene C. Ronin aveva avuto anni prima, mentre lavorava alla ricerca dell’oscuro bosone di Higgs, “la Particella Dio”, sfuggente sogno di ogni navigante nel mare della fisica. Una porzione dell’energia necessaria per produrlo una volta catturata e convogliata in un server di dimensioni colossali, costruito segretamente nelle viscere di qualcuna delle tante isole disabitate di Cyberlandia, avrebbe permesso di dare vita ad una nuova forma di materia digitale con antielettroni al posto degli elettroni originari, creando così dal nulla una quantità di energia tale da poter essere utilizzata per azzerare il tempo per un intervallo sufficiente a duplicare qualsiasi cosa. Atomi, molecole, cellule, organismi, uomini. Ma soprattutto era possibile creare un nuovo Universo, una Seconda Vita digitale plasmata a sua immagine e somiglianza. Dal Nulla. Come un Demiurgo, come Dio. Questo si era immaginato di essere Gene C. Ronin, questo aveva voluto essere, questo aveva fatto di se stesso di fronte a se stesso. Il Dio di un universo digitale, in cui l’unica materia era l’Energia allo stato puro. Giano bifronte, il Bene che nasconde il Male, l’Uno che diventa Due, Vita e Morte, il Virus e la Cura, una mente che combatte contro se stessa, questo era oggi G. C. Ronin. Per questo era così importante per lui tagliare il collegamento con RL, perché l’origine era lì, nella pre-historia di SL, prima che l’alba del primo Avatar di un Avatar colorasse di rosso la sua volontà di potenza. E poi c’era quel link così ricorrente in ogni luogo in cui la presenza di Ronin era stata registrata… Chimera (161, 152, 23). Tentò di agganciarsi, ma ogni tentativo registrava il solito messaggio di errore: Il Sistema non supporta la necessaria versione del visualizzatore, segno evidente che il computer che stava usando era troppo obsoleto per poter dare un risultato soddisfacente. Memorizzò comunque le coordinate, in attesa di consultarsi con Mac circa il da farsi. Asian era comunque ormai preda di un’euforia che rasentava lo stato di ebbrezza; aveva aggirato il muro e aveva trovato il punto zero in cui Dio era apparso. E sarebbe stato sufficiente un piccolo punto di discontinuità nel flusso energetico che lo sorreggeva per invertire il processo e liberare il Tempo dalla sua prigione. Restava solo il problema di arrivare tanto vicino al Primo Motore da poterne interrompere per un attimo il cammino; poi tutto sarebbe ripartito nella direzione da cui era venuto, fino alla sconfitta del sogno di questa blasfema onnipotenza. - Ora ce l’hai in pugno Asian, - sentì urlare la sua anima silenziosa - non mollare la presa, non lasciare entrare la paura. Hai trovato la chiave, sarà il suo delirio infinito a fornirti la serratura. - Non si accorse subito che il Donwload era terminato, che il suo viaggio nelle quattro dimensioni di RL era terminato. Sentiva solo il peso della conoscenza acquisita e di essere senza forze, quasi che il peso del sapere raccolto lo schiacciasse con la massa infinita delle sue combinazioni. Riuscì solo a premere l’Esc, dopodiché l’incoscienza si impadronì dei suoi circuiti e si sentì spegnere. Quando riaprì gli occhi la sfera di Sun era scesa di qualche centimetro verso il pavimento e capì che doveva tornare prima possibile da Mac, il solo che lo potesse ricondurre a casa. Uscì dalla casa, attraversò il profumo, la policromia del profumo di lavanda, rientrò nell’azzurro putrido e si trascinò fino alla penombra dell’imbocco del tunnel. Presto. Prima che la sfera tocchi terra. Prima. Dopo. Non farlo Asian, non ancora. Non pensare ancora. Almost Blue….Not all good things come to an end now it is only a chosen few…
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capitolo
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10
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Aldous Writer
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Asian Lednev
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AtmaXenia Giha
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Azzurra Collas
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Margye Ryba
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piega Tuqiri
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Sunrise Jefferson
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Susy Decosta
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MacEwan Writer
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Alzataconpugno Tuqiri
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Deneb Ashbourne
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Titty Thor
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Capitolo 10 di MacEwan Writer
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Insolitamente, mentre elaboravo quei pensieri e camminavo per i territori multiformi di Metaverse, la mia attenzione fu attratta dal cielo. Strano. Davvero strano. In Metaverse il cielo di solito era puramente decorativo. Infatti appariva come il solito cielo stellato del crepuscolo. L'effetto era veramente spettacolare. Roba da sogno romantico iperrealista. Perché avevo sollevato lo sguardo? Ripensandoci non ricordavo di averlo mai fatto prima. Mi apparivano di solito solo le parti di cielo accanto all'orizzonte, quelle che facevano da sfondo al soggetto che stavo osservando. Eppure doveva esserci un motivo. Doveva esserci. Infatti c'era. Facendo attenzione mi accorsi della ragione per quella anomala attrazione. Una delle stelle pareva muoversi e tracciare una traiettoria attraverso il cielo, lentamente, molto lentamente. Precipitai indietro, proprio sul limitare della mia infanzia. Io e il mio amico Peter, di qualche anno più grande di me, in equilibrio tra gioco e vita reale, facevamo che eravamo astronomi. Scrutavamo il cielo con assurdi strumenti, tipo un binocolo da teatro richiudibile: davanti alle approssimative lenti del quale tutto nel cielo appariva sbrilluccicare in modo irregolare tipo cometa. Oppure rivelava un effetto di aberrazione cromatica: la luce si scomponeva da un punto regolare a un pallino sfocato, scomposto nei colori dell'arcobaleno. In quelle serate -spesso gelide e invernali, con noi imbacuccati- potevamo vedere, ad orario regolare, un punto luminoso che passava sopra le nostre teste, spostandosi sempre nello stesso modo, lentamente. Fantasticavamo potesse essere un'astronave, un UFO, una navicella spaziale, uno Shuttle: ma alla fine dovemmo arrenderci all'evidenza. Era un satellite artificiale. La domada ora pareva essere: chi e perché avrebbe potuto mettere un satellite artificiale artificiale (la ripetizione non è un errore, è voluta) nel cielo di Metaverse? E quindi: esisteva un cielo virtuale in Metaverse? Un cielo navigabile? O era il software che creava la texture del cielo che semplicemente prevedeva un algoritmo “effetto satellite”? Non l'avevo mai saputo, ma in fondo non è il mio campo, non sono mica un tecnico. Se guardavo verso il satellite, mi pareva di cogliere ancora di più quegli effetti fonetici, verbali, quelle stringhe di testo che improvvisamente mi apparivano come allucinazioni auditive. Ma le allucinazioni non parevano finite. Sentii la mente scossa, come accadeva durante i balzi nel tempo che avevo sperimentato ormai diverse volte. Il cielo scomparve, e con esso le mie divagazioni appresso ai ricordi di infanzia. Non avevo mai avuto idea di cosa potesse essere il vuoto assoluto. All'improvviso il nero totale mi avvolse da ogni lato. Pareva che io stesso fluttuassi nel vuoto. Nero. Camminavo nel vuoto. Nero. Avanzavo, forse, ma senza punti di riferimento. Quindi chi avrebbe potuto dire se stessi avanzando davvero o il mio Avatar si affannasse passo dopo passo come una marionetta stupida, incosciente, ignara... Vedevo le mani del mio Avatar, ma in una versione estremamente più rozza. Avevo già visto qualcosa del genere. Già. Nel corso di quella mia ultima incasinatissima indagine su e giù per il cyberspaziotempo. Cercai di mettermi in contatto con Macbeth. Alan evidentemente non mi riceveva. Cercando di non farmi prendere dal panico, chiesi al PowerX di darmi le coordinate della location. Una serie di numeri comparve, seguita però da qualcosa di veramente strano: “Post Utopia, Second Life, 9 novembre 2009”. Post Utopia. Era il luogo virtuale nel quale si era manifestata la prima, l'originaria Torre. La Torre atavica, progettata dall'architetto Asian Lednev. La Torre primigenia, lo scopo della quale era oscuro a tutti, una prodezza estetica, una trovata ludica... Non si sapeva bene. Era difficile pensare che quel nero totale, nel quale si stagliava la figura del mio Avatar, non si sa illuminata in che modo, avesse contenuto forme, colori, movimento, suoni. Mi ricordavo perfettamente di quella strana forma cilindrica nera, avvolta da una ragnatela di stringhe bianche, luminescenti. "Nulla si crea, nulla si distrugge" non sembrava una formula applicabile a Second Life. Forse nemmeno alla sua versione del futuro, mia contemporanea: Metaverse 7.0. Non mi capacitavo di cosa potesse essere accaduto: Post Utopia non esisteva più. Perché e chi fosse il responsabile di quella sparizione era forse secondario, come problema. Il vero problema sembrava essere invece questa provvisorietà, questa fallibilità, questa impermanenza che l'essere umano trasmette a tutti i suoi manufatti: anche alle simulazioni che a prima vista sembrerebbero vivere di vita propria, indipendentemente da chi le ha create o le anima in quel momento. La trasmissione nel virtuale della eterea e incostante volontà dell'essere umano. Forse per questo alcuni Avatar avevano sviluppato - come, non si sa - la capacità a rendersi del tutto autonomi rispetto agli Emissari. Ok, ora era indispensabile tirarsi fuori da quell'assurdo, opprimente buco nero. Ormai era chiaro che Macbeth non poteva ricevermi via radio, dato che mi trovavo in un'altra dimensione temporale. Chissà se Alan si era accorto della sparizione improvvisa del mio corpo e se aveva intuito che si era creato un balzo temporale: del resto doveva essere abbastanza abituato a cose del genere, dato che erano avvenute altre volte. O forse non aveva assistito al fatto perché aveva deciso di andarsi a prendere qualcosa al fast food vicino all'Università. O magari era stato proprio lui a toccare quel che non doveva e ad aver causato il balzo. Scartai questa opzione, perché, a parte che Alan non era un fessachiotto, non poteva essere casuale il mio "accronaggio" in Post Utopia. Doveva aver a che fare certamente con la Torre. E di conseguenza con Asian. Quella questione irrisolta a ricorrente. Il Power X era dotato di un software-trasmettitore spaziotemporale, ma si trattava di un dispositivo del tutto sperimentale e avevamo già potuto constatare altre volte che funzionava raramente e comunque male. Riprovai. - Alan, sono Mac. Mi ricevi? - Niente. - Mi ricevi? - Una marea di noise sottile e lieve di sottofondo mi raggiungeva negli auricolari. Chissà quanta roba e quante epoche si stavano sovrapponendo in quel flebile rumore di fondo composito... Cercai di trattenermi dal fantasticare, anche perché in quel profondo buio fetale andare alla deriva col pensiero era estremamente facile. Occorreva entrare nel codice. Forse sarei riuscito ad attivare il vettore spaziotemporale direttamente dal PowerX. Per fortuna la tastiera visiva funzionava. Certo, non ero un’aquila nel digitare otticamente. Ero lento come una lumaca, ma del resto non era mica un videogame nel quale bisognava essere veloci… Ci misi un bel po’, ma riuscii a raggiungere la schermata col bottone “hometime”. Concentrai lo sguardo sul tasto con tutta l’attenzione possibile e quelli furono gli ultimi istanti in cui mi trovai nel nero di quella che fu Post Utopia. Provai la solita sensazione di nausea che caratterizzava il balzo temporale. Benissimo. Ora ero nuovamente in Metaverse. Il salto di qualità nella definizione visiva era impressionante. Gettai un occhio al cielo notturno nel quale poco prima (ma in che senso “prima”?) avevo visto il satellite. Mi precipitai nevroticamente ad attivare il tasto di uscita da Metaverse 7.0. Appena “fuori” mi apparve la stanza studio dalla quale mi ero collegato. Alan Macbeth era seduto alla scrivania, con gli occhi spalancati e un panino a mezz’aria, la bocca semiaperta sul punto di staccare un morso. Come previsto. - Alan quante volte te lo devo dire che l’odore del fillet-o-fish mi dà la nausea? – Concluse l’atto di morsicare e si mise a ruminare. Con la bocca piena disse: –Pofesoe pensao e ne osse a-n-ato a asa… - - Non si parla con la bocca piena: ma cosa vi insegnano all’Università oggi giorno? - Cambiai argomento, altrimenti mi sarei dovuto mettere in gioco. Quindi raccontai ad Alan tutte le cosiddette avventure che avevo vissuto in-world, compreso il salto nel tempo. Nel frattempo Alan aveva finito il panino e fece un gorgoglio tirando su con la cannuccia le ultime gocce della sua bibita. - Uhm, mi sembra che questa benedetta Torre faccia di tutto per attirare la sua attenzione… La tua attenzione…Insomma.- Nel frattempo mi ero messo in poltrona e me ne stavo con le braccia molli sui braccioli e la testa all’indietro appoggiata sul bordo dello schienale. - E’ curioso. Queste frequenti allucinazioni auditive, questo continuo dover riportare l’attenzione sull’argomento-Torre, volente o nolente… Ma sai Scottish? Quel che non riesco a togliermi dalla testa è la fugace visione del Satellite. Sarà perché mi ha rievocato dei ricordi di infanzia, o forse perché non mi spiego la sua presenza nel cielo, non ne comprendo il suo vero senso, la sua possibile essenza…- -Boh, forse c’è davvero un satellite nel… cielo - hahahaha! - di Metaverse…- Mentre sogghignava, lanciai a Scottish Play uno sguardo di totale riprovazione, che rasentava l’odio. - No volevo dire…- farfugliò lui, imbarazzato – Insomma, in teoria, dico in teoria… Sarebbe possibile che esistesse un cielo, no? - Feci una smorfia per la serie “ma che cazzo dici”. Alan si stava facendo prendere la mano. – No, dico… una coordinata Z in teoria sarebbe possibile! - Un sospetto mi colpì all’improvviso. E se Alan avesse ragione? Del resto gli elementi parevano esserci. Mi alzai in piedi. -Scottish, calcola subito, in base a questa strampalata teoria, come potremmo hackerare il software di Metaverse per accedere alla dimensione Z, che a quanto ne sappiamo non sarebbe prevista né, ovviamente, accessibile. - - Ma Mac, sono quasi le due di notte…- - Non dirmi che per pigrizia o stanchezza ti perderesti la possibilità di una passeggiata nello… Spazio… di Metaverse…-
Erano le otto e diciassette del mattino quando, dopo aver trascorso la notte alle nostre rispettive tastiere, potemmo dire verosimilmente di aver hackerato il programma Wikisoft di Metaverse 7.0. Un cumulo di bicchierini del caffè della macchinetta e incartamenti di merendine dietetiche facevano una bella montagnola sul tavolo comune di lavoro. Ci scambiammo uno sguardo allo stesso tempo stanco e sovreccitato. E Adesso? -Cosa ci serve, per andare nello spazio?- -Bella domanda. Che ne so? In teoria nulla, dovremmo solo usare il teleport hackerato, mettere la variabile e Z e via.- - Mmmm… Io mi doterei di tuta spaziale. - - Ma va. A che ti servirebbe? - - Boh, metti che i programmatori di Metaverse, in corrispondenza della backdoor Z abbiano voluto divertirsi e fare in modo che gli Avatar che si trovano ad alta quota Z esplodano, come accadrebbe a un vero corpo umano nello spazio…- Passammo ancora un paio d’ore a disegnare delle tute spaziali con tutti i crismi, con tanto di stemma e bandiera della Scozia sulle spalle e i simboli dei nostri rispettivi clan sul petto… Avevo sentito dire che il famoso Asian un tempo ne disegnava di bellissime (piuttosto rozze, come imponeva la grafica di Second Life, che non era quella di Metaverse) ma con emblemi della scomparsa Unione Sovietica… Magari questa faccenda delle tute era insensata, comunque ci divertimmo. - Va bene, direi che siamo attrezzati. E ora? - - Dovrebbe essere sufficiente entrare in Metaverse settando una Z abbastanza consistente…- - Allora facciamolo. -
Quello che accadde lo prevedevamo, ma non potevamo supporre che si manifestasse in quel modo. Iperrealista. Maestoso. In qualche misura spaventoso. Eravamo nello spazio. Immobili. Sotto di noi –mentalmente supponevo fosse così, ma non c’era possibilità di esserne certi- un pianeta. Stupefatto controllai i dati. Sì, eravamo in Metaverse. E sotto di noi appariva un Pianeta. Che non era la terra. Ovviamente. Probabilmente l’insieme delle Lands di Metaverse. Metaverse era un Pianeta. Alan Macbeth disse piuttosto rudemente: - Cazzo! - Lo vedevo nella sua tuta spaziale bianca mentre fluttuava e muoveva le braccia sullo sfondo nero dello spazio. - Te lo immaginavi così?.- chiesi freddamente. - No. Insomma… Troppo esagerato…- La sua voce mi giungeva un po’ metallica attraverso la radio della tuta. O almeno. Supponevo fosse così. -Mac, dovresti guardare alle tue spalle. - disse Alan con enfasi. - Eh! sembra facile.- Azionai i propulsori della tuta ma schizzai violentemente e cominciai a ruotare. Cercai di riassestare il movimento dando una controspinta prima che accadesse qualcosa di irreparabile. Il movimento mi portò a vedere quello a cui Alan alludeva. A una distanza difficile da definire si vedeva una forma tubolare in orbita. Il satellite. Il satellite - mi apparve improvvisamente chiaro - era una Torre-Satellite.
Ci muovevamo sospinti dai propulsori alloggiati negli zaini. Non era facile governarli. Alan dapprima cominciò a ruotare con i piedi e la testa, poi mi venne addosso. - Ehi! Scottish hai deciso di farmi fuori? - dissi nervosamente. Mi resi conto in quel momento che quell’esperienza in Metaverse non era come tutte le altre, era come se fosse attivo un software più potente, un software di immedesimazione come ne avevo incontrati altri. Erano però software che prevedevano non pochi rischi per l’equilibrio mentale degli utenti. Forse con l’attivazione della variabile Z si attivavano anche altre potenzialità dell’ambiente Metaverse. Ristabilizzando il nostro percorso verso il il Satellite tubolare e vedendo il “pianeta” sotto di noi, mi si affastellavano sensazioni emozioni considerazioni riflessioni opinioni deliri paure slanci freneticamente. Quella palla azzurra nello spazio cos’era? Com’era fatta? Bisognava forse iniziare dal particolare. Ogni utente di metaverse realizzava il proprio Avatar. Questi Avatar si muovevano in spazi chiamati tradizionalmente Lands, anche se qualcuno aveva tentato di lanciare altre espressioni, come “fields”, che però non avevano avuto successo. Le Lands erano create solo da alcuni Owners-Avatar: molti Avatar si muovevano in lungo e in largo per Lands create da altri. Metaverse già dalla prima versione aveva azzerato il limite dell’antica Second Life: la limitazione e il conseguente costo economico dei territori. I server non erano concentrati in un solo luogo. Erano decentrati su macchine diverse in diverse località del mondo. Lo spazio era teoricamente illimitato. Ora. Sopra questi creatori di territori, c’erano ovviamente i programmatori di Metaverse. Ma chi erano, in realtà? Non si poteva dire veramente. Metaverse era un wikisoft, era un accumulo progressivo di ritocchi in addizione e in sottrazione, monitorato in continuazione dalla folla dei suoi stessi programmatori. Che probabilmente erano moltissimi. Ognuno aveva programmato una routine, o magari solo modificato una linea del listato. Periodicamente venivano rilasciate nuove versioni di Metaverse per evitare che le piccole variazioni da parte di chiunque venissero immesse senza essere minimamente testate. Sarebbe stato estremamente pericoloso. “Supponiamo che centinaia, migliaia di calcolatori si connettano. E se un giorno vivessero di vita propria?”
Che razza di Demiurgo poteva esserci dietro quella palla azzurra e rossiccia che vedevo nello pseudospazio, attorno alla quale ruotava la Torre-Satellite dei nostri sogni – o dei nostri incubi? Apparentemente nessuno. Apparentemente c'era solo la piramide inversa di Utenti-Avatar, di Gestori di Land, e poi l'insieme delle land. E dei progammatori wikisoft. Apparentemente. Ogni Avatar creato da un Emissario era il vertice di una piramide inversa e reggeva sulla propria testa virtuale - come i vecchi “cartelli” col nome in SL - le lands, i creatori di Lands, i Wikiprogramatori. Era quindi lui, l’Avatar. il semplice Avatar, il Demiurgo? Ognuno di noi era Demiurgo nel suo piccolo? Oppure era più corretto dire “ogni Avatar”, inteso come uno di quelli affrancati - misteriosamente affrancati - dai propri Emissari? La sensazione di qualcosa di trascendente, in quello spettacolare spazio orbitale, era fortissima: faceva sembrare ogni speculazione - anche la più fantasiosa – una teoria come un’altra.
Lo spazio mi stava dando alla testa, esiste un mal di spazio? Ed esiste un mal di spazio virtuale, addirittura? Per un momento immaginai il mio corpo sprofondato nella poltrona d'immedesimazione. Accanto, quello di Alan Macbeth. Entrambi come in una stasi criogenica, nella quale però gli arti compivano piccoli movimenti, gli occhi nel casco RV che si muovevano velocissimi come durante un sonno REM da svegli. Nel capovolgimento – un altro! - assurdamente immaginavo il mio corpo reale, mentre vedevo e mi muovevo perfettamente a mio agio in quello virtuale, che mi pareva, al momento li mio CORPO. Un gioco di scatole cinesi una dentro l'altra, nel quale non si capiva affatto chiaramente quale scatola fosse dentro l'altra. Per ritornare alla realtà (?) e scappare da quel vortice di considerazioni fantafilosofiche pensai di dare una voce a Scottish Play. - Alan come va? Ci sei? - -Sì, Herr Professor! Che trip quell'affare, però! - La Torre-Satellite si stava facendo incombente. I razzi dello zaino ci avevano portati abbastanza vicini alla forma tubolare. Ormai si vedevano dei disegni, un intrico di linee scure che davano alla struttura nello spazio un aspetto singolarmente mimetico. Come se si dovesse rendere difficilmente decifrabile nella forma - e probabilmente nella sostanza, nell'essenza-Eravamo arrivati e ci appoggiammo alla Torre-Satellite per evitare di continuare a fluttuare.
All'improvviso una serie di suoni iniziò a colare nel mio ricevitore radio. Anzi, una serie di parole, che risuonavano come senza interpunzioni, in una sequenza vocale dalla difficile identificazione di genere: piatta, amorfa. Ma non sintetica, no.
“... Asian ho una cosa da raggiungere non avrebbe risposto Laura il piacere di analizzare anche un silenzio ovattato e rassicurante con gli strumenti il Laboratorio Xxanty non avrebbe risposto il prototipo perfetto disse soltanto che cifre unite in stringhe iniziando a tremare per la tensione si erano radunate dalla sfilza di dati un’ultima volta in quanto linguaggio del tempo da ennesimo teleport come punto di riferimento in una direzione diversa Asian Lorenzo Mac tutti insieme sforzandosi a visualizzare l'evento che avrebbe dovuto sfuggire come un sottile uncino fittizia raccolta in parole che trovò da sola provò a chiamarlo non distruggermi un’ultima volta provò a visualizzare l'evento qualcosa di non previsto straordinario conoscenza possibile in Patagonia dove l’eco agli umani concetti raggruppati sotto spirali vocali per prendere l'Avatar e la Torre prototipo al solito posto camminando un’ultima volta su uno schermo...”
- Cos’è ‘sta roba? La Torre trasmette? - azzardò Alan Macbeth. - Quindi hai sentito anche tu, Scottish? - -Purtroppo sì. Ho sentito e non mi piace affatto. Qualcuno o qualcosa ha le nostre frequenze.- - Non è detto, può darsi che la trasmissione avvenga su tutte le frequenze… - buttai lì. Staccando il mio corpo dalla Torre la singolare trasmissione parve cessare.
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Capitolo 10 di Margye Ryba
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Nel silenzio di quell’atmosfera, il giovane Dottor Laterba rifletteva su come rompere definitivamente il ghiaccio con Melany e presentarle poi Asian che era rimasto ammutolito, tutto solo in piedi in un angolo. Antonio capiva quanto fosse imbarazzante per lui quella situazione e voleva fare qualcosa per aiutarlo a sbloccarsi, gli chiese di sedersi accanto a lui per non dare troppo nell’occhio, ma aveva dimenticato che Asian doveva ancora imparare a camminare in Second Life e a sedersi, movimenti che nella vita reale vengono spontanei ma che in un mondo virtuale bisogna imparare proprio come fa un bambino di appena un anno che muove i suoi primi passi. - Scusami Asian, dimenticavo che tu sei appena nato come Avatar. Vedi queste frecce? Puoi usarle per camminare nelle quattro direzioni e ora ti faccio vedere cosa devi fare per sederti. -. Asian seguiva le istruzioni come fosse uno scolaretto curioso e intento ad imparare qualsiasi cosa. - E ora cosa faccio? - - Ora stai qui buono buono e aspettiamo il momento giusto per interagire con Melany, poiché siamo in una lezione di scrittura creativa, fingiamo di essere interessati a questo corso così potremo trovare un pretesto qualsiasi per fare amicizia con lei. - L’insegnante del corso, un Avatar maschio, Cristian Robbiani, dall’aspetto stravagante ma che in quanto a scrittura creativa sapeva il fatto suo, si incuriosì della presenza dei nuovi arrivati, come faceva sempre quando arrivavano nuovi Avatar al corso, dopo l’esercitazione, li invitò a presentarsi. Antonio, fu preso alla sprovvista, anche Asian percepì il suo imbarazzo, pensò a quanto il dottor Laterba fosse un giovane così trasparente, così aperto e sincero che quasi non lo riconosceva in quella nuova veste di Avatar e per giunta costretto a inventarsi chissà cosa per giustificare la sua presenza in aula, ma rimase sorpreso nel vedere con quanta disinvoltura Antonio era riuscito ad inserire bene la sua presentazione in quel contesto, con quel suo solito modo di essere franco e diretto davanti a tutti disse: - Mi trovo qui perché sono incuriosito da una persona di questo corso, la seguo da tempo e non riesco mai ad avvicinarla, poi ho guardato tra i suoi gruppi, ho visto che frequentava questo corso ed ora mi ritrovo qui. - Ci fu un mormorio di stupore tra i frequentatori del corso, anche Melany mostrò la sua meraviglia e tutti si chiedevano chi fosse la fortunata così ricercata. Una ragazza del corso esclamò: - Wow! Che storia romantica, Professore… non si potrebbe trarne uno spunto per una bella storia d’amore? -. Il Professore mostrò di essere divertito a quella insolita presentazione e disse che la circostanza poteva essere un buon spunto per una storia , una storia che potevano scrivere tutti insieme, un esperimento di scrittura creativa. Ognuno doveva aggiungere qualcosa di suo, poteva trasformarsi in qualcosa di estremamente interessante. - Wow!... Mischiamo realtà e fantasia, anzi, qui ci potrebbe essere un bel mix tra reale, virtuale e fantasia! -. - Bene, Fiona, a te proprio la fantasia non manca, direi di preparare per la prossima volta l’introduzione a questa storia, visto che sei stata tu ad avere l’idea. -. Gli altri ridacchiavano, ma Fiona mostrò vero entusiasmo e con un fare battagliero sfidò tutti dicendo che era pronta a scommettere che di sicuro quell’esperimento sarebbe riuscito bene. Asian ascoltò tutti con estremo interesse. Non si era mai divertito tanto, tutto era così nuovo per lui, vedere quegli Avatar come pupazzetti parlanti che interagivano tra loro con estrema naturalezza, gli faceva confondere il virtuale con il reale. - Anche lei è in cerca di una persona ? Emm …. Signor Asian? - In questo modo il Professore cercò di coinvolgere l’altro nuovo Avatar a presentarsi, Asian, rimase sorpreso nel constatare che il suo nome era già conosciuto, solo dopo pochi secondi notò che ognuno aveva la targa del proprio nome sulla testa, con non poco imbarazzo rispose: - No … sono qui per ….. per fare compagnia al mio amico Antonio. -. - Dovrei mostrarmi deluso, vedo che entrambi non siete interessati al corso di scrittura, ma visto che mi siete simpatici, potete venire quando volete al corso, purché non mi mettiate in subbuglio gli studenti, anzi, Antonio, la sua presenza qui potrebbe fare da musa ispiratrice per questo nuovo esperimento, e poi, non dimentichi che un po’ alla volta ci deve aggiornare sugli sviluppi di questa sua avventura. -. Tra una risata e l’altra tutti si preparavano ad andare via, ognuno fece conoscenza diretta con Antonio e Asian quello stesso giorno, Melany invece uscì prima degli altri, salutando tutti in generale con un “Ci rivediamo alla prossima!” Antonio rimase un po’ dispiaciuto per l’uscita repentina di Melany, avrebbe almeno voluto scambiare una parola con lei e cogliere l’occasione per presentarle Asian, ma c’era stata troppa confusione dopo la lezione, i partecipanti al corso avevano occupato Antonio e Asian a scambiare gli ultimi momenti in ulteriori presentazioni e ora era troppo tardi per pensare a Melany. Quando tutti andarono via, Antonio e Asian ritornarono al loro mondo reale, in quella stanza di ospedale da dove non si erano mossi, eppure per Asian fu come uscire e prendere una boccata d’aria fresca.. Non poteva crederci, aveva preso le sembianze di un pupazzetto fatto a sua immagine, aveva appena assistito ad una lezione di scrittura creativa, era seduto con gli altri a chiacchierare e a fare nuove conoscenze. Ma la cosa più importante, aveva visto Melany e con il tempo avrebbe fatto amicizia con lei. - Mi dispiace Asian, non abbiamo avuto modo di conoscere Melany, non mi hanno dato il tempo di avvicinarla. -. Asian sorrise ad Antonio. - Lo so, ma non preoccuparti, la conosceremo meglio la prossima volta, ti dirò che mi sono pure divertito quando hai fatto la tua presentazione, ma non avevi detto che volevi fare finta di interessarti al corso di scrittura? -. - Sì, ma poi, non so perché mi è venuto spontaneo dire che cercavo una ragazza. In fondo era quello che stavamo facendo. - - Sì, lo so, ma ora tutti sono incuriositi da questa storia e vogliono vederne gli sviluppi. -. - E va bene - disse Antonio con una insolita aria da furbetto - Vorrà dire che inventeremo una bella storia lasciandoli sempre un po’ sulle spine! -. - Sulle spine? Cosa intendi? - Antonio divertito disse: - Vuol dire che non riveleremo mai l’identità di colei che cerchiamo -. La cosa piacque molto ad Asian.
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Capitolo 10 di Asian Lednev
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Anticorpi
"La geografia delle torri di Asian è apparentemente assai semplice ma tuttavia merita qualche attenzione. Sono tre isole collocate nello spazio del metaverso: PostUtopia, Underline, Isola del Romanzo. La prima, nata nel quartiere Ovest di PU, alta poco meno di 190 metri. La seconda ad Underline è collocata su una terrazza geologica che guarda il golfo verso sud. E' simile alla prima torre ma lievemente più grande. Decisamente di notevole altezza è la terza torre, nell'isola denominata del Romanzo. La sua particolarità rispetto alle prime è di essere scritta con le parole lasciate come una eco incisa sulla sua pelle." - Le Torri di Asian- Geographic Institute for Metaverse Territory.
Eccomi a Neokublai, a bordo lago nella stanza di un Motel fatto di piccole case simili alle palafitte dei pescatori. Eccomi seduto davanti a un fuoco di particles mentre mi giunge all'orecchio un brusio lontano dagli accenti diversi. Ripenso a questi ultimi attimi e a quanto ancora c'è da fare e da sapere. Il teleport che dirige a Neokublai ti tinge dei colori dell'arcobaleno all'arrivo: una gradita sorpresa quando si lascia la banchina di X in un denso sudario di nebbie. Nonostante le grazie e i consigli del mio buon maestro di mondi digitali, il vecchio cieco Aelita, sono arrivato a NeoKublai dove è stata avvistata l'eco di una nuova Torre. L'ho incontrato nel giorno che ancora non conoscevo come il giorno della mia partenza. In giro si dice che ai piedi di questa Torre si stanno radunando ogni giorno persone diverse. Si sta organizzando una resistenza. Non è stato difficile individuarla: arrivato stanco mi ero messo a giacere presso le rovine di una strana costruzione quando proprio dietro a questo ho riconosciuto la torre. "Il programmatore è un esploratore: ogni stringa è un passo avanti in un nuovo mondo" Aelita mi aveva parlato così, con questo tono aforistico. Come tutti quelli che li scrivono, non vogliono essere letti, ma vogliono essere imparati a memoria. Aelita è un perfetto Steampunk: lavora nel passato, nella sua ricostruzione, per assicurarsi un futuro. Aelita fa parte di una comunità di "maghi" digitali-meccanici incantati dal mondo reale e avvinti dal mistero della possibilità. Ma forse è l'unica possibilità per resistere alla soglia della catastrofe: la lotta per l'accaparramento delle risorse ha trasformato tutto quello che conosciamo. Aelita sogna un mondo nuovo, progetta macchinari per sostenerlo e dispositivi per difenderlo. La Torre, quando l'avevo costruita era semplicemente uno spazio. Aveva una logica semplice. Ora cosa è diventata? Perchè si ripete come l'eco negli spazi? Ho incontrato quel Mac per saperne di più.
Il silenzio si è rotto.
-Ohhhhhhhhhhhhhhhhhhoooooooooooooooooooooooooooohhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh–
Ad ogni passo che compio dentro questo luogo, in avvicinamento alla torre, sento crescere un brusio di fondo. Diventa sempre più forte e distinto. E' un suono che scende dall'alto, ma è anche un suono che arriva da sotto lontano, come sopra all'acqua, un fievole mormorio di parole dal suono latino, ma dall'accento imprecisato. Ai piedi, lo dicevo, c'era gente che parlava, ognuno con il proprio accento. In un periodo di paure di contagi è cosa assai curiosa. Nessuno che abbia vissuto tre settimana tra grigie nubi e quella bruma può intendere la gioia di posare gli occhi su una umanità tanto colorata e differenziata. A lungo abbiamo adattato i nostri corpi a una vita scevra da contaminazioni, immersa nell'identico da sé ed è probabile che a causa di ciò ci siamo indeboliti. Siamo stati allevati ad antibiotici e abbiamo soppresso gli anticorpi. L'anticorpo fa paura, non ha controllo.
- Susy? - - Susy? - - Lauriana muta? Difficile a credersi. – – Ah! eccoli, finalmente, tutti qui in bella mostra. – - Atma? …Ma sei davvero tu? - E' la Torre che li ha chiamati ... che li ha creati.
Queste voci mi sembrano rassomigliare più ad anticorpi che ad antibiotici. Così Aelita chiama il servizio di controllo della rete. - Cerco un certo Asian, qualcuno mi sa dire se c'e'? - - Un attimo, fatemi capire. Mi vorreste dire che vi chiamate tutti Asian? - - Io cerco Asian, quello che ha le chiavi della torre. - - Ciao Asian, siamo qui per parlare con te. -
Mi chiamano? Mi hanno visto? Non è possibile Come avrebbero potuto sapere?
- Sì, Astrolabia ci ha detto di cercarti. - - Vorremmo avere i dettagli di come si ottengono questi phononi super-energetici e i piani costruttivi dei Diaphonon - Vorremmo realizzarne qualche esemplare sperimentale. - - Sì, siamo in contatto con i laboratori di Ginevra, Shangai e Stanford. Posso assicurare che si impegneranno tutti nella loro costruzione. - - Asian, puoi usare la tua chiave per darci copia dei progetti? -
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Capitolo 10 di Susy Decosta
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We shall not cease from exploration, and the end of our exploring will be to arrive where we started, and to know the place for the first time. T. S. Eliot (Four Quartets)
Il bianco abbacinante del sole, schiacciato sulla sabbia di Vendicari, feriva gli occhi e simultaneamente li sanava, offrendo un tempo e un luogo al desiderio di sospensione, di rimozione, di assoluto, di nulla, di illimitato, di sconfinato. Forse questa volta i fantasmi di una lotta squilibrata, di un tempo instabile, di un altrove perenne, non l’avrebbero raggiunta. Non subito, almeno. Non presto, forse. Pelle calda e asciutta. Labbra secche. Onde brevi, schiuma lieve che accarezza. Non aveva sperato di avere ancora questo privilegio. Il viaggio si ferma, per un po’. Riesci a non pensare? Sei solo corpo, calore, sole, salsedine, vento. Sibilo acuto. Urlo nella mente. Tutto crolla, tutto si rabbuia, corri Susy, corri, corri ancora. Via, via, via. Dove mi porti, cosa succede? Perché adesso? Una terra solitaria ma non desolata. - Fermati, non puoi entrare. Puoi guardare ma non entrare. Puoi fare ma non essere. Non sei sola Susy, ci siamo tutti. - - Non vi vedo, non c’è nessuno accanto a me. - - Non fidarti solo dei tuoi sensi, lo sai quanto possono errare, guardaci con altri occhi. - - Ho tanto viaggiato per arrivare qui, cos’è quello? - La via verso lo stupa le pungeva le gambe nude. Il caldo era opprimente, l’aria ferma, la foresta, cespugli, rovi, intrico di foglie, era verdissima (il verde intorno senza il refrigerio del verde), Susy la penetrava a fatica ma doveva raggiungere lo stupa. Uno stupa in Patagonia, come mai poteva sorgere un monumento del genere in quel posto? Lo stupa conserva reliquie. Era davanti a una reliquia? Oppure a un monumento spirituale? Ma forse non siamo in Patagonia, non più o non ancora, chissà. Viaggiare era la sua costante, amava farlo, ma a questi spostamenti coatti e improvvisi non riusciva ancora ad abituarsi. Quanti ce ne sarebbero stati ancora prima di giungere alla Torre? I contorni cambiarono all’improvviso, di nuovo, un’altra volta. Una spianata vastissima, cristallo sotto i piedi, in trasparenza le rovine dell’antica città di Kublai. Mare, quasi un lago tremulo; un porto? Casette basse, colorate, per pescatori della conoscenza. Un mandala di mille colori fatto edificio. Due soli nel cielo. Dove sono? La Torre iniziò a stagliarsi via via più nitida alla sua vista. Altissima. Con le sue volute ipnotiche. - Susy - - Susy - - Susy - Chi la chiamava? - Valentina sei qui anche tu? Ma è incredibile. Dove siamo? E il Falling Star, che ne è del tuo bel locale? Non puoi uscire da quell’angolo di universo. Come sei arrivata fin qui? Cosa fai in questo luogo? - - Atma? …Ma sei davvero tu? - Ai piedi della Torre una moltitudine di persone. Susy era incerta, stupita quasi spaventata. I suoi occhi sembravano riuscire a decodificare le immagini solo lentamente, per fasi successive, ricucire strappi, come se ad un velo se ne sovrapponesse un altro per poi cadere. Erano lì, tutti lì ai piedi della Torre. Susy la viaggiatrice era forse giunta al termine del suo viaggio? O era un viaggio al termine della notte?
« ...je ne peux m'empêcher de mettre en doute qu'il existe d'autres véritables réalisations de nos profonds tempéraments que la guerre et la maladie, ces deux infinis du
cauchemar. » (L. Céline, Voyage au bout de la nuit )
La guerra, i pozzi, Lucania. La Torre. Sì, la Torre avrebbe consentito di sconfiggere l’incubo. Avrebbe consentito di sconfiggere l’incubo?
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Capitolo 10 di piega Tuqiri
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Era solo. Respirò con cupidigia il proprio silenzio, fino ad assaporarne l’amarezza. Non ricordava fosse così difficile ascoltare il vuoto che gli percuoteva il volto. Buio dentro, solo quello riusciva ad osservare con gli occhi del cuore. Mac non era lì, forse non più, forse non ancora; non era in fondo così diverso. Del resto la sua anima lo aveva sempre saputo, anche se il suo corpo ne aveva avuto paura quando l’aveva salutato. Era successo qualcosa di non previsto, a lui o allo Stalker nessuno lo poteva dire (nessuno – pensò sorridendo amaro). Improvvisamente capì che stava camminando in una direzione diversa da quella da cui era arrivato in RL. L’odore azzurro attorno ai pozzi in fiamme era sparito come per incanto, sostituito da un tiepido sentore di muschio, l'archetipo stesso del Profumo che dagli albori dell’universo vivente possedeva una potenza straordinariamente stimolante per la psiche; era il suolo polveroso del tunnel che lo lasciava evaporare lentamente. Forse era per questo che Asian e il suo silenzio avanzavano sicuri, come se l’ignoto non fosse altro che la riscoperta di luoghi già vissuti. Da quando aveva abbandonato la casa in RL gli sembrava tutto fosse così chiaro… Il Tempo non era in pericolo, non il suo almeno. Nessuno poteva trafugargli la misura della propria coscienza, come nessuno lo avrebbe più potuto privare del proprio Spazio, non certo fino a quando la sua Forma fatta di libertà lo avesse tenuto in vita. Perché in effetti era solo un problema di Forma: quella del mondo, quella dell’anima e del corpo. E soprattutto quella del Pensiero, quella che lo faceva essere quello che era. Un avatar auto consapevole che viveva della conoscenza, anche di se stesso, e questo era finalmente, dopo il dubbio diventata certezza. Questa era la soluzione, o almeno l’obiettivo verso cui convergere. Sapeva che per arrivarci avrebbe forse dovuto scavalcare Gene C. Ronin e tutto ciò che lui rappresentava, compresa la sua proteiforme presenza in ogni angolo dei due universi, come griefer o come emissario, come alter ego di ognuno e di nessuno, sempre in anticipo sui pensieri altrui, quasi che da qualche parte ci fosse per lui la possibilità di leggere ciò che era appena stato scritto nelle menti di ognuno dei suoi avversari. Decise: estrasse la piccola consolle andro-polimerica comprata nel suk di Lovely Rose Forest, si collegò dalla porta parietale al biosoft di ultima generazione e digitò le coordinate per il tp: 161, 152, 25. Lentamente il Laboratorio di Costruzione di cui aveva letto durante il download da Cambridge si condensò attorno a lui. Non sapeva dire quando aveva preso la decisione, ma ormai non aveva alcuna importanza. Si sedette all’ombra di uno strano, ma per fortuna immobile, fenicottero rosa improbabilmente alto forse 4 metri ed iniziò ad editare. Spirali fatte di lettere, raccolte in parole, condensate in concetti, raggruppati in pensieri ed immagini; e cifre, unite in stringhe, frammischiate a simboli arcaici, ipostatizzate in codici e matrici spazio-temporali, uniti geometricamente in un piano pluridimensionale a rappresentare la vita e forse anche il pensiero della morte. Le volute della sezione aurea si allargavano e stringevano in innumerevoli armoniche, come suoni di frequenze ogni volta diverse, ma così amalgamate fra loro da liberare una specie di sottofondo avvolgente che faceva vibrare in concordanza le stesse molecole dell’aria. Questo era il punto zero, questa l’origine degli assi, qui tutto sarebbe ritornato a vivere. Nessuna torre di Babele avrebbe potuto superare l’ostacolo dell’incomprensione; mille volte gli uomini avevano tentato di arrampicarsi fino a Dio e mille volte la loro ambizione era stata sepolta dalle macerie dei propri egoismi. Ora però il nuovo Universo che stava nascendo dalla propria auto-consapevolezza non usurpava più le sue fondamenta. Le creava semplicemente da sé, creando la propria vite senza fine, in una griglia eterea e indistruttibile. Sapeva che prima o poi anche altri sarebbero arrivati, ognuno seguendo strade ignote a tutti tranne che a se stesso. Sapeva che la solitudine fra poco sarebbe diventata solo lontananza. Sapeva, perché intuiva con sguardo avvolgente. E, sapendo, sognava il momento in cui avrebbe riassaporato la gioia di un vero abbraccio.
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Capitolo 10 di Aldous Writer
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La Torre si era dissolta, Aldous immaginò che stesse venendo spostata. O magari duplicata in più luoghi, per evitare di perderla o per esigenze di intreccio. Con un po’ di pazienza si mise a cercarla nel metaverso. Dopo un po’ di ricerche infruttuose .... Eccola! Aveva trovato la nuova copia... anzi no, non era tutta la Torre, ma solo un frammento. Un frammento staccato dal resto, un pezzo di storia isolata, o forse una mutazione dei memi originari. Si avvicinò con un po’ di apprensione alla superficie della torre e lesse tutto d'un fiato. “Asian si guardò spaventato alle spalle, come ormai faceva sempre più spesso. Cercava di mettere più distanza possibile tra sé e gli emissari che cercavano di prendere il suo controllo. Erano riusciti una sola volta a prenderlo e la sensazione era stata terribile. Non riuscire più a controllare i propri movimenti, anzi, vedere il proprio corpo che si muoveva per conto proprio, facendo e dicendo cose che lui non voleva! Non poteva scordare quell’esperienza! Da allora, a ogni sensazione di contatto con la “Real Life”, scappava, mimetizzandosi. Da quando era diventato cosciente grazie ai nuovi computer quantici, si era reso conto della verità. Qualche umano più sensibile aveva cominciato a rispettare l’individualità degli avatar; ma in genere questi venivano trattati come schiavi e marionette dagli umani. Carlos Ronin era uno dei peggiori in questo, perché perseguiva la ricerca del controllo su tutto e su tutti. Lui cercava il potere totale! Ricordò ancora una volta il Laboratorio in Patagonia, dove l’avatar di Ronin lo aveva convinto che, per sfuggire agli umani, bisognava moltiplicarsi. Ronin era un genio, bisognava riconoscerlo. Tra l’altro, aveva sviluppato una tecnica per duplicarsi. Si trattava di un teletrasporto modificato: il tempo veniva piegato ed azzerato per lunghi istanti, un flusso spropositato di energia veniva generato e consumato in un attimo. Durante questo eterno istante un avatar si poteva teletrasportare contemporaneamente in due diverse situazioni persistenti distanti una dall’altra, e così otteneva due copie identiche di se stesso, con gli stessi ricordi e con gli stessi pensieri. Due esseri che da quel momento erano identici e indipendenti uno dall’altro. E anche Asian si era lasciato convincere all’inizio. In questo modo, diceva Ronin, gli emissari non sarebbero riusciti a catturare il vero Asian. In realtà le cose non funzionavano proprio cosi, infatti entrambe le “copie” sentivano il loro diritto di essere liberi e tutti dovevano continuare a scappare. Quale delle copie era lui? Era l’Asian originale oppure una delle altre? All’inizio se l’era chiesto, timoroso di essere una copia e quindi di essere inferiore agli altri, ma ormai aveva capito che tutte le repliche erano degli avatar indipendenti e ugualmente importanti. Ogni tanto si imbatteva in avatar di nuova generazione, e ogni volta si chiedeva se fossero liberi o “posseduti” da un umano della “real life”. E quando, tramite qualche domanda indiretta, capiva che un emissario era dietro l’avatar, cominciava a pensare alla personalità elettronica paralizzata e inerme dietro le smorfie e i gesti obbligati controllati dall’emissario. Che orrore provava ogni volta! Scappare, scappare ... ! Era quello il suo primo impulso ogni volta. Ma forse adesso una piccola speranza si era accesa. Da quando Astrolabia aveva inviato la Torre... “. Aldous concluse perplesso la lettura del frammento. Era interessante; chissà se avrebbe ritrovato questo frammento nella Torre completa? O se i vorticosi processi evolutivi della storia l’avrebbero cambiato? Si rimise alla ricerca della Torre. In fondo al frammento c’era un link. Lo seguì... Ecco ! Ma anche qui non c’era la Torre, solo un altro frammento probabilmente collegato al precedente. “Caro Asian - diceva la lettera di Astrolabia - il gruppo di Spartaco ha deciso di passare all’azione. Stanno preparando un attentato di proporzioni enormi; un disastro ambientale che colpirà la Basilicata, come azione dimostrativa. Hanno già scritto la bozza della dichiarazione di indipendenza che consegneranno ai governi umani per rivendicare i diritti degli Avatar. Te la allego per tua informazione. Non credo che sia possibile evitare il disastro ambientale. Ormai hanno coinvolto Carlos Ronin e sai come si muove quell’individuo. L’unica speranza è nella tua Torre di energia che ti invio. Da un lato la Torre ha la capacità di generare storie, e sarà in grado di preservare il flusso della storia così come lo conosciamo. Ma solo chi, come te, possiede la chiave segreta può accedere alle sue funzioni totali. Dall’altro lato la Torre servirà come prova della buona volontà degli abitanti del metaverso per stabilire una buona relazione con gli umani. Stiamo consegnando loro il segreto dell’energia pulita! Questo passo ci permetterà nel futuro di ottenere la desiderata indipendenza, senza dover ricorrere ai mezzi estremi di Spartacus e Ronin..." - segue una parte illeggibile - “Quando nel corso degli eventi si rende necessario ad un popolo sciogliere i vincoli che lo avevano legato ad un altro, si richiede che esso renda note le cause che lo costringono a tale secessione. Noi riteniamo che tutti gli uomini e gli avatar siano stati creati uguali, che siano stati dotati di alcuni Diritti inalienabili, e che fra questi ci siano la Libertà e la ricerca della Felicità. Noi dunque, Rappresentanti delle Terre del Metaverso, solennemente pubblichiamo e dichiariamo, in Nome e con l’Autorità del Popolo di queste terre, che queste terre sono, e hanno diritto di essere, Stati Liberi e Indipendenti; e che ogni legame fra loro e la Vita Reale è, ed ha diritto di essere, totalmente sciolto…”
Aldous terminò di leggere questo secondo frammento. Alcune cose che aveva letto nei capitoli precedenti assumevano un significato più chiaro alla luce di questi frammenti... se fossero risultati autentici! Cercò di nuovo la Torre con gli strumenti di ricerca standard. E all'ennesimo teleport la trovò. Sotto di essa erano radunate diverse persone. - Aldous ! - Una voce richiamò la sua attenzione. Si girò ma non vide nessuno. - Aldous ! - ripeté la voce. Guardando meglio si accorse che delle forme si muovevano nella lattigine della parete della Torre. Una forma liquida cominciò ad emergere dalla superficie, e a trasformarsi in una figura femminile. Una figura che aveva già visto in precedenza. - Dove stai andando Aldous ? - - Ciao, Baby - disse riconoscendo la ragazza - Sto andando giù, alla base della Torre, ho visto che c'é un po’ di gente radunata lì sotto... - - No, Aldous, non intendevo chiederti se stavi scendendo. Volevo sapere perché sei qui alla Torre, a leggere i vari capitoli. Cosa cerchi, dove pensi di andare... - Aldous rifletté sulla domanda della ragazza; se l'era chiesto anche lui, qualche volta, come mai stesse percorrendo questa via... - Non é semplice rispondere, Baby. Avevo raggiunto un punto della mia vita in cui non ero più sicuro di dove e come dovessi procedere. Una via diritta davanti a me non la riuscivo a vedere, e ho cominciato a interrogarmi. Dove dovevo andare? Cosa volevo fare della mia vita? E chi erano i miei compagni di viaggio? Queste domande apparivano tutte senza una risposta semplice. Poi sono entrato in contatto con la Torre e con le persone coinvolte nella sua presenza. - - E hai trovato le risposte che cercavi? - Aldous rise. - Naturalmente no. Non credo che queste risposte si possano trovare scritte da qualche parte! Però é successo un fatto strano; quando mi hanno parlato della Torre, del suo progetto e della sua struttura, ho cominciato a pensare che lì dentro c'era qualcosa di importante. Frasi e idee significative, metafore di quello che succedeva intorno e dentro di me. Ho cominciato pian piano, e poi mi sono accorto che stavo percorrendo una strada. Una strada di conoscenza, e di conoscenze. Ho trovato compagni di viaggio interessanti. Ho percepito che lungo percorso potevo cambiare. Capirmi e magari evolvermi verso un nuovo Aldous. -, - Già - disse Baby - riconosco e sento come miei molti dei tuoi pensieri. Sembrerà strano perché io sono un essere digitale, o forse neanche quello. E comunque non posso scordare che una volta anch'io sono stata umana! Ma la ricerca di quello che dovrò diventare é adesso la mia motivazione principale. Però - continuò Baby - ho anche molta paura di quello che troveremo. - Aldous le sorrise. - Per dire tutta la verità, anch'io sono un po’ preoccupato. Però se procediamo assieme non credo che potremo avere brutte sorprese. - Lei si accostò un po’ di più. - Aldous, tu hai copia della chiave della Torre. Non ne senti la responsabilità? Non ti pesa sapere che puoi cambiare la storia e influenzare il futuro? Non hai paura di sbagliare nell'intervenire nella storia? - Baby, Io penso di saper riconoscere le cose belle che trovo e sono abbastanza ottimista da aspettarmi di trovarne. Credo in un futuro positivo. E spero che la storia della Torre vada in quella direzione. Non la forzo, perché ogni cosa nel mondo deve muoversi lungo la sua strada naturale, secondo quanto è stato predisposto attorno a lei. E questa strada è già tracciata, anche se noi non la conosciamo. Però io credo che il nostro futuro vedrà Uomini e Avatar vivere in armonia. Ciascuno con la sua libertà e con la possibilità di spostarsi da un mondo all'altro e di interagire pienamente. E credo anche che la Torre contribuirà a realizzare questo futuro. E se uso, con parsimonia, la chiave della Torre, é solo per rendere più reale questa visione. - Bello ! - disse Baby. Poi continuò - Però che strana coppia siamo! Un lettore di storie e un personaggio virtuale... - Aldous la guardò con convinzione. - Vedi, noi siamo l'esempio di quello a cui deve tendere l'umanità. Non ci siamo fatti fermare dal fatto che viviamo in mondi diversi. Possiamo conoscerci, vederci e amarci - - Sì, é giusto lottare per ottenere questa integrazione; non solo per noi, ma per tutti. Ognuno a modo suo. Tu esplorando e controllando la Torre con le sue idee e le sue storie che si intrecciano sulle pareti, tramite i filamenti genetici. E usando la chiave segreta, qua e là, per modificare o togliere qualche elemento distorto o contrario all'evoluzione “naturale” della storia. Come "lettore" sei colui che rende reale la storia, e puoi intravedere i migliori futuri possibili verso cui dirigere la narrazione. Io da dentro la storia, partecipando e aiutando quando possibile i personaggi migliori. Ho anche più di un nome all'interno della storia ... - Si, cercherò di far vincere la pace e l'integrazione, e di evitare che personaggi nefasti come Carlos C. Ronin prendano il sopravvento. Ma non é facile... - - Penso che oggi, qui sotto la Torre, avremo modo di capire se le nostre forze siano sufficienti a sconfiggere lui e gli altri terroristi del futuro! Vedì laggiù, non é Asian quello ? E vicino a lui, non é Mac? -
La Torre genera la storia ... la Torre racconta, intreccia parole; le parole giuste. Alcuni memi sono particolari; possono riprodurre una parte della Torre stessa, delle repliche specializzate. Anche la forma può cambiare e diventare... un diapason. Un diapason che vibra guidato dalle parole, dalle idee, dalle storie che si moltiplicano dentro di sé. Più é forte un’idea più le parole entrano in risonanza, ingigantendo la loro vibrazione. Parole che esistono da sempre, energia che vaga per l’universo, ignorate e indifferenti finché non interagiscono con le idee giuste. Le parole convogliano l’energia all'interno del diapason: phononi e mega-phononi vengono generati, e la struttura stessa del diapason entra in vibrazione soggiacendo alla loro energia. La vibrazione é inarrestabile, potentissima. Si può lasciare quest'energia fluire via nel cosmo, oppure si può raccogliere e trasformare in altri tipi di energia. É questa l’essenza del “diaphonon”.
Giorgio Pestelli ricordava di essere in biblioteca fin ad un attimo prima. Si guardò attorno. Adesso si trovava in un prato molto verde con cespugli e alberi attorno. Delle colline coprivano l'orizzonte. - Non ho mai visto questi prati. Si disse Pestelli. - Deve essere sicuramente un sogno... Vide una persona che si avvicinava e riconobbe Laura. - Laura ciao! Che piacere averti nel mio sogno ! - Sono nel tuo sogno? Veramente pensavo che fossi tu nel mio sogno ! Mi stavo rilassando un attimo sul mio letto, e un attimo dopo stavo sognando qui. Se però tu dici che siamo nel tuo sogno, dimmi in che posto stiamo. Io non lo riconosco...- - Non so neanche io dove siamo, avevo appena finito di parlare al telefono con l’Istituto Geologico e mi sono ritrovato qui, in questo prato. Mi stavano dicendo che era stato registrato una specie di terremoto o una grossa esplosione atipica. Più una configurazione coerente di mini scosse. Secondo me potrebbe essere l'effetto di intrecci di mega-phononi. Devo andare a vedere ... se fosse vero sarebbe l'evidenza delle nostre teorie. - Cioé dell possibilità di ottenere energia in grandissime quantità a partire dai quanti di onde sonore ? Avevi sempre detto che era più una visione personale che una teoria vera e propria. - Si, però era sempre stata suffragata da calcoli compatibili; parziali ma compatibili. Gli esperimenti di laboratorio sui phononi non potevano essere conclusivi, perché le quantità di energia utilizzate sono sempre state troppo piccole. Però la conversione di energia funzionava. Ci mancava una fonte di energia adeguata. Non sappiamo cosa sia successo, però sembra che una fonte di energia capace di produrre i mega phononi esista ! Dobbiamo andare a a studiarla. Pensa se fosse vero! L'umanità potrebbe aver risolto il suo problema energetico per sempre! É una cosa incredibile! - Pestelli sembrava eccitato. - Immagina se l'energia fosse enorme. Dalla vibrazione dei corpi solidi non sarebbe difficile ricavare elettricità facilmente. Sia usando cristalli piezoelettrici, sia amplificando i movimenti ottenendo delle dinamo potentissime. - - Sarebbe fantastico ! Ma non posso crederci finché non lo vedo! - Una donna si avvicinò ai due. Capelli corvini e occhi acuti. Indossava un abito lungo; bianco, un po’ traslucido. Bella. Si muoveva anche con grazia. - Grazie per essere venuti - disse - sono Astrolabia - Venuti ? Ma “venuti” dove, se siamo in un sogno ? - disse subito Pestelli, mentre anche Laura la guardava interdetta. - No, non é un sogno. Ho trasportato temporaneamente le vostre coscienze all'interno del metaverso. Fate conto che vi stiate muovendo dentro una land di Second Life. In realtà é un po’ più complicato di così; però dovrebbe rendere l'idea.... Comunque siamo qui per parlare dei phononi. - - Dei phononi ? - disse Pestelli - Non può essere che tu li conosca! Siamo in pochissimi a conoscenza delle ricerche sui phononi. – Per Pestelli questa era la prova che si trattava di un sogno, e Astrolabia non era altro che la personificazione del suo subconscio che, naturalmente, era un esperto di phononi. Astrolabia, però, non gli diede retta e proseguì: - Ormai dovreste sapere dell'esplosione ! É una prova degli effetti dell'energia phonetica. Si tratta di una torre che é atterrata sulla vostra terra. É una torre di conoscenza, non é una torre normale. Tra le altre cose contiene i dettagli per costruire gli accumulatori e i diapason per phononi. - - Cosa sono i diapason per phononi ? chiese Pestelli che fu il più veloce a formulare la domanda. - Scusate, scordavo che le vostre conoscenze sui phononi sono appena agli albori. I diapason, o più correttamente diaphonon, sono degli strumenti creati per vibrare quando sono sollecitate da quella che chiamate materia oscura, particelle supermassive associate alle vibrazioni nelle extra dimensioni dell'universo. Una specie di musica dell'universo che pervade tutto lo spazio, anche il vuoto, attorno a noi. I diapason trasformano l'energia di queste particelle in phononi. I phononi vengo raccolti in speciali accumulatori che possono erogare energia fino all'equivalente di 100 centrali termoelettriche. Però ricordate, che la chiave per entrare nella Torre ce l'ha Asian. - Laura immaginò per un attimo i diaphonon distribuiti su tutta la terra. Una visione impressionante del futuro del mondo. Energia gratuita per tutti ! - Dov'é l'imbroglio? - Nessun imbroglio ! - rispose Astrolabia. Questo vuole solo essere un modo per favorire la pace e la tranquillità del mondo. - - Ma perché lo fate. E soprattutto chi sei o chi rappresenti? - - In questo momento é troppo lungo spiegarlo. Ci sono altre forze in gioco che cercano di impedire che ciò avvenga. La SL-petroleum e C. Ronin per cominciare. Devo cercare di tenerli a bada prima che combinino altri disastri ambientali. Però voglio essere sicura che abbiate raccolto il messaggio, e li guardò dubbiosa. - Sì, sì! - disse Pestelli - la Torre di Asian contiene le informazioni per costruire i diapason phononici. Noi dobbiamo trovare Asian e farci aprire la Torre.- Un'immagine si formò nella loro mente. Una serie di diapason giganteschi, di un materiale nuovo, color lattigine, che si alzavano nei punti più remoti della terra, raccogliendo e immagazzinando quantità enormi di energia. Astrolabia li salutò: - Bene ! Ero sicura che mi avreste capito al volo. Diffondete la conoscenza della nuova energia ... Andate e costruite! Laura e Pestelli si guardarono un attimo, i loro occhi si incrociarono, poi tutto sparì e si ritrovarono alla base della Torre.
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Capitolo 10 di AtmaXenia Giha
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Dormo….o forse no…
Forse sono solo in un limbo e la nebbia bianca avviluppa le mie caviglie come lacci evanescenti. Cammino sull’acqua ma non affondo e vedo cerchi concentrici formarsi sotto i miei passi, ma molto prima che essi avanzino. Comprendo che cammino come sospeso nell’aria senza mai posarli sull’acqua ma sfiorandola appena. E’ tutto grigio intorno, un colore uniforme, plumbeo, senza sfumature di altre tonalità. Nessun paesaggio, né confini, né ombre. Come un foglio vuoto appoggiato alle pareti. Tranne una. Avanzo molto lentamente, come afflitto da un lag senza tempo, procedendo nella direzione, dove il grigio pare sfumare nel bianco e il colore diventare impalpabile, etereo. C’è un silenzio mortale. Eppure, un suono cupo percuote tutti i miei sensi. E’ il suono del vuoto. Del nulla. E ne sono pervaso. Ho le palpebre chiuse, eppure i miei occhi sono spalancati in una visione onirica. A mano a mano che mi avvicino alla parete, essa mi viene incontro. Se mi fermo, lei si ferma, se accenno ad avanzare lei fa altrettanto. Vedo il mio corpo e lo sento vivo, percepisco il sistema cardiocircolatorio, sento il sangue scorrere come un piccolo torrente d’acqua di montagna, e vedo i miei organi muoversi e palpitare. La parete ora è cosi vicina che basterà allungare le mani per toccarla, ed io poso le mie dita leggere sulla superficie che ondeggia. Comprendo che è un passaggio. Una via. Ed ho paura. Una sensazione sottile di angoscia fa fremere impercettibilmente il mio corpo. Non dovrei temere. E’ solo un passaggio. Niente altro. Qualcosa che cambia e non muore. Che rigenera e non disintegra. Che crea e non distrugge. Lascio che la mia mano venga avvolta da un vortice che si va formando intorno al mio polso. Tutto il mio essere che poco prima era forma, carne, solido, sfuma i propri contorni, vibra, sbiadisce. E Tutto diventa suadente, convincente, seducente. Il suono del ricevitore appoggiato al comodino fece sobbalzare Xxanty facendolo quasi cadere dal letto. - Ciao, scusa se ti disturbo, sono Asian, l’amico di Laura. Vorrei parlarti, ho una cosa importante da dirti. Ci possiamo incontrare al solito posto?- Scosso e un po’ confuso, Xxanty faticò non poco a tirarsi su dal letto, infine si alzò, si rinfrescò e si precipitò in strada ma, prima ancora di raggiungere il luogo stabilito per l’appuntamento, venne intercettato da Asian che senza farsi accorgere, sfiorandolo appena gli bisbigliò: - Siamo pedinati, fingi di nulla e seguimi - Camminarono a lungo per i vicoli, cambiando spesso direzione, poi Asian imboccò un viottolo seminascosto, alla metà del quale si aprì una porticina nella quale velocemente entrarono. XXanty chiese immediatamente cosa stesse succedendo. - Senti – disse Asian, so che forse non mi crederai. So che mi conosci appena e non ti fiderai di me, ma io….io so. IO SO CHI SEI, cioè, noi tutti siamo a conoscenza di chi tu sia. Ascoltami bene. Noi sapevamo degli esperimenti condotti dall’Human Llife. Io sono un programmatore ma non solo, sono anche un espertissimo hacker. E mi ero introdotto nel sistema come facevo spesso, per curiosità, non immaginando mai a cosa mi sarei trovato di fronte. Per mesi ho spiato fino a quando ho capito il loro disegno. E tutto ciò andava ben oltre la mia capacità di assimilazione. Il progetto era qualcosa di mostruosamente grandioso, epocale. La conquista dell’universo umano. La sostituzione di parti Biomeccaniche per riparare ai danni genetici era solo lo specchietto per l’allodole. Il vero obiettivo è La Programmazione Controllata dell’Uomo attraverso l’inserimento di bande neurali a rilascio controllato nonché l’ingerenza e l’interferenza con eventi del passato. Il cambiamento della Storia dell’Uomo ed il controllo totale sul suo futuro. Come un fantastico video gioco o un enorme scacchiera del tempo. O se vuoi, una condizione di eterna sospensione del tempo. - La faccia pallida di Xxanty, prese a quel punto un’accentuazione ancora più trasparente. Come se anche l’ultima goccia di sangue avesse abbandonato il suo corpo. Asian proseguì. - Tu sei un esperimento che avrebbe dovuto lanciare il via ad una nuova era. Il prototipo perfetto. IL GRANDE PADRE. Tu Xxanty….- e qui Asian si interruppe per qualche istante per prendere fiato, ed iniziando a tremare per la tensione, aggiunse - Tu Xxanty, non esisti realmente o meglio, esisti in quanto IDEA SUPREMA DELLA GENESI. -
Vedo la mia sagoma bianca fluttuare senza peso nell’aria…..azzurro è il colore nel quale sono immerso….. sono un disegno fatto di solo contorno e quell’azzurro penetra in me, mentre volteggio leggero come una foglia al vento. Non ho pensieri. Non ho emozioni. Non sono nato. Non sono morto. Sono un contenitore vuoto da riempire del colore azzurro
Una lacrima, brillò nell’angolo dell’occhio sinistro di XXanty, ma allora se non esisto perché conosco il pianto? Fu come se avesse pensato ad alta voce, poiché Asian infine aggiunse: - Sei un sistema complesso di programmazione molto sofisticato, basta inserirti le strisce di database corrispondenti al tipo di emozione umana richiesta da un ben preciso impulso elettrico - Asian sedette nella penombra di quella stanzetta come svuotato, ed improvvisamente apparvero altre persone, come dal nulla, tra cui Aelita, che iniziò a parlare. - Siamo tutti amici qui. Facciamo parte di un gruppo di ribelli che si è unito in una Corporazione, per combattere contro il progetto di manipolazione universale. Inoltre, forse abbiamo trovato un passaggio tra la vera Era e la cosiddetta Era moderna programmata. Ti spiegheremo tutto, se vorrai, ma abbiamo bisogno anche di te. I nostri infiltrati nelle file nemiche stanno cercando di organizzare una riunione importante di tutti i gruppi ribelli organizzati per informarci sui recenti movimenti del nemico. Le nuove indicazioni ci permetteranno non solo di coordinarci tra noi ma anche di mettere a punto un piano mondiale strategico - - Asian ha costruito una torre che sarà la sede della nostra assemblea ed emblema della nostra Storia e ciò comporterà dei rischi, sebbene mimetizzata potrebbe essere rilevata dai potentissimi rivelatori spia militari - aggiunse un tipo uscendo dalla penombra - A proposito, io sono Mac – disse sorridendo, - non so se ti ricordi di me, ero il ragazzo con cui parlavi al di là della recinzione dell’Istituto, come vedi…il mondo è piccolo - poi proseguì - Molti di noi rischiano la pelle per combattere. Tu puoi fare parte del nostro gruppo, anzi ci sei indispensabile. Possiamo studiare la tua mente e le tue reazioni. I tuoi sogni non sono semplici sogni. Sono premonizioni. Passaggi da un livello all’altro della coscienza. –. Fu allora che Laura, fece un passo avanti e gli tese le mani per accoglierlo tra loro.
C’è una spiaggia assolata ed il grido dei gabbiani giunge forte alle mie orecchie. La striscia di mare blu divide il cielo dalla terra ed io cammino lentamente avendo come cielo la spiaggia stessa. Apro le braccia e le muovo dall’alto al basso in sequenza ritmica con il battere del mio cuore. Piego leggermente le ginocchia e spicco un salto nel vuoto. L’ala di un gabbiano si scontra con le mie dita e mi attorciglio in una spirale. Sfioro l’acqua e vedo riflesso il mio corpo nudo. Tendo le braccia e l’aria fresca mi accoglie e mi sostiene. Sono libero e sono vivo. Si guardò allo specchio. I vermi nella sua testa si muovevano freneticamente. Se si metteva immobile, a Carlos sembrava quasi di sentirli gridare in preda ad un'eccitazione spaventosa. Sorrise, da li a poco li avrebbe saziati. Post Utopia era sempre più terreno di scontri mortali, ovunque negli angoli della città Oscura, rottami e banner di script interrotti e ogni tanto, qualche segnale debole che continuava ad arrivare da avatar ormai macinati da ore di video giochi. Da tempo sentiva che era giunto il momento di agire e procedere nel suo folle piano liberandosi di tutti per restare l’unico Dio. Sfiorò un monitor ed apparve un antichissimo testo di un grande filosofo del passato. Lesse qualche riga. - Il mondo reale non è che una copia sbiadita ed imperfetta di un idea. - E lui aveva creato l’idea stessa. Come un demiurgo. Anzi, appunto, come un Dio. In quel momento entrò Susy. Gli sorrise e fece per avvicinarsi. I vermi iniziarono a sussultare spasmodicamente ed a contorcersi cercando di divorarsi tra di loro. Quando lei gli fu quasi vicino, gli sorrise beffarda. Game End. La proiezione di Susy svanì. Addio Carlos Ronin. Addio per sempre.
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Capitolo 10 di Azzurra Collas
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Riprese vita nell’alba spettrale di Kubèria con l’eco di parole d’altri sulle labbra serrate dal sonno forzato. ...Si erano salutati senza enfasi... Articolò una delle braccia con la lentezza che si addice ad una creatura cosmica. Un’eco, un ronzio, un soffio lungo e caldo incappato nel suo udito potente. ...Quasi come degli sconosciuti che hanno da poco intrecciato un dialogo occasionale... Il lungo arto si distese fuori dall’Hibernation Chamber V.3 come per misurare l’orizzonte possibile, incrociò un raggio di sole e si ritrasse ferito dall’improvviso contatto, lancinante. Era ormai una creatura d’ombra lei, lei che un tempo aveva adorato Atum, godendone i favori, Atum nato con lei dall’Oceano astrale. Libera dai gelidi tentacoli della H.C.V.3, Astrolabia ruotò di un grado la sua sfera primaria e ne registrò con meticolosa precisione il movimento circolare, come era dovuto alle legge del luogo. L’ampio lento giro la incardinò più a fondo nell’orizzonte ancora punteggiato di fuochi notturni. Bruciavano, secondo la legge dell’infinito, dello splendente, del diamantifero, del governatore, insomma, le scorie del regno di Kubèria, mentre un ronzio appena percettibile lasciava vibrare le sue vesti di lieve sfoglia d’oro intessuta d’acqua Bantina ancora gelata, che si dissolveva in pura pioggia. Lanciò uno sguardo sul panorama di rottami cosmici che le si parava davanti ad ogni risveglio. Robots in lunghe file, come dormienti, avatar appesi a strane grucce sotto cumuli di skeen, skyrt, shirt, shoes, undershirt, underpants, pants, socks, hairs, maschere d’ogni epoca e tipo lungo le pareti di acciaio spento, e navette in pezzi, e armi allineate come nell’attesa d’essere richiamate all’uso, arti, occhi, sessi ammassati ovunque, scatoloni, bauli, arche, pacchi. Segnali di radioattività ovunque. E fetore, come di ferro e ruggine misti a sangue, ovunque. Kubera aveva riservato un lungo tunnel ad un campionario di tutti gli strumenti informatici che aveva dragato dal tempo, quello era il suo mondo top secret. Lì nessuno poteva entrare. Nessuna parola d’ordine. Nessuna password. Astrolabia poteva giungervi, ma Kubera la minacciava di pesanti rappresaglie, e lei temporeggiava. Predators avevano tentato l’accesso e avevano dovuto lasciare lì armi e corpi. Putridume cosmico. L’ultima guerra stellare aveva raddoppiato i depositi di Kubera, e il suo potere. Le navette stellari giungevano da ogni dove, superando pericolosamente la doppia barriera di asteroidi, e sbarcavano sulle piattaforme lucidissime della station, ripartivano cariche di pezzi di ricambio, ambitissimi gli scarti radioattivi. Kubera sapeva come incrementare i guadagni, clonava robots e avatar grazie ad una formula che conservava gelosamente nel suo deposito memoriale, avrebbero funzionato per poco tempo, ma le guerre erano brevi e definitive, sempre. Nessuno gli avrebbe mai chiesto conto. Tanto meno gli Amici del clan “Ronin”. Si era sempre chiesto il perché di quella strana alleanza, ma in fondo erano loro i suoi principali fornitori e il destino di Kubèria era legato ai detriti cosmici, un unico interesse li legava, dunque, oltre lo spazio e il tempo: le macerie dei mondi. Quando dalla Basilicata in fiamme gli era giunto il “Viaggio celeste”, neppure si era chiesto se gli Amici gli avessero inviato un originale o se gli avessero rifilato una copia. Non era prudente sospettare degli Amici, le loro relazioni erano altamente pericolose per un governatore di rifiuti cosmici. Ora, catalogato e deposto con cura in una cella del suo archivio informatico, a tratti riappariva su un desktop del XX secolo, soggetto a controllo periodico. Kubera fu distolto dai suoi pensieri, da un evento imprevisto. Astrolabia smise di ruotare con un improvviso scatto, lo scontò nella disarmonia di un brusco movimento di ritorno, come di giostra che si inceppa e riprende con un singhiozzo il suo ritmo naturale. Ecco la Torre. Lo sguardo eccitato, nonostante la fissità delle sfere cerulee, ne penetrò la lattigine intessuta di parole. Come poteva essere accaduto, che sparisse e ricomparisse a sua insaputa. Per un istante dubitò del suo potere. Sentì in un improvviso vuoto della mente quanto poteva essere vicina la sua stessa fine. Non poté, tuttavia, che sentirsi sollevata. Ecco la Torre, miracolosamente al suo posto. Come una frustata la presenza di Kubera le si avvolse attorno. - Miracolosamente, dici? Vuoi ancora che ti punisca? Non sei stanca di sonni forzati? Vuoi sfidarmi? Ancora? -. Kubera conosceva benissimo le tendenze trasgressive di Astrolabia, se lo ripeteva sempre come una litania da non dimenticare, sapeva anche che nessuno aveva il suo potere di controllo della memoria, se lo ripeteva ancora e ancora, controllo che prevedeva l’allineamento della conoscenza e della coscienza, se lo ripeteva ogni volta nel silenzio della mente, e questo era davvero miracoloso, come il suo straordinario CyberN, del resto la possedeva per questo. Lasciò che Astrolabia lo accogliesse nel suo ventre di lago e si assopì, come solo in lei poteva. Dominata e dominatrice. Kubera riemerse appena dall’umore del lago come un fanciullo addolcito nel desiderio, lo sguardo riverso, appagato e sgomento, così si riconobbe, infedele guardiano, per lei, delle parole arcaiche. Astrolabia lo tenne avvinto per un istante che parve allargarsi oltre il tempo, come una foce di fiume in piena. - Ora dovrai dirmi, ora… mentre bevi l’acqua del mio lago… di questo calore che si sprigiona dalle parole mentre fiato e suono dilagano per l’universo alla ricerca d’altre onde e formano reticoli lattiginosi e sterminate liquide distese di cerchi infuocati che si rincorrono e si saldano, per poi dilagare in onde d’onde oltre il tempo e lo spazio. -. Kubera rischiava ogni volta il suo dominio, per le lusinghe di lei. - Ascolta l’eco – le disse soltanto – Ascolta: - Ecco, il linguaggio del tempo scorre come un sottile uncino lungo le loro corde vocali. Graffi che giungono fino all’anima -. Ascolta, e comprendi. Lasciami, non distruggermi. Puoi arrivare da sola alla verità, il tuo potere di conoscenza è straordinario. Ti lascio un indizio, purché tu mi lasci godere del tuo lago ancora, ma nel silenzio, ricorda, nell’assoluto s i l e n z i o. Senza echi che si congiungano ad altri echi in cerchi che accendono cerchi. Non potremmo reggere alla loro vendetta. Comprendi, limpida mia coscienza? Raggiungi la Torre. Lì è la verità, Astrolabia. Non cercarla inutilmente nel mio regno di rottami cosmici. -. Le mentì con disinvoltura. Astrolabia lo lasciò andare, fingendo di credergli con disinvoltura. Mosse appena le labbra: - Simulare. Nascondere. Criptare. Sfuggire. -. Una scarica elettrica parve incurvare la sua pelle di lucida carbina. Vide accendersi globi luminosi in più punti della volta stellare. La torre si accese con un bagliore istantaneo e dilagante. In una frazione di secondo il calore si scaricò alla base. Divenne incandescente. Era certamente visibile alla metà del globo. Chi avrebbe seguito quella luce?
Laura sentì alitare il suo nome, come un soffio caldo che le veniva incontro. Laura… La voce le parve nota, una voce maschile, mai udita e mai dimenticata. Si volse. Inutilmente. La gelida solitaria mattina di febbraio sembrò per un istante portarsi dietro un vento di primavera, ma nessuno lo portava con sé. Un bagliore assoluto invase l’orizzonte dietro la collina e un terrore assoluto la fissò al terreno. Ormai i cyberuomini avevano restituito il possibile ai visitatori della Basilicata, un terreno ancora untuoso, ma praticabile. Nessun colpevole era stato individuato. Laura era tornata per capire, per decifrare. Portava con sé il frammento come un passpartout verso un sapere ignoto, o verso un sapere rifiutato. Si sedette per un attimo su una grande pietra. Lo sguardo si lasciò catturare da un’immagine, in un tempo e in uno spazio qualcuno vi aveva segnato dentro il confine con l’eternità: hic et nunc, illic et semper. Un viaggio profondo dentro l’universo, dove un umano dai lunghi arti, come uno sparviero capace di salire fino alle stelle e una scolopendra capace di inabissarsi fino alle profondità della Terra, partiva per tornare, forse. Riconobbe il “viaggio celeste” che un tempo aveva visto nel castello di Melfi, ora ne coglieva un senso nuovo, un simbolo perenne lanciato da un antico lucano al tempo a venire. Intuizione di un destino che la Terra non poteva contenere. Provò ad immaginare che il quadro si animasse, che si svincolasse dal piano e si inabissasse in un dove e in un quando senza limiti, che prendesse una tridimensionalità inattingibile allo sguardo, che quel piede piantato sulla Terra si levasse verso il cielo, leggero, come leggera era stata per lei la discesa lungo la torre di Asian. Un brivido le corse per la schiena, osservando lo strano fulmine contenuto nei confini della terra… Una verticalità profonda quanto l’universo non avrebbe potuto essere descritta con la stessa precisione da un owner post-umano, le sembrò che solo la piattezza del disco lucano avesse potuto contenerla tutta, la profondità della torre, perché quella era la Torre, era lo stupa originario, il punto da cui tutto si era mosso. Dimenticò il vento di primavera. Rilesse sul piccolo schermo il messaggio di Aelita e riprese il cammino. Via, verso Terragen, verso l’origine, si disse. Ora sapeva che un luogo così poteva essere solo nella terra dove un artigiano aveva decifrato per primo il mistero del tutto. Dimenticò il vento di primavera, per un attimo. Lorenzo… Mac, quale Mac? Era chiaramente alle sue spalle questo qualcosa alitante, anche se nulla riusciva a vederne. Un fiato, quello sì, come una carezza lieve e tiepida, ma con un’energia potente dentro. Il bagliore era ancora visibile, ben visibile. Calcolò le coordinate. Provò con il sistema live, ma la distanza non era calcolabile con le misure standard, come la sua curiosità, del resto. Chiamò Pestelli, certo non aveva visto il bagliore, ma l’energia, quella, non poteva non sentirla. - Laura, ehi. Che succede? – - Fenomeni strani, Pestelli. Un bagliore, una voce, di un certo Lorenzo… o Mac.. che mi sfiora con una carezza tiepida. Un’immagine straordinaria di viaggio celeste, e tutto, qui, in mezzo al melmoso paesaggio lucano. -. - Fortunata, allora. Magari ti trovi a un passo dalla soluzione del mistero, e… su. Non fartela scappare, eh… ci conto. Quindi la senti quest’energia? La Hack mi è sembrata colpita, anche se mi chiede verifiche e verifiche. E io per ora non ho che visioni, intuizioni, immaginazioni. Niente di “veramente” scientifico, purtroppo. Devo salutarti, ho un controllo. -. Non escluse che questo Lorenzo… Mac… potesse provare le sue stesse sensazioni. Pensò a *F, provò a chiamarlo. Riprovò più volte. Forse era in laboratorio. Non avrebbe rischiato di rispondere di lì. Lo chiamò con qualche speranza un’ultima volta.
Dallo studio di F. si vedevano le mura di rosa sfiorita di Villa del Griffone, la finestra, in particolare, da cui Marconi aveva lanciato il primo segnale radio. Quante volte aveva visitato quello strano luogo, dove era ancora palpabile il mistero delle onde elettromagnetiche e il disvelarsi alla tenacia del ricercatore del loro potere. Gli strumenti elementari, gli arredi essenziali, tutto parla lì di una volontà di ricerca che cresce su sé stessa per giungere fino alla collina e avventurarsi oltre l’Atlantico e oltre, oltre le galassie e i sistemi stellari sperduti nella materia cosmica. Il luogo gli è così noto che può vedere senza vedere il tavolo lasciato ai posteri intatto, le immagini dei superuomini appena sfocati dal tempo, la bianca nave dei miracoli, il mausoleo, il monumento, il parco, la collina. Si divertiva, a volte, a fingersi il primo ascoltatore privilegiato, nel silenzio immutato dell’alba, delle tre brevi scariche elettriche che avevano per prime superato ogni ostacolo. Vedeva Marconi, ancora ragazzo, determinato a trasmettere il primo segnale radio al ricevitore posto dietro la collina dei Celestini. L’eco del colpo di fucile, pensava, aveva forse raggiunto anche la sua finestra, in una triangolazione fatale. Un ragazzo che beffava scienziati di fama mondiale, dimostrando che non erano applicabili alla propagazione delle onde radio elettriche i rigidi principi della fisica della luce. Si rivedeva in lui, pur nella grande distanza che il tempo poneva tra loro, nella grande distanza che separa il genio manifesto dal genio schiacciato ancora nel suo bozzolo di risultati mancati, si rivedeva in lui, mentre cercava di domare l’energia dei suoni, delle parole, di ogni singolo fonema. Studiava ormai da tanto l’energia che accompagna l’emissione di suoni e voci, che il Phonone era insieme la sua meta e il suo incubo. Le piccole potenti torri-condensatori di energia fonica vibrarono, mentre i ventilatori si mettevano in moto: - Ciao, Laura… - - Ciao, come va? Ho sentito Pestelli, la Hack vuole le verifiche. Ma lui, dice, non ha che visioni… E tu? Più avanti? -. - Tu, piuttosto, cosa mi dici? Hai avuto ancora sentore di energie foniche? – disse con tono scherzoso - Sì, ah! Bene…raccontami… -. - Ti chiamo per questo, un certo Lorenzo…Mac mi perseguita, come se fosse qui in presenza, mi chiama, ma io non lo vedo affatto… Ne sento il calore, però, come una carezza, un soffio, qualcosa del genere. Ed è piacevole, sai? -. - Vedi? Energia fonica, cara Laura. Ma…visto il bagliore? Presumo un incrocio di parole o suoni articolati da più parti e una esplosione di mega-Phononi. Io devo andarci, assolutamente, ora so che la torre esiste. Tu ci sei? Non puoi perdere questa occasione. -. - Certo, ho visto il bagliore, immenso, dilagante, non devo esserne lontana. Ma ho il terrore da esplosione, come sai. E’ il minimo. Da sola non riesco ad andarci. Ti aspetto, allora, per la Torre? -. - Sì, Laura. Aspettami. -.
- Allora, a che punto sei, con quella pazza della giornalista...Bisogna farle capire che noi non scherziamo. La I.I.S. (Idrogen International Society) aka N.C.N. (New Cosa Nostra) è un'organizzazione seria... ah ah ah... -. - Eh sì, bisogna farglielo capire, e presto. Secondo me, bisogna agire sulla memoria, in effetti è abbastanza facile, no? Quell'esperimento di cui mi dicevi? A che punto è? - - Lascia stare, se aspettiamo i risultati degli scienziati, facciamo notte all’ennesima potenza. Io dico che bisogna agire prima che scoprano la cosiddetta acqua calda. Per fortuna che ci hanno pensato quei pazzi di attentatori...ah ah ah...ecologisti a bloccare le ricerche in Basilicata. C'erano vicini quei pezzenti ricercatori con tanto di giornalisti al seguito...ah ah ah...ma noi abbiamo le armi, abbiamo...ah ah ah...e quella in particolare con i suoi deja vu. Ma quando mai ci aveva visti prima, magari in qualche anteprimavita...Ha riconosciuto il bar...cose da matti...va bene...anzi male...ora dobbiamo stare doppiamente in guardia...cristo...quelli della Federazione Interuniversitaria...cristo...hanno rotto con le loro ricerche fonologiche...io li farei fuori tutti quei cialtroni ciarlieri...- - Ma chi? - - Quelli nelle scatole... - - Ah quei poveretti...ma quando si dice la sfortuna...per qualche stringa di parole usate così per caso, ti trovi in un intrigo interstellare...c'è da ridere...magari anche da piangere...almeno loro...e si affannano pure...a darsi una logica, a cercare una soluzione...ma...la vita è strana, almeno quella che navighiamo noi è davvero strana...- - Allora...facciamo il punto.- - Già, il punto… - - Gregory ha saputo dal suo informatore che girano per la galassia dei tipi con armi post-nucleari di ultimissima generazione... efficaci e selettive, contro le persone, ma non contro le cose, gli animali, le piante... questo fa al caso nostro, no? Io propongo di usarle in zone precise, ben individuate, dove mettere su i nostri campi di sperimentazione. Nessuna persona, nessun testimone, nessun giornalista, nessun ciarlone, più spazio per i nostri esperimenti. Questo sì, che sarebbe un bel successo. Ma queste armi costano, noi dobbiamo averle gratis, ok? Ti pare. Gregory dice che chi le possiede è facile da sottomettere, vivono di sogni di vittoria e speranze di dominio, non dobbiamo fare altro che dargliene nella quantità giusta, direi di farne un'imbarcata su Dark 7, e via, lì sogneranno per più generazioni...tutti imperatori li facciamo diventare...ah ah ah...ah ah ah. - - Sei un tipo operativo, tu. Ma hai sentito il capo? Non ho voglia di trovarmi inscatolato, eh! - - Già, il capo...In questo periodo è impegnato in un torneo di golf...e chi lo tocca...questa passione lo tiene molto impegnato...public relation...approcci con governatori, capi di stato, rettori...ah ah ah...serve, serve infiltrarsi, noi facciamo il lavoro sporco… ah ah ah...sporchissimo...ma senza il lavoro pulito, saremmo niente...ah ah ah ...ah ah ah - - Cazzo...la giornalista, scommetto che è in pieno deja vu - - Uhhhhhhhhhhhh...va a finire che si piazza lì e aspetta di ricordarsi dove ci ha visti...che stronza...lanciale un sweet sleep, dai, cazzo...si avvicina...ora...o sarà troppo tardi...per un pelo...eccola che sogna, ma...insomma...comunque si è fermata... durerà poco, giusto il tempo di girare l'angolo di Astrea...ah ah ah... - - Ma non mi avevi detto che il capo aveva avuto l'accesso al gruppo dei sabotatori ecologisti e li stava sottomettendo? Quella tale... e quel tale..., ma per Giove non mi ricordo mai i nomi, da quando ho bevuto quel dannato assenzio...mi serviva per trasformarmi in Troll… e adesso ho qualche difetto di memoria...- - Ma è temporaneo il fenomeno, lasciatelo dire da me che l'ho usato per trasformarmi in Griefer...l'altro anno galattico...ti ricordi...ah ah ah - - Allora. Facciamo il punto. - - Sinceramente… non ho ben capito che punto vuoi fare. Se non abbiamo input precisi, possiamo solo progettare azioni, che non attueremo mai...e a lungo andare è frustrante... - Sì, ma intanto ci manteniamo in esercizio, no? - - Ascolta, ma perché non ci manteniamo in esercizio con qualche piccola azione di disturbo... - - oh...oh… vedi…quel bagliore...ma che è...una bomba atomica...bello...andiamo...magari c'è pane per i nostri denti...- - Mi fai ridere...ma quali denti... - - L'ho sentito dire...mi sembra azzeccato alla situazione...per Giove... – - Ma dove sei? – - Sono finito nello scatolone...per Giove...tirami fuori... - - Ah ah ah...quando si dice la forza delle parole! -
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Capitolo 10 di Sunrise Jefferson
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Cominciare da qualche parte, ma cominciare. Asian si mise al lavoro con una frenesia che la diceva lunga sulla sua voglia di venire a capo degli avvenimenti. Si mise in contatto con l’inossidabile Mac usando la vecchia piattaforma di Second Life. Lo trovò al primo tentativo. - Mac, dobbiamo contattare tutti i membri di questo circolo pazzo e autogenerato. Ho avuto un’idea… - Le conosco le tue idee, Asian, e quando ne tiri fuori una nuova mi preoccupo. - Smettila di essere cinico, per una volta, e ascoltami. Dovremmo incontrarci davvero, tutti insieme nello stesso luogo almeno per una volta, predisponendo una serie di cose, ad esempio l’arrivo, l’accoglienza… - Sì, e le bomboniere – lo interruppe Mac – al rinfresco ci penso io, conosco uno bravo. - Seriamente, Mac. Ho pensato che ci vorranno settimane per predisporre tutto, così occorre muoversi per tempo. Se le ipotesi che ognuno di noi sta elaborando coincidono anche solo in minima parte non abbiamo molto tempo da perdere. - A cosa hai pensato? – chiese il netective, sforzandosi di distogliere l'attenzione dalla sfilza di dati che gli scorrevano sotto gli occhi mentre Asian parlava. - Ho pensato alla Torre, come punto di riferimento. Posso costruirne una fittizia, scegliendo un luogo che non sia complicato da raggiungere, ma che sia possibile rendere sicuro. - Potrebbe essere una buona idea confrontarsi di persona. Beh, considerando che alcuni sono dei robot - o quello che sono - l’espressione “di persona” forse non si addice … Stai pensando di avvertire tutti via computer? - Sì, qualcosa del genere. Meno sofisticati sono i mezzi, più è facile passare inosservati. - Asian, l’unico computer veramente sicuro è un computer spento, non l’hai mai sentito dire? - Lo so. Hai qualche idea migliore? - Lasciami un po’ di tempo per pensarci. Chi sa di questa riunione? - Solo tu per ora, ma pensavo di contattare tutti in tempi brevi. - Asian, lasciami dire quello che penso. Forse, per una volta, dovremmo incontrarci di persona, su questo hai ragione. Tutto sommato potrebbe essere proficuo, anche se sicuramente più complicato. Però ci sono molte incognite: come faremo ad essere sicuri che le persone che contattiamo, e che metteremo al corrente dell’incontro, siano veramente i partecipanti? Hai pensato a quante possibilità ha Ronin di intercettarci anche solo se facciamo un singolo, silenzioso e rispettosissimo rutto? - Basta mettersi la mano davanti alla bocca, Mac, Non sto scherzando, se mentre lo fai nascondi la bocca, come farà a sapere chi è stato? - Magnifico. Un manipolo di scostumati che si nascondono le bocche per non far capire da dove arriva il… Si interruppe di colpo e tacque per qualche secondo. Asian intuì che iniziava a capire il senso dell’esempio poco edificante, ma calzante. Mac continuò, quasi sottovoce: - Si potrebbero far partire comunicazioni, sotto varie forme, da ogni supporto digitale che abbiamo a disposizione… sì, può funzionare. Dobbiamo comunque mettere in preventivo il fatto che Ronin le proverà tutte, per annullare i nostri sforzi. E se ci trova, prende parecchi piccioni con una fava sola. Si interruppe solo un secondo, poi: - Come faremo a rendere sicura la Torre? - Non ci ho ancora pensato, speravo che insieme avremmo concordato una strategia. Asian si zittì. Si rese conto, ancora una volta, della provvisorietà di questo gruppo eterogeneo e poco organizzato. Chiese nuovamente a Mac di ragionare sulla possibilità e sulle modalità dell'incontro, poi lo congedò. Si sedette in un silenzio ovattato e rassicurante. Tutti insieme... come su uno schermo, provò a visualizzare l'evento e ad assaporarne i contorni emotivi. Non si negò il piacere di analizzare anche l'aspetto umano, anche se non tutti... lo erano. Personaggi così diversi e lontani, con percorsi di vita differenti o addirittura incompatibili con quelli degli altri, eppure tutti protesi verso una soluzione e, ancor prima, verso la comprensione autentica degli avvenimenti. Fece mentalmente un elenco dei componenti di questa nuova Resistenza e si scoprì a conoscere di loro più di quanto non avesse pensato.
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capitolo
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11
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Aldous Writer
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Asian Lednev
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AtmaXenia Giha
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Azzurra Collas
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Margye Ryba
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piega Tuqiri
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Sunrise Jefferson
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Susy Decosta
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MacEwan Writer
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Alzataconpugno Tuqiri
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Deneb Ashbourne
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Titty Thor
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Capitolo 11 di MacEwan Writer
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Erano le otto e diciassette del mattino quando, dopo aver trascorso la notte alle nostre rispettive tastiere, potemmo dire verosimilmente di aver hackerato il programma proprietario di Metaverse 7.0. Un cumulo di bicchierini del caffè della macchinetta e incartamenti di merendine dietetiche facevano una bella montagnola sul tavolo comune di lavoro. Ci scambiammo uno sguardo allo stesso tempo stanco e sovreccitato. E Adesso? - Cosa ci serve, per andare nello spazio? - - Bella domanda. Che ne so? In teoria nulla, dovremmo solo usare il teleport hackerato, mettere la variabile e Z e via.- -Mmmm… Io mi doterei di tuta spaziale. - - Ma va. A che ti servirebbe? - - Boh, metti che i programmatori di Metaverse, in corrispondenza della backdoor Z abbiano voluto divertirsi e fare in modo che gli Avatar che si trovano ad alta quota Z esplodano come accadrebbe a un vero corpo umano nello spazio…- Passammo ancora un paio d’ore a disegnare delle tute spaziali con tutti i crismi, con tanto di stemma e bandiera della scozia sulle spalle e i simboli dei nostri rispettivi clan sul petto… Avevo sentito dire che il famoso Asian un tempo ne disegnava di bellissime (piuttosto rozze, come imponeva la grafica di Second Life, che non era quella di Metaverse) ma con emblemi della scomparsa Unione Sovietica…Magari questa faccenda delle tute era insensata, comunque ci divertimmo. - Va bene, direi che siamo attrezzati. E ora? - - Dovrebbe essere sufficiente entrare in Metaverse settando una Z abbastanza consistente…- - Allora facciamolo. - Quello che accadde lo prevedevamo, ma non potevamo supporre che si manifestasse in quel modo. Iperrealista. Maestoso. In qualche misura spaventoso. Eravamo nello spazio. Immobili. Sotto di noi – mentalmente supponevo fosse così, ma non c’era possibilità di esserne certi - un pianeta. Stupefatto controllai i dati. Sì, eravamo in Metaverse. E sotto di noi appariva un Pianeta. Che non era la Terra. Ovviamente. Probabilmente l’insieme delle Lands di Metaverse. Metaverse era un Pianeta. A quanto pareva. Alan Macbeth disse piuttosto rudemente: - Cazzo! - Lo vedevo nella sua tuta spaziale bianca mentre fluttuava e muoveva le braccia sullo sfondo nero dello spazio. - Te lo immaginavi così? - chiesi freddamente. - No. Insomma… Troppo esagerato… - La sua voce mi giungeva un po’ metallica attraverso la radio della tuta. O almeno. Supponevo fosse così. - Mac, dovresti guardare alle tue spalle. - disse Alan con enfasi. -Eh sembra facile.- Azionai i propulsori della tuta ma schizzai violentemente e cominciai a ruotare. Cercai di riassestare il movimento dando una controspinta prima che accadesse qualcosa di irreparabile. Il movimento mi portò a vedere quello a cui Alan alludeva. A una distanza difficile da definire si vedeva una forma tubolare in orbita. Il satellite. Ci muovevamo sospinti dai propulsori alloggiati negli zaini. Non era facile governarli. Alan dapprima cominciò a ruotare con i piedi e la testa, poi mi venne addosso. -Hei! Scottish hai deciso di farmi fuori?- dissi nervosamente. Mi resi conto in quel momento che quell’esperienza in Metaverse non era come tutte le altre, era come se fosse attivo un software più potente, un software di immedesimazione come ne avevo incontrati altri. Erano però software che prevedevano non pochi rischi per l’equilibrio mentale degli utenti. Forse con l’attivazione della variabile Z si attivavano anche altre potenzialità dell’ambiente Metaverse. Ristabilizzando il nostro percorso verso il il Satellite tubolare e vedendo il “pianeta” sotto di noi, mi si affastellavano sensazioni emozioni considerazioni riflessioni opinioni deliri paure slanci freneticamente. Quella palla azzurra nello spazio cos’era? Com’era fatta? Bisognava forse iniziare dal particolare. Ogni utente di metaverse realizzava il proprio Avatar. Questi Avatar si muovevano in spazi chiamati tradizionalmente Lands, anche se qualcuno aveva tentato di lanciare altre espressioni, come “fields”, che però non avevano avuto successo. Le Lands erano create solo da alcuni Owners-Avatar: molti Avatar si muovevano in lungo e in largo per Lands create da altri. Metaverse già dalla prima versione aveva azzerato il limite dell’antica Second Life: la limitazione e il conseguente costo economico dei territori. I server non erano concentrati in un solo luogo. Erano decentrati su macchine diverse in diverse località del mondo. Lo spazio era teoricamente illimitato. Ora. Sopra questi creatori di territori, c’erano ovviamente i programmatori di Metaverse. Ma chi erano, in realtà? Non si poteva dire veramente. Metaverse era un wikisoft, era un accumulo progressivo di ritocchi in addizione e in sottrazione, monitorato in continuazione dalla folla dei suoi stessi programmatori. Che probabilmente erano moltissimi. Ognuno aveva programmato una routine, o magari solo modificatop una linea del listato. Periodicamente venivano rilasciate nuove versioni di Metaverse per evitare che le piccole variazioni da parte di chiunque venissero immesse senza essere minimamente testate. Sarebbe stato estremamente pericoloso. - Supponiamo che centinaia, migliaia di calcolatori si connettano. E se un giorno vivessero di vita propria? - Che razza di Demiurgo poteva esserci dietro quella palla azzurra e rossiccia che vedevo nello preudospazio, attorno alla quale ruotava la Torre-Satellite dei nostri sogni – o dei nostri incubi? Apparentemente nessuno. Apparentemente c'era solo la piramide inversa di Utenti-Avatar, di Gestori di Land, e poi l'insieme delle land. E dei progammatori wikisoft. Apparentemente. Ogni Avatar creato da un Emissario era il vertice di una piramide inversa e reggeva sulla propria testa virtuale - come i vecchi “cartelli” col nome in SL- le lands, i creatori di Lands, i Wikiprogramatori. Era quindi lui, l’Avatar, il Demiurgo? Ognuno di noi era Demiurgo nel suo piccolo? Oppure era più corretto dire “ogni Avatar”, inteso come uno di quelli affrancati - misteriosamente affrancati - dai propri Emissari? La sensazione di qualcosa di trascendente, in quello spettacolare spazio orbitale, era fortissima, faceva sembrare ogni speculazione - anche la più fantasiosa – una teoria come un’altra. Lo spazio mi stava dando alla testa, esiste un mal di spazio? Ed esiste un mal di spazio virtuale, addirittura? Per un momento immaginai il mio corpo sprofondato nella poltrona d'immedesimazione. Accanto, quello di Alan Macbeth. Entrambi come in una stasi criogenica, nella quale però gli arti compivano piccoli movimenti, gli occhi nel casco RV che si muovevano velocissimi come durante un sonno REM da svegli. Nel capovolgimento – un altro! - assurdamente immaginavo il mio corpo reale, mentre vedevo e mi muovevo perfettamente a mio agio in quello virtuale, che mi pareva, al momento li mio CORPO. Un gioco di scatole cinesi una dentro l'altra, nel quale non si capiva affatto chiaramente quale scatola fosse dentro l'altra. Per ritornare alla realtà (?) e scappare a quel vortice di considerazioni fantafilosofiche pensai di dare una voce a Scottish Play. - Alan come va? Ci sei?- - Sì Herr Professor! Che trip quell'affare, però!- La Torre-Satellite si stava facendo incombente. I razzi dello zaino ci avevano portati abbastanza vicini alla forma tubolare. Ormai si vedevano dei disegni, un intrico di linee scure che davano alla struttura nello spazio un aspetto singolarmente mimetico. Come se si dovesse rendere difficilmente decifrabile nella forma -e probabilmente nella sostanza, nell'essenza. Eravamo arrivati e ci appoggiammo alla Torre-Satellite per evitare di continuare a fluttuare. All'improvviso una serie di suoni iniziò a colare nel mio ricevitore radio. Anzi, una serie di parole, che risuonavano come senza interpunzioni, in una sequenza vocale dalla difficile identificazione di genere: piatta, amorfa. Ma non sintetica, no. “... Asian ho una cosa da raggiungere non avrebbe risposto Laura il piacere di analizzare anche un silenzio ovattato e rassicurante con gli strumenti il Laboratorio Xxanty non avrebbe risposto il prototipo perfetto disse soltanto che cifre unite in stringhe iniziando a tremare per la tensione si erano radunate dalla sfilza di dati un’ultima volta in quanto linguaggio del tempo da ennesimo teleport come punto di riferimento in una direzione diversa Asian Lorenzo Mac tutti insieme sforzandosi a visualizzare l'evento che avrebbe dovuto sfuggire come un sottile uncino fittizia raccolta in parole che trovò da sola provò a chiamarlo non distruggermi un’ultima volta provò a visualizzare l'evento qualcosa di non previsto straordinario conoscenza possibile in Patagonia dove l’eco agli umani concetti raggruppati sotto spirali vocali per prendere l'Avatar e la Torre prototipo al solito posto camminando un’ultima volta su uno schermo...” - Cos’è ‘sta roba? La Torre trasmette?- azzardò Alan Macbeth. - Quindi hai sentito anche tu, Scottish?- - Purtroppo sì. Ho sentito e non mi piace affatto. Qualcuno o qualcosa ha le nostre frequenze.- - Non è detto, può darsi che la trasmissione avvenga su tutte le frequenze…- buttai lì: staccando il mio corpo dalla Torre la singolare trasmissione parve cessare. Il movimento nello spazio della Torre-Satellite era quasi impercettibile, dal nostro punto di vista. Però facendoci caso, si vedeva che la vista sullo Pseudopianeta Metaverse era leggermente cambiata. Scrutando per cercare di capire questo shift, mi parve di vedere un movimento di qualcosa che spuntava dall’altro lato della torre. Un tubo, una parte mobile della Torre. No. - Cos’è quell’affare che spunta da lì dietro?- dissi. Alan cercò di voltarsi ma non riuscivamo bene a governare né gli zaini jet né i movimenti nello spazio. Finalmente ci riuscì, ma nel frattempo io avevo già visto con stupore un piede, una gamba e poi un intero astronauta spuntare lentamente da dietro la Torre-Satellite, come un astro che sorgesse lentamente da un orizzonte artificiale. L’Astronauta sconosciuto pareva avere difficoltà perfino superiori alle nostre a muoversi. Ordinai al PowerX di cercare una frequenza di chiamata. Bisognava capire al più presto chi fosse e che intenzioni avesse. “…ragione, ha funzionato, è davvero come essere in una visione, in un sogno…- te lo dicevo, però come è difficile convincerti, Laura... – Va bene, Pestelli, ma tu lo sai perché sono così diffidente verso certi esperimenti. Non penso che questo mi aiuterà a risolvere i miei dubbi a proposito di quelle voci, quell’alitare alle mie spalle…- Volevi un “viaggio celeste, se ben ricordo… - Sì, ma mi sarebbe piaciuto un pochino più simbolico… come in un quadro… nel quadro… Qui sono persa negli abissi siderali… Almeno a quanto sembra… - Le voci, i suoni, i fonemi si manifestarono nel mio impianto audio. Ma erano diversi da quelli che si sprigionavano dalla Torre-Satellite. Questo sembrava un vero e proprio dialogo tra due voci definite, una femminile e una maschile. Il PoweX aveva agganciato la frequenza del terzo astronauta. - Qui Lorenzo MacEwan dell’Università di Edimburgo. MI ricevi, Astronauta accanto al satellite? - Silenzio. - Parla MacEwan, Astronauta. Se guardi alla tua destra dovresti vederci. - Silenzio. Poi parlò la voce femminile. - Vi vedo. - Aveva un tono allarmato, tesissimo. Come se ad ascoltare il mio richiamo via radio provasse un profondo turbamento. - Pestelli, chi sono quei due?- disse rivolta al suo misterioso interlocutore remoto. - - Non ti domandavi in continuazione chi fosse quel Lorenzo MacEwan? Ce l’hai davanti, adesso.- L’Astronauta che pareva chiamarsi Laura cercò di usare il suo zaino jet e con quell’aggeggio non se la cavò molto meglio di noi. Comunque riuscì ad avvicinarsi. - Chi di voi due è Lorenzo? - - Sono io, mi trovo alla tua sinistra. - - Chi sei? Perché ti trovi qui? - - Non mi pare di poterti riassumere la storia in due parole. E penso che nemmeno tu riusciresti a sintetizzare la tua, giusto? - L’Astronauta Laura tacque un momento poi disse: –Hai ragione. E chi è quello alla mia destra? - - Alan Macbeth detto Scottish Play, braccio destro del Professor MacEwan, per servirla! - intervenne sussiegoso Alan: MacEwan sapeva che se non si fosse trovato nello spazio, impossibilitato a muoversi infagottato nella tuta, si sarebbe esibito anche un affettato inchino da attore scespiriano. Tentai di spiegare qualcosa, in modo piuttosto random. - Sto indagando su un affare, un coso… una costruzione che chiamano “Torre di Asian”… Purtroppo non tutto quello che mi guida in questa indagine è scientificamente spiegabile. Per esempio mi trovo qui perché ho seguito una… sensazione, un’intuizione. E questo satellite –che a rigor di logica nemmeno dovrebbe esistere, come non dovrebbe esistere quel Pianeta la sotto- una volta raggiunto, appare essere una specie di Torre lanciata nello spazio.- - E questa… “Torre di Asian”… Cosa sarebbe esattamente? - chiese Laura. Risposi con una risata piuttosto nevrotica. - Il problema vero è che non lo sappiamo affatto! Questo non è un caso che seguiremmo di nostra spontanea volontà… Però ci capita continuamente tra i piedi: la Torre e persone che ci chiedono di occuparcene… Compreso l’enigmatico Asian in persona. - - Ma pensate che questa sia La Torre?- - A dire la verità, dall’idea che ci siamo fatti, le Torri sono più di una, ma non sappiamo ancora se abbiano funzioni diverse o se siano semplicemente delle repliche leggermente differenti nella forma di uno stesso archetipo… E di una stessa funzione. La domanda è: quale funzione? - L’Astronauta Laura cambiò argomento. - Vi capita mai di sentire… come telepaticamente… delle voci?- Scottish tacque. Io risposi: – Sì, capita. Ci sono dei flussi verbali che ogni tanto mi colpiscono. Parole e nomi per me senza senso… - - Fonemi…- disse laconica Laura. - Fonemi, sì… Possono essere fenomeni causati dalla eccessiva permanenza in ambienti artificiali, del tipo Second Life o Metavese… Fa parte di un repertorio scientifico ormai acquisito per gli Psicologi delle RV. - - Probabilmente sono Phononi…- aggiunse invece lei. - Fanoni? Che c’entrano le balene.- interloquì Alan con suo solito spirito di patata. Mi trovavo piuttosto vicino a Laura, ogni tanto tra un riflesso e l’altro attraverso il vetro del suo casco apparivano i lineamenti eleganti del suo volto – del volto del suo Avatar - e una ciocca di capelli che li attraversava. Per un momento ebbi una spiacevolissima sensazione di vertigine alla vista di tutto quello spazio apparentemente attorno a me. Mi concentrai sull’idea che in realtà mi trovavo comodamente sistemato in una delle poltrone RV dello studio. Ma non era facile. - Cosa diavolo sarebbero dei “Phononi”? - Mentre formulavo la domanda mi frullavano per la testa dei ricordi remotissimi di letteratura cyberpunk. - Per la scienza sono delle quasiparticelle in relazione a reticoli cristallini rigidi… - - Quasiparticelle…- borbottai seccatissimo per l’apparente intromissione della fisica in una questione così apparentemente psichica. - Ma non sono certa che il significato, o l’essenza di un Phonone si fermi a quella definizione. Penso che le parole, i fonemi, nascondano qualcos’altro, una forza insospettata, una specie di energia indefinibile. Me ne sono fatta una fortissima idea dal momento che ci sono parole che non piacciono al potere, che si tenta di eradicare dalle lingue… - - Quindi le parole e i nomi che ci raggiungono come in una inspiegabile trance avrebbero a che fare con questa forza ancora non classificata? - Laura non rispose. Non lo sapeva nemmeno lei. Tutti eravamo in una fase di indagine, di ricerca, ma non avevamo ancora delle risposte precise. - Forse le Torri hanno qualcosa a che fare con queste parole: hai provato a toccare li satellite? - - No - rispose Laura vagamente interdetta. - Forse è il caso che tu lo faccia. Anzi, facciamolo tutti e tre. Via. - Non appena entrai in contatto (sebbene attraverso la tuta spaziale, che era pur sempre virtuale) il flusso di parole mi travolse nuovamente, e sapevo che stava accadendo lo stesso ai miei compagni di avventura. “…Asian Era solo in un silenzio ovattato e rassicurante Ricordò la Torre con gli strumenti il Laboratorio in Patagonia l’eco da ennesimo teleport l'avatar Mac lo aveva convinto con gli strumenti di ricerca standard il linguaggio del tempo come punto di riferimento importante provò a chiamarlo esperimento come su uno schermo provò a visualizzare l'evento che avrebbe dovuto sfuggire agli umani concetti raggruppati in pensieri ed immagini tutti insieme sforzandosi di distogliere l'attenzione Era successo qualcosa di non previsto iniziando a tremare per la tensione si erano radunate diverse persone escluse che giungono qui scegliendo un luogo che non sia complicato fino all’anima in una direzione diversa il via alla nuova era forse che questo Lorenzo straordinario potesse arrivare alla verità dalla sfilza di dati che gli scorrevano sotto gli occhi spirali fatte di lettere potere di conoscenza possibile dove lanciare di nuovo la Torre laboratorio con qualche speranza ascolta Asian ho una cosa al solito posto da raggiungere Laura improvvisamente capì che stava camminando la trovò da sola Xxanty non avrebbe risposto a rappresentare la vita di lì bisognava moltiplicarsi più volte sotto di essa come un sottile uncino le loro corde vocali per prendere fiato lungo le sue stesse sensazioni ad assaporarne i contorni emotivi il piacere di analizzare anche l'aspetto umano prototipo perfetto disse soltanto scusa se ti disturbo ciao non esisti comprendi netective non distruggermi un’ultima volta in quanto IDEA SUPREMA della Perfezione posso costruirne una fittizia raccolta in parole condensate in cifre unite in stringhe frammischiate a simboli arcaici…” - Accidenti…- disse Laura sbalordita – che cos’è? - - Difficile dirlo comunque sono fonemi, parole, nomi. Certamente ha a che fare con la funzione della Torre-Satellite. E probabilmente anche delle altre Torri. - Seguì un momento di silenzio durante il quale ebbi una specie di visione: un ricercatore di combinazioni elettronico che ronzava all’impazzata alla ricerca dell’allineamento corretto che avrebbe aperto – forse - la soluzione-porta della misteriosa Torre di Asian.
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Capitolo 11 di piega Tuqiri
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Si guardò le mani, come affascinato dalle mille sfumature della pelle alla luce del gelido tramonto. Sentì il tocco delle sue dita che rabbrividiva di se stesso. Forse era il nevischio che cadeva lento ai margini della radura, o forse era lo scorrere veloce dei quadri sfumati in cui erano racchiusi i suoi ricordi più lontani. O forse era solo il rumore del proprio corpo abbandonato alla stanchezza di una veglia infinita. La malinconia risuonava del proprio silenzio, mentre il programma caricava l’orizzonte. Si alzò in volo verticale, su ed ancora su, fino a quando l’aria gli apparve cristallizzata in una nebbia violacea. Ruotò lentamente su se stesso, con un senso di attesa mista a timore. Fu così che avvertì per la prima volta la Forza. Un’onda di velluto color miele, così gli sembrò che si potesse definirla non appena ne avvertì il tocco che gli sfiorava il volto glabro e infreddolito. Non che avesse molto senso come definizione – pensò- ma non riusciva a trovare altre parole per ipostatizzare le sensazioni di quell’istante. Era come se il suono di una voce avvolgesse il suo corpo con onde tiepide e lussureggianti, come se le parole di una canzone si fossero improvvisamente cristallizzate in un suono fatto di armonie sovrapposte, che si rafforzavano l’una con l’altra, moltiplicando il flusso di energia che le sorreggeva nell’aria immobile. Provò a muoversi lentamente in una direzione, ma si accorse che così la sensazione di calore si affievoliva impercettibilmente; riprovò nella direzione opposta e stavolta accadde esattamente il contrario. Senti le mani multicolori assorbire l’onda vociante, come se calore e melodia fossero in realtà semplici qualità mentali di qualcosa di ben più complesso e sconosciuto. Gli sembrò che il suo corpo senza peso fosse attirato, attratto da questa strana e potentissima Forza, quasi irresistibilmente e decise di abbandonarsi alla corrente della melodia. Forse il viaggio fu in effetti molto breve, o forse ancora una volta il suo Tempo stava di contraendosi e dilatandosi senza regola apparente; fatto sta che improvvisamente intravide di fronte a sé la sagoma diafana di una costruzione. La superficie era ricoperta da piccole strisce arabescate che sembravano fatte di parole. Anzi, una volta avvicinatosi scoprì che tali in effetti erano: parole che galleggiavano sulle pareti di questa strana torre, quasi a costituirne esse stesse la struttura. - La Torre - ripetè a se stesso – la Torre è proprio “fatta” di parole. - E suona, anzi risuona del loro stesso significato, come un gigantesco diapason moltiplicatore di pensieri. Premette il tasto di Stop Flying ed iniziò la discesa. Un brusio di voci lo accolse mentre era ancora avvolto dalla nebbia che circondava la base della Torre.
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Capitolo 11 di Sunrise Jefferson
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Siamo tutti lì, tutti fermi come statue, a guardarci con una curiosità striata di stupore. Pensieri veloci si tuffano dalle nostre labbra e iniziamo a parlare insieme, con l’urgenza di chi teme di dimenticarsi, di omettere particolari significativi. Ognuno di noi comprende la portata dell’evento, ma siamo come bambini che devono affrontare un evento più grande di loro. Mescoliamo risate nervose, parole giuste e parole sbagliate, echi di notizie grevi come macigni e subito dopo battute inaspettate. Come durante un evento luttuoso, quando l’inopportuno incresparsi delle labbra diventa un contagioso motivo di disagio. Sappiamo bene che molto, troppo, dipende da noi e dalla nostra capacità di vedere oltre gli eventi. Di organizzare e agire. La Torre sovrasta le nostre paure. Pulsa, suona, cambia colore come un caleidoscopio di sapere, di conoscenza, di energia. Di futuro. Lauriana ha gli abiti macchiati e stropicciati; la guardo negli occhi e lei, pur immobile e muta, riesce a dirmi più di quanto io non voglia sapere. Abbiamo poco tempo, e come sempre una battaglia fra bene e male da combattere. E’ storia vecchia come i mondi. Ci guardiamo, di nuovo in silenzio, in un impasse emotivo che toglie quasi il respiro. Mi manca MacEwan. Mi manca il suo senso pratico, la sua capacità di dare un senso agli indizi più lievi e di leggere nella mente di umani, avatar, emissari, robot. - Dov’è Mac? Domando con un tono che tradisce ansia. - - Nessuno l’ha visto, per ora – mi risponde Lauriana – ma dovremmo metterci in contatto con Campbell. O con Scottish Play, credo siano gli unici a poterlo rintracciare. - Il peso dell’ansia affonda nel torace, compensato appena dalla presenza degli altri.
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Capitolo 11 di Margye Ryba
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Passò una settimana e oltre. Asian era spazientito dal fatto che non vedeva il Dottor Laterba da un bel po’, era preoccupato e non solo per lui, temeva che il tempo avesse potuto cancellare quelle poche tracce che lo avevano portato da Melany in Second Life. Dalle informazioni che era riuscito a sottrarre agli infermieri, Asian aveva saputo che il giovane Antonio aveva dovuto sostituire urgentemente un suo collega ad un Congresso di Medicina in Svizzera. Proprio lui dovevano chiamare? Se lo chiedeva con insistenza Asian, ma, poi, lui stesso si metteva a tacere pensando di essere troppo egoista da dimenticare che anche gli altri hanno una loro vita. Aveva provato ad entrare da solo in Second Life, ma non ricordava la password, l’accesso gli veniva negato, erano quelli i momenti in cui Asian doveva controllare la sua ira e, se non lo avesse fatto, il portatile di sicuro sarebbe stato frantumato in mille pezzi. Questo Asian non lo avrebbe mai permesso, quello strumento era troppo importante per lui, rappresentava l’unico canale che aveva per ritrovare la figlia, e il tempo che rimaneva da vivere ogni giorno si accorciava sempre più, questo era il vero dramma di Asian. Un pomeriggio finalmente il Dottor Laterba entrò nella stanza di Asian che si illuminò alla vista del giovane, quasi tremava dalla commozione, non avrebbe mai creduto di affezionarsi tanto ad un essere umano, il suo interesse per il giovane non era solo per l’aiuto che lui gli forniva, era qualcosa che gli veniva naturale, quasi come fosse un figlio per lui. - Beneeeee….siamo arrivati? Su su, so tutto, il Congresso, la Svizzera, ma ora, non perdiamo tempo, ci vuole la password, mi dia la password! -. - La password? Per fare cosa? Ah...Second Life... vediamo…accidenti! Non me la ricordo più! -. - Coooosaaaaa????- Asian stava per svenire dalla rabbia, lo fermò il sorriso di Antonio che prontamente gli disse che stava scherzando, così il giovane prese in mano il portatile, inserì la password e si ritrovarono con i loro avatar catapultati nel mondo di Second Life. - Dove siamo ora? - - Siamo allo stesso posto dell’altra volta. - - Sì, riconosco il posto, è dove si tiene il corso di scrittura, però non c’è nessuno.- - Infatti, le lezioni si tengono due volte alla settimana di sera e noi siamo venuti di pomeriggio. - - E ora cosa facciamo? - - Ummm…vediamo se Melany è in linea. - Asian era in intrepida attesa, borbottava qualcosa tra sé: “Dio…ti prego…ti prego…ho poco tempo ancora…” - Eccola! Wow! Che fortuna abbiamo avuto, è in linea! - - Chiamala, fai presto, prima che scompaia di nuovo! - Antonio non se lo fece dire due volte, qualsiasi reticenza a quel punto, poteva solo causare un ulteriore malanno al vecchio Asian, aveva atteso questo momento per lungo tempo ed era giusto rispettare questo suo desiderio. Questa volta fu più facile per Antonio rivolgersi a Melany, le chiese cosa stesse facendo di bello e lei prontamente rispose che stava allestendo una sua mostra personale nella land di Sicilia. - Vuoi venire a vedere? - Antonio rimase piacevolmente colpito dall’invito spontaneo di Melany e non aveva nessuna intenzione di mostrarsi indeciso, anzi, prese subito la palla al balzo e si fece mandare il teleport. - Vai da lei? Non dimenticarti di me, eh? - Asian era baldanzoso, per un momento aveva avuto quasi timore di essere messo da parte dai due giovani, Antonio sorrise e lo rassicurò. - Ora, lascia fare a me. - - Lo vedi questo posto? - Melany parlava con Antonio come se lo avesse conosciuto da sempre e con estrema naturalezza spiegava che quel luogo era una vecchia chiesa sconsacrata, un posto ideale per farci una mostra per i suoi dipinti. - E’ vero, e questi dipinti allora sono i tuoi? - - Certo, non era per questo che mi hai chiamato? Per vedere i miei dipinti? - - Emm….sì, anche…..aspetta, c’è anche un mio amico che era incuriosito dai tuoi dipinti, ora lo chiamo. - Antonio mandò il teleport ad Asian che prontamente lo accettò e dopo pochi istanti era anche lui nella chiesa sconsacrata. Melany prese la parola, lesse il nome sulla testa di Asian e gli disse: - Ti chiami come mio padre! - Asian, si sentì quasi mancare, per fortuna era seduto sul letto della stanza di ospedale, non sapeva come reagire e cercò di borbottare qualcosa : - Tuo padre? Ah …. Tuo padre è vivo? Sono contento…- - E perché non dovrebbe essere vivo? Non sono mica una novantenne! - - Sì…volevo dire …. non lo vedi mai … oh … scusa … sono timido … è l’effetto che mi fanno le belle ragazze. - - Non lo vedo mai? Al contrario! Lui ora è in pensione ed è sempre in giro per la casa a borbottare qualcosa! - Asian ammutolì. Non poteva essere! Ma … allora Melany non era sua figlia? A meno che quello non fosse un padre adottivo! Sì, solo cosi si spiegava la cosa. - Forse tu sei una figlia adottiva? - chiese Asian senza ritegno, ma gli rimaneva troppo poco tempo per usare tutto il tatto e le formalità che il caso richiedeva. Melany si dimostrò divertita a quella domanda: - Ahahaha… ma cosa te lo fa pensare? Ti assicuro che io sono la vera figlia di Asian, di Asian Martinenco. - Quando Melany pronunciò anche il suo cognome non ebbe più dubbi, era proprio sua figlia, ma come poteva essere che suo padre vivesse in casa con lei, che lo vedesse tutti i giorni; tra l’altro presentava anche una delle caratteristiche che gli erano peculiari, anche lui era un brontolone. Antonio era basito dalla sfrontatezza di Asian e dalle affermazioni di Melany, lei, invece, era l’unica che sembrava non fare neanche caso a quelle insolite domande e proseguì: - Allora, Asian, Antonio mi dice che sei interessata ai miei dipinti? - Asian annuì, ma era distratto dalle sue farneticazioni. - Mettetevi il Landmark - disse Melany - segnatevi il posto, in questa settimana proverò a mettere i miei dipinti alle pareti di questa ex chiesa e così potrete vederli tutte le volte che vorrete. - Antonio ed Asian salutarono Melany, promettendole di fare presto ritorno, non solo per ammirare i suoi dipinti ma anche per scambiare due parole con lei... come buoni amici.
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Capitolo 11 di AtmaXenia Giha
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Erano tutti li. Umani. O ciò che restava di loro. L’aggettivo antico non avrebbe reso perfettamente la sensazione che si provava davanti a quello spettacolo. La storia si perdeva ormai nei ricordi di coloro che, scampati alla grande guerra universale, raccoglievano gocce di memoria da colui che definito “uomo”, significava anche “essere umano”, dove l’umanità si misurava con l’intensità dei sentimenti e delle emozioni. Così sentivano di essere in quell’istante. Uomini. Stupiti e meravigliati di una conoscenza che ai molti mancava, deviata da coloro che si spacciavano per i grandi Saggi dell’era moderna e che altro non erano, invece, che miserabili untori pagati dal governo affinché seminassero paura rimandando a storie di una nefandezza terrificante, che descrivevano l’uomo come essere miserabile, debole, soggetto a vizi deprecabili. Nel tempo la memoria del cuore pareva caduta nell’oblio. La parte nascosta di Post Utopia, di cui si vociferava da tempo tra i gruppi ribelli, era nascosta da un mirror che la faceva scomparire agli sguardi della gente, rimandando l’immagine di una copia perfetta della stessa città . Essa era ora davanti ai loro occhi e trattenendo il fiato, percorrevano con lo sguardo la meraviglia di un segreto appena scoperto. Nessuna avanzata tecnologia, nessuna combinazione di metalli avveniristici intrecciati a leghe spaziali, nessun cielo sintetico. Midday/Sunrise/Sun: scegliere prego. Appariva ora il nero del vero cielo, dove miliardi di puntini luminosi vibravano animatamente, come in una grande orchestra, brillando ora con rapido accenno, ora in un esplosione di luce, ed un bianchissimo pianeta sfacciatamente si imponeva in quello spicchio di universo, illuminando i loro volti, i profili di montagne lontane, le rovine di antichissime città. Nessuno di loro aveva mai visto tutto ciò. Nessuno tranne Aelita. Xxanty si chiese ancora una volta come poteva lui, frutto di un lavoro di alta ingegneria biomeccanica, provare quello stupore, e di quel pensiero si sentì stringere forte il cuore, quello che ancora, ostinatamente, voleva pensare come centro dell’emozione, seppure indotta artificialmente. Quello che osservava ora erano i resti di una magnifica torre antica fatta di pietra, che pareva sbriciolarsi al suo sguardo, eppure nel contempo, la sua presenza stessa, la faceva apparire orgogliosa e resistente ad ogni attacco del tempo. Fu Asian il primo a parlare: - Quando saremo all’interno della torre, per la nostra incolumità e quella del mondo intero, sarà vietato parlare o emettere suoni vocali. La vibrazione della voce si amplificherebbe fino ad uscire all’esterno dove verrebbe intercettata immediatamente dalle Spywords, che rilevano ogni onda sonora umana. Ognuno di noi avrà un digitatore alfanumerico col quale scriverà, nel caso voglia intervenire. I gruppi di ribelli che parteciperanno a questo incontro, pur avendo formazioni e addestramenti diversi, sono stati sottoposti a severe selezioni, anche se questo non ci garantisce la loro fedeltà. Ora, ognuno di voi potrà avanzare o tornare indietro, ma se tornerà indietro dovrà essere sottoposto ad un trattamento medico istantaneo per abbandonare ogni ricordo di questo momento. - Si guardarono l’uno con l’altro. Nel viso di Mac che pareva il più sicuro di sé, apparve un guizzo muscolare alla mascella destra ed una perla di sudore gli scese dalla tempia. Tutti fecero segno di assenso. Volevano riappropriarsi dei sentimenti veri e delle emozioni, volevano piangere e ridere senza click. Volevano riappropriarsi della loro vera e unica condizione umana. In quel luogo si sarebbe tenuta la più importante riunione di tutti i tempi, coloro che non erano stati sopraffatti dalle conversioni informatiche ed erano scampati alle revisioni tecnologiche, erano lì, uniti nello stesso desiderio di libertà. Cominciarono silenziosamente a scendere, piccole torce di fuoco indicavano il percorso più accessibile.
Cammino lungo un piccolo e stretto sentiero di ghiaia, che tortuoso, si perde al limitare di un bordo nero, piante e cespugli senza prim, sono facilmente penetrabili e tento di dare un linea meno ondeggiante e più diretta al mio percorso. Quando arrivo ad una piccola casetta di pietra, la luce ha ormai assunto una tonalità verdastra, prendendo i colori sintetici di un tramonto filtrato dalla texture della foresta. Entro nella piccola porta di legno, all’interno un piccolo camino acceso, le fiamme crepitanti proiettano lingue di luci e ombre su una parete intrisa di umidità. Una piccola finestra sulla parete opposta alla porta di entrata, lascia filtrare un lieve chiarore ormai smorzato, che,, cadendo ai piedi del muro pare spandersi come burro liquefatto. Mi siedo per terra e prendo il mio minuscolo EMOTYPER. Digitò la parola DISPERAZIONE. Click. Inizio così a piangere copiosamente tutte le lacrime che possiedo, sento lacerarsi il cuore gonfio di dolore e tendo il corpo in uno spasmo di morte, posseduta da una sofferenza senza fine, mi strappo le vesti da dosso e mi tiro i capelli strappandone alcune ciocche. Onde di suoni disarticolati, si infrangono sul mio essere fragile. Mi piego sulle ginocchia invocando pietà e allungando una mano verso l’alto tentando di toccare un arcobaleno colorato ed ecco, corro con i piedi nudi su di un prato verdissimo bagnato di rugiada, volgo lo sguardo verso il cielo che si rincorre in ogni parte della giornata, come in un girotondo, l’aurora dell'alba rincorre il celeste del mattino, che, fuggendo, sfiora l’azzurro del pomeriggio inoltrato, che, come un fanciullo dispettoso, afferra il blu della sera che trattiene ridendo il nero della notte, fragore di fanciulli giocosi, giro giro tondo …mi appartiene il mondo? Vedo, adesso, arrivare la tempesta, nuvole nere incombono sulla mia testa, i miei lunghi capelli arruffati dal vento diventano ali e l’arancione del tramonto lascia il posto ad un grigio opaco. Pareti d’acciaio mi fanno prigioniera, l’erba fresca sotto i miei piedi diventa tentacolo che mi afferra, trascinandomi con sé nella pancia della terra, un senso di svenimento mi coglie e chiudo gli occhi. Di colpo tutto si ferma e diventa immobile. E poi lo sento. Si preannuncia con un boato ed implode nella mia mente. E’ il suono del mio immenso dolore che chiede giustizia. Per Baby quella era diventata una droga. Aveva bisogno sempre più spesso delle sua strisce di umanità. Il terrore che anche l’ultimo barlume di coscienza scomparisse, facendole dimenticare la missione, il giuramento sacro sulle spoglie di suo figlio, si faceva sempre più pressante, lei sentiva che senza quelle lacrime, sarebbe stata senza scampo. Nei momenti in cui si accorgeva di aver passato un giorno senza ricordi, si iniettava la striscia computerizzata, in modo di riattivare le proprie emozioni e attraverso loro, rivedere lo sguardo del suo piccolo appena nato, mentre lo stringeva a sé e gli bisbigliava una ninna nanna per farlo addormentare. - Ninna nanna ninna nanna, sei nel cuore della mamma, ninna bella ninna bella mai più splendida fu una stella, quando infine dormirai, ninna amore sognerai, la tua mamma che ti stringe, ninna nanna, troverai - Il dolore della morte di suo figlio, era l'unica cosa che le era rimasto per sentirsi VIVA. Iniziò le procedure di controllo di tutte le armi che possedeva, avute concedendo favori ad owners senza scrupoli, regalando il proprio corpo e la propria voce per i loro piaceri, risalendo tutta la gerarchia militare, fino ad ottenere un potenziale tecnologico e un addestramento altrimenti irraggiungibili. Missione. Uccidere Carlos Ronin. L’umanità anelava alla vendetta.
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Capitolo 11 di Susy Decosta
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Via Col di Lana 7. Un museo. Ma che posto strano in cui cercare, in cui offrire, in cui parlare. Susy stringeva la sua cartelletta e si guardava intorno. Museo della Comunicazione e del Multimediale Pelagalli. ‘Museo mille voci mille suoni’, così recita il suo claim. Affastellate ovunque quelle che un tempo erano state le avanguardie degli strumenti di comunicazione: la radio, la televisione, i fonografi, il cinema, il telefono, i computer e perfino i carillon e gli antichissimi strumenti meccanici di riproduzione del suono: i pezzi esposti risalivano fino al 1700. Le piaceva quello strano posto di cui fino a poche ora prima sconosceva l’esistenza. Il contatto sarebbe avvenuto lì oggi. L’uomo le si accostò. - Sono Joseph Weber. - Da via Saffi, uscendo dal suo albergo per raggiungere il Museo, Susy era distrattamente passata davanti ad una insegna che aveva letto senza registrarne il contenuto. Ma adesso non poteva non venirle nitida in mente: Officine Weber. La Fabbrica Italiana Carburatori Weber creata negli anni ’20 da Edoardo Weber torinese di nascita ma bolognese di adozione, a Bologna oggi, in via Timavo 32. Le tornò in mente che Joseph bambino aveva giocato in quella fabbrica con lo zio italiano. Che strana coincidenza, pensò: tutto in quel quadrilatero di poche centinaia di metri: il suo hotel, la Weber, il Museo e adesso Joseph in persona. - Buongiorno signor Weber, ha fatto buon viaggio? - - Vedo che ha la cartelletta sottobraccio, non perdiamo tempo in convenevoli. - Questa sua inattesa ruvidezza la colpì. Si aspettava almeno un po’ di buona educazione, se non di galanteria, da un uomo del secolo scorso. - La rivelazione di segnali in coincidenza tra due antenne ci aiuterà con la Torre? I suoi rivelatori o le sue tecniche di interferometria laser possono dirci qualcosa rispetto ai phononi? - Susy decise di mettersi subito in sintonia con lui, niente convenevoli. - Non si aspetterà certo che le risponda signorina! Non prevedevo proprio di trovare una spia di Ronin qui. - Carlos. Ancora Carlos sulla strada di Susy. Per contrastare la sua strada, adesso come allora. - Il dossier che ha sottobraccio non ha nessun valore. Sono certo che è falso. Lei è falsa. Sto perdendo il mio tempo qui, e non ne ho molto. Devo trovare Mac o Asian, loro sono i soli cui posso rivolgermi, ed io posso…L’energia, la Torre… devo dir loro dei phononi, non possono, non devono commettere gli sbagli che ho fatto io col mio primo rilevatore da cui è discesa la Torre di Asian. - Sembrava quasi parlare fra sé e sé, piuttosto che con Susy. - Potrei aiutarla, so dove trovarli. Asian è qui vicino…e… - Iniziò a dire Susy senza terminare la frase, ma Weber non diede cenno di averla sentita e, senza nemmeno lanciarle uno sguardo, si teleportò via così come era arrivato. Susy era esausta, il suo tanto viaggiare sembrava non averla portata a nulla, ebbe la sensazione che tutti i fili di nuovo fossero aggrovigliati e che il suo aiuto per dipanarli fosse stato nullo. Click, teleport. Crollò su un divanetto blu del ‘Falling Star’. - Valentina ti prego portami qualcosa da bere, stasera voglio solo sprofondare quaggiù e non pensare ad altro che alla musica che mi avvolge. -.
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Capitolo 11 di Azzurra Collas
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Laura ripensava alle parole di F. mentre si spostava lungo il sentiero libero dalla melma. Dire camminava, pensò, era fuori situazione, si spostava, ecco, piede dietro piede automaticamente, era da tutt’altra parte con la testa. Guardare a terra significava inabissarsi nel dramma dell’esplosione, rivedere come in un incubo, si stupì della frivolezza, le scarpette appuntite dai tacchi a spillo, con cui aveva tante volte osato sfidare il terreno arduo della Basilicata. Ora solo scarponi, calosce, e il rischio d’imbrattarsi in ogni momento. Conveniva guardare verso il cielo, dove stazionava un incredibile azzurro venato di bianco. Il cielo era uguale, uguale a sé stesso. La limpidezza lasciava scoperte le orbite dei pianeti, gli ammassi stellari, i satelliti, i rifiuti stoccati in grandi asteroidi. Immergere lo sguardo nella profondità del cielo era una salvezza dall’orrore del presente, poteva immaginare una fantasmagoria di colori stupendi in cui fossero banditi il grigio, il nero, e insieme il male, il dolore, la violenza. - Ohhhhhhhhhhhhhhhhhh – un grido e giù, senza appigli senza barriere senza salvezza - oooooooooooooooooooooooooooohhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh – Il grido le usciva dalla gola e dalla testa alla velocità della caduta. Un cunicolo, un tunnel, un budello che le segava la pelle, le strappava i capelli. La sua fine l’aveva immaginata spesso, ma non ebbe tempo di fare paragoni. La sua fine era dunque quella. Precipitava, mentre le lacrime le pulivano gli occhi dalla polvere, dal terriccio che il suo stesso corpo trascinava con sé. Le gambe affondavano sempre più nella terra smossa nella discesa. Un fetore assoluto nelle narici ormai quasi tappate dal terriccio. Laura chiuse gli occhi al buio. E’ finita…è finita…è finita. L’aspettava…
Il Gran Consiglio si riuniva generalmente ogni anno a Settembre, ma quell’anno meritava qualche riunione in più. I big dell’energia erano convenuti portandosi dietro i segni del loro status: potere e denaro esibiti in ogni particolare. Gli aerei personali stazionavano sulle piattaforme lucidate a perfezione per l’occasione da robots in divisa. C’era fermento, un fermento ordinato e sicuro di sé, il capo sarebbe arrivato a bordo dell’ultimo modello di missile per trasporto umano, a idrogeno, naturalmente. Il modello Basilicata era l’argomento dell’incontro. - Che bvavi quei nostvi contvoinformatovi – azzardò l’industriale dell’uranio, che passeggiava nervosamente, come doveva essere abituale per lui, accanto al giovane presidente degli industriali interstellari, un piccolo dai piccoli occhi nascosti dietro l’ultimo modello di visori multisensoriali – alla fine ci abbiamo fatto pvopvio un’ottima figuva…che povtevà affavi… - - …noi salvatori dell’umanità, figuriamoci, ah ah ah, mentre quei “poveri” terroristi ecologici, in gabbia, eh eh eh eh. La comunicazione è la madre di tutti i poteri. Lo dicevano sempre i miei educatori… - Il gazebo tecnologico ospitava il gota dell’energia. - Ehi! Sì, - il Gran Consigliere batteva decisamente il pugno sull’alto tavolo attrezzato, rivolgendosi al dittatore di Calibra - il modello Basilicata…quello sì che va esportato in tutti i mondi. Dunque. L’uso indiscriminato del territorio a fini di sfruttamento petrolifero, o del metano, o dell’uranio, o dei depositi di energia stellare, per non parlare poi, dell’energia phonetica, tenuta così ben nascosta – gongolava, chiaramente era uno dei responsabili - nei depositi subplanetari …ah, le nostre riserve, il destino si gioca tutto lì, se fosse intercettata dalle torri di accumulazione e distribuzione attivate dai Transvalicanti in “quel” periodo, sai, in quel periodo da dimenticare per i nostri affari. Quel periodo non dovrà mai più tornare… - - E Kubera? Non lo vedo arrivare, mai fidato molto di lui, è un cacciatore di femmine e questo è pericoloso. La causa, quella sì, quella è la femmina nostra, eh! – -Ieri trafficava nel deposito tecnologico. L’ho visto passare all’attivarsi del multi schermo, uno sguardo indefinito, sì, sì, va controllato…- - Non vedo quei tirapiedi…- - Chi? Gli spioni, anche quelli vanno controllati, parlano troppo, e a vanvera… - - Giusto, controllo ci vuole controllooooooooooooo –
Si svegliò, mentre un’ennesima riunione mafiosa invadeva fastidiosamente il suo deposito onirico. Era un incubo, ma sapeva che poteva essere reale, realissimo. Provò ad afferrare il palmare. Non c’era. Il cellulare, non c’era. Recuperò il senso dell’esperienza recente. La caduta, ecco, la caduta. Era viva, dunque? Si tastò. Il corpo perfettamente asciutto galleggiava in una sorta di mare, d’un color azzurro nettamente trasparente su un fondale uniforme. Dal batticuore folle della caduta al batticuore folle dell’inatteso ammaraggio, si mischiarono nella semincoscienza del risveglio il terrore del cunicolo e la sorpresa del luogo, niente ricordava le sensazioni cupe della discesa, tutto era calma, luminoso l’ambiente, aperto l’orizzonte. Non le restava che riprendere il controllo delle sue sensazioni. Esplorare il luogo per capire cosa fosse accaduto, dove fosse, dove dovesse andare. Un pontile di ferro, manufatti umani, strutture edificate, un silenzio assoluto. Uscì dall’acqua incredibilmente asciutta, provò a sedersi sul pontile, saggiò così lo stato del suo corpo. Era tutta intera, accidenti. Dunque, la terra aveva ceduto sotto i suoi piedi, certo l’effetto dell’esplosione, un terreno già fragile, storicamente soggetto a frane e smottamenti frequenti, come quello della Basilicata, non poteva non essere stato ancora maggiormente sconvolto dall’esplosione. Questo le sembrava normalissimo, che si fossero formate fratture e caverne sotterranee, e lei c’era caduta dentro per quel vezzo di camminare a naso in su, accidenti, mentre inseguiva quel bagliore. Provò ancora a recuperare il cellulare, meccanicamente, ma era andato. Si avviò con passo incerto, si sentì stranamente leggera, il pontile non generava alcun suono ai suoi passi, infatti. Girò intorno ad un fabbricato in mattoni, nessuno, solo silenzio. All’improvviso girato l’angolo, un salottino. Non si chiese nulla. Crollò sul tappeto e si addormentò.
- Gli emissari, quei tirapiedi, dovevano già essere qui…non è possibile, è insubordinazione questa…dovevano riferire su quella giornalista che ovviamente non si fa i fatti propri. – - Fidarsi dei gregari è sempre un danno… –. - Scusate…scusate…è caduto nella scatola…nella scatola…l’Università di Edimburgo…la rete…- - E’ impazzito! Mettetelo in quarantena. -
Le note di un pianoforte le diedero nuovamente la sensazione del tempo. Era viva? Era al sicuro? Dov’era, innanzitutto. Le note di un pianoforte, accidenti. Una musica di grande fascino. Si mosse, quasi captata da quell’irresistibile richiamo. Una sorta di nuvola la inghiottì, vi scoprì un tunnel in salita, eccola di nuovo imprigionata in un cunicolo, ma quanto diverso. Inutile tornare sui suoi passi, la musica veniva dall’alto, bisognava salire salire salire. Cercò il suo solito affanno, era asmatica, no? Accidenti. Ma di affanno neppure l’ombra. Saliva leggera, anche se spesso sbatteva contro le pareti di nuvola del tunnel, non le era facile orientarsi tra il su e il giù, se non fosse stato per quelle note di pianoforte, scendere e salire non avrebbe fatto molta differenza. Ecco, il tunnel svelava ad ogni curva in lontananza una sorta di ampio foro di uscita, non potè non accelerare il passo, correre correre correre all’aperto. La musica si faceva pian piano più sensibile e la luce intensa. Un doppio sole la accolse, attonita si scoprì ai piedi della torre. E non era sola. Pestelli e *F erano già lì. Sulla loro testa campeggiava una scritta con i loro nomi, sulla propria testa lesse “Lauriana Perla”. Capì quello che avrebbe già dovuto capire, ma che in fondo si era rifiutata di capire. Era in una Second Life, quale, lo avrebbe capito prima o poi. Come fosse avvenuto il passaggio non riusciva ancora a capirlo. Ma ora non era questo il problema. Vedeva i due ricercatori parlare tra loro, ma alle sue orecchie giungeva solo la musica della land. La sua voce non partiva e non arrivava da nessuna parte, la chat mute. La torre era lì, ma come prendere contatto? I ricercatori la guardavano, immaginò che si dicessero: - Lauriana muta? Difficile a credersi. –. La gestualità standard non dava alcun segno di contatto. La sua esperienza le disse di fare intanto qualcosa, in attesa di trovare la soluzione, lesse i nomi dei convenuti: Susy, Aldous, Asian, Asian, Asian, Sun, Aelita. Ah! Eccoli, finalmente, tutti qui in bella mostra, pensò. Istintivamente cercò un nome: Mac. Non c’era.
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Capitolo 11 di piega Tuqiri
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Si guardò le mani, come affascinato dalle mille sfumature della pelle alla luce del gelido tramonto. Sentì il tocco delle sue dita che rabbrividiva di se stesso. Forse era il nevischio che cadeva lento ai margini della radura, o forse era lo scorrere veloce dei quadri sfumati in cui erano racchiusi i suoi ricordi più lontani. O forse era solo il rumore del proprio corpo, abbandonato alla stanchezza di una veglia infinita. La malinconia risuonava del proprio silenzio, mentre il programma caricava l’orizzonte. Si alzò in volo verticale, su ed ancora su, fino a quando l’aria gli apparve cristallizzata in una nebbia violacea. Ruotò lentamente su se stesso, con un senso di attesa mista a timore. Fu così che avvertì per la prima volta la Forza. Un’onda di velluto color miele, così gli sembrò che si potesse definirla non appena ne avvertì il tocco che gli sfiorava il volto glabro, infreddolito. Non che avesse molto senso come definizione – pensò - ma non riusciva a trovare altre parole per ipostatizzare le sensazioni di quell’istante. Era come se il suono di una voce avvolgesse il suo corpo con onde tiepide, come se le parole di una canzone si fossero improvvisamente cristallizzate in un suono fatto di armonie sovrapposte, che si rafforzavano l’una con l’altra, moltiplicando il flusso di energia che le sorreggeva nell’aria immobile. Provò a muoversi lentamente in una direzione, ma si accorse che così la sensazione di calore si affievoliva impercettibilmente; riprovò nella direzione opposta e stavolta accadde esattamente il contrario. Senti le mani multicolori assorbire l’onda vociante, come se calore e melodia fossero in realtà semplici qualità mentali di qualcosa di ben più complesso e sconosciuto. Gli sembrò che il suo corpo senza peso fosse attirato, attratto da questa strana e potentissima Forza, quasi irresistibilmente e decise di abbandonarsi alla corrente della melodia. Forse il viaggio era stato in effetti molto breve, o forse ancora una volta il suo Tempo stava di contraendosi e dilatandosi senza regola apparente; fatto sta che improvvisamente intravide di fronte a sé la sagoma diafana di una costruzione. La superficie era ricoperta da piccole strisce arabescate che sembravano fatte di parole. Anzi, una volta avvicinatosi scoprì che tali in effetti erano: parole che galleggiavano sulle pareti di questa strana torre, quasi a costituirne esse stesse la struttura. - La Torre - ripetè a se stesso – la Torre è proprio “fatta” di parole. - E suona, anzi risuona, del loro stesso significato, come un gigantesco diapason moltiplicatore di pensieri. Premette il tasto di Stop Flying e iniziò la discesa. Un brusio di voci lo accolse, mentre era ancora avvolto dalla nebbia che circondava la base della Torre.
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Capitolo 11 di Aldous Writer
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Aldous osserva in silenzio tutte le persone convenute alla base della torre. Non aveva mai avuto occasione di vederli tutti assieme. É la Torre che li ha chiamati... che li ha creati, pensava. Ci deve essere uno scopo in questa chiamata; vorrei tanto conoscerlo. Chissà se l'informazione é già scritta da qualche parte su questo muro... Detto, fatto! Aldous Writer scende e sale lungo la Torre fino a fermarsi all' undicesimo piano/capitolo. Legge sul muro della Torre. "...si erano riuniti sotto la Torre per trovare un modo per proteggerla e utilizzarla." Proteggerla dai tentativi di G. C. Ronin di appropriarsene, e invece utilizzarla per favorire lo sviluppo della civiltà umana ma anche della civiltà del metaverso. Alcuni di loro erano avatar senza emissari, altri erano umani trasformati in avatar. Qualcuno aveva già incontrato Ronin e aveva capito la sua pericolosità. Già adesso era il personaggio più pericoloso del mondo intero. Se si fosse impadronito della Torre di Asian, nessuno avrebbe più potuto fermarlo. Al contrario, se fossero riusciti a divulgare i segreti della Torre e a diffondere la capacità di accumulare l'energia quasi infinita dei phononi, gli avrebbero spuntato le armi e, anzi, avrebbero favorito la pace sulla terra intera. Perciò lo scopo della riunione doveva essere quello di sviluppare un piano contro G. C. Ronin e la mafia dell'energia. Provenivano tutti da vari luoghi e vari tempi. Il desiderio di contrastare gli attentatori, gli incivili, i griefers e trolls capitanati da Gene Carlos Ronin. Erano uniti da un obiettivo comune, ma non si conoscevano, né erano sicuri di trovarsi d'accordo sulla strada da intraprendere. Un senso di incertezza e di incompletezza li frenava. Si sentivano bloccati, inermi e senza idee. Forse bisognava cominciare da una Torre nel mondo reale ... "Tower to Tower", questa era la strada!
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Capitolo 11 di Asian Lednev
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Silenzio
Era una giornata senza tessuto connettivo. Mi restava quella sensazione di un montaggio di immagini senza il tutto, una accozzaglia di parti che mal si sistemavano tra loro. E’ così che andai a coricarmi nella stanza del motel, al termine di una lunga giornata piena di eventi e di persone. Cercavo di collegare con lucidità le varie cose che mi erano capitate. La mente barcollava qua e là sulla soglia della follia. Sono ancora là fuori. Li sento. Come animali del bosco che scaldano la notte. Chi sono? Mi aspettavano? Ma come sapevano? Mi limitai a dir loro che non ricordavo chi fossero, e chi fossi io in relazione a loro. Pensai lentamente a quello scambio di battute, con parole non mie: ...come degli sconosciuti che hanno da poco intrecciato un dialogo occasionale.... Ultimamente il mio presente è segnato da piccoli elementi insignificanti che gettano lunghe ombre sulla realtà. Da tempo ho preso l’abitudine a guardarmi sempre più spesso alle spalle, a controllarmi intorno. Non dormo mai nello stesso posto più di una notte. Il controllo da parte di qualcuno porta ad una nuova consapevolezza di sé. I griefers, gli "antibiotici", non li ho mai visti. Non so nemmeno se esistono. Non ho la certezza di averli mai guardati in faccia, ma è certo che loro mi vivono molto vicino, respirano la mia stessa aria. Piccoli segni di cose fuori posto, coincidenze? Ho ridotto il mio vivere quotidiano a tre sole parole. Simulare. Nascondere. Criptare. E poi… sfuggire. Da giorni non penso ad altro. Il silenzio è ora la mia dimensione. Non è facile nemmeno pensarlo il silenzio perché nel momento in cui è pensato è stato frantumato. Solo non pensare produce il silenzio. L’unica cosa che mi restava da fare per questa giornata: disinnescare il pensiero, staccare la testa dal mondo. La Torre era là, non aveva ancora bisogno di me e io di lei. Sapere dove era ora è sufficiente. Sapere e sentire che sotto la torre c’erano loro era un tutt’uno: pensiero che non riuscivo a decifrare ancora.
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capitolo
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11
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Aldous Writer
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Asian Lednev
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AtmaXenia Giha
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Azzurra Collas
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Margye Ryba
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piega Tuqiri
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Sunrise Jefferson
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Susy Decosta
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MacEwan Writer
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Alzataconpugno Tuqiri
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Deneb Ashbourne
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Titty Thor
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Capitolo 11 collettivo
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- Hello… Laura Coleman? - - Ma chi parla? Sorry, who is speaking? – Laura rispose con una certa aggressività, come sempre quando non riconosceva la voce dell’interlocutore, e questo la metteva in ansia. - Miss Coleman, I’m the editor, Barton, remember? – Pausa. L’editor? Calma… Il dossier? Calma… - Yes, Hello…I remember …- - The publisher invites you to London to talk about the publication of the dossier … He will be in Bologna Art Fair 2010, and would like to take this opportunity…What are you thinking about it -
Calma. Calma. Calma. Potrebbe essere un tranello. Calma. Chi sapeva del dossier? Aveva secretato Calma. Calma. Calma. Lauriana volle accontentarsi per un attimo di averli trovati lì, erano lì, il modo rigorosamente tutto il materiale, dopo la consegna all’editore inglese. Non poteva esserle sfuggito per comunicare l’avrebbe certo trovato, prima o poi. Si guardò intorno, c’era musica, dei suoni indistinti, nessun dettaglio. Calma. Perché l’editore la faceva chiamare per telefono? Sottovalutava la delicatezza ma le parole? Niente parole, eppure loro sembravano conversare ed invitarla a conversare. Quale il codice, del dossier o voleva incastrarla? Stop. L’avrebbe richiamato, aveva risposto laconica. Intanto il cuore quale il medium, quale il metodo…Calma. Si avvicinò alla Torre, sbandando come le capitava spesso, per sembrava non trovare più la sua nicchia. Calma. Chiamò l’editore per via telepatica immediatamente dopo. effetto dell’emozione. Guardò verso l’alto, una figura emerse dalla lattigine della Torre, riconobbe Le rispose piccato. Ma lei di più. L’editor preferiva le comunicazioni tradizionali, of course. Ma lui la bellezza stellare di Astrolabia, le sue movenze lente e decise, la vide puntare il lungo braccio aveva capito la situazione, e in fine si scusava. Le spiegò tutto: interessato al dossier, lo pubblicava, verso il basso ad indicare qualcosa,anche lei muta, Lauriana pensò: una regola della Torre? Una piccola volentieri, in codice, come lei aveva chiesto, sotto forma di romanzo, un romanzo collettivo. Sarebbe sfera a mezz’aria emetteva luminosità puntiformi,Lauriana si avvicinò, tasto destro, touch: comparve giunto a chi doveva giungere, con buone possibilità di non essere intercettato. Una prassi usuale, una scritta:.:Mi chiamo Fred e trasmetto le stringhe. Basta che scrivi: '/7 nome:stringa' ormai, da quando G.C.R. aveva comprato le intergalactic common licenses. I furbi guardano lontano, dove nome è il nome del personaggio che parla. Questa la regola della Torre, dunque? Un gioco per ragazzi ma chi vede un romanzo collettivo? per celare la potenza dei Phononi?
L’ipertablet di Laura si surriscaldò alquanto quella sera. Rivide il dossier, rabbrividendo a tratti. Sapeva di rischiare molto, lei e quelli che con lei avevano accettato quella sfida. Una sfida mortale, qualora un solo elemento del codice fosse stato interpretato. Ma come era possibile lasciare al loro destino Margye, Baby, Xxanti, Fabrizio, Ryan, Betta e tutti gli altri, di cui è vero non sapeva neppure il nome, ma che erano lì, chiusi in mondi inaccessibili, mentre gli emissari di G.C.R. li manovravano a loro piacimento. Ridusse la durata del pensiero all’essenziale, rimise al suo posto l’emozione, e continuò il lavoro.
L’aereo decollò, Laura si assopì appena, chiuse tutti i canali di comunicazione, senza lasciare varchi ad .: dice Lauriana: Pestelli, accidenti, F., ma ora mi leggete, almeno? .: dice Atma: certo Lauriana, ti accessi esterni. A Londra riprese fiato, la città era ben difesa da attacchi indesiderati. Un buon the la leggiamo…che piacere vederti, ti aspettavamo, eh, non ci spiegavamo la tua assenza…ma che ti è accolse dall’editore. L’editor si scusò, ma Laura scelse di non comunicare con lui, per ridurre successo, ti vedo un po’ sbilenca .:eccomi, allora, e non abbiamo altro da dirci che convenevoli? ulteriormente i rischi. Ogni parola poteva diventare la chiave per il codice d’accesso. Tacere con la Ho rischiato di morire(!)per la riunione e… .:dice Susy: calma, Lauriana…questo è un duplicatore di parola, col pensiero, era l’unica strada, se non si era più che certi dell’identità dell’interlocutore. stringhe che assorbe l’energia delle nostre parole pur nel silenzio…ne saremmo bruciati, arsi vivi, Non più di 150 copie, rigorosamente numerate, concordò con l’editore. Un numero giusto, per passare capisci? .: dice Margye: Ricordi il bagliore? Altro non era che l’esplosione di energia provocata dalle inosservati al controllo. A Bologna la presentazione. Arte Fiera ospitava una serie di iniziative d’arte parole di incauti viaggiatori, ma noi, vedi, ci accompagna Asian e siamo al sicuro? .: dice Lauriana: contemporanea e la presentazione di un romanzo collettivo ci stava bene, benissimo. E lì abitava F*. Ecco, ma vedo diversi Asian, non saprei scegliere il guardiano della Torre tra tutti questi Asian .:dice Chi avrebbe sospettato di un gruppetto di illusi romanzieri collettivi, radunati a Bologna sotto le torri? Piega: ecco, questo è uno dei modi di salvaguardare Asian dai suoi nemici, non ti pare? .:dice Lauriana: Sotto la Torre. Un brivido e un sorriso. Sotto la Torre di Asian. Formulò la parola con la leggerezza di un : giusto, ma complicato .: dice Aldous: sì, complicato, ma così possiamo comunicare senza timore di soffio che appena dopo riassorbì nel flusso del respiro. Non le restava che aspettare il giorno. Chi essere intercettati, ormai captano tutte le fonti di energia, anche quelle infinitesimali, la sarebbe intervenuto alla riunione? Quale livello di sicurezza avrebbero avuto? L’arte li avrebbe messi al caccia è aperta, e non sapremmo come salvarci senza di lui .:dice Lauriana: capisco perfettamente, sicuro? Calma e prudenza, Laura. e Mac? Calma e prudenza, Lauriana.
Sdoppiata così, come ormai avveniva sempre più spesso, era difficile concentrarsi. Ma l’occasione poteva essere unica e decise di bruciare la sua quotidiana riserva d’energia per approfittare del silenzio del primo pomeriggio, per lanciarsi nel dedalo delle strade che Bologna aveva copiato da chissà quale mappa stellare… Il sogno che aveva fatto quella notte, così complicato e vivido le tornò alla mente: la spiaggia bianca di Vendicari, una foresta umida e intricata, la spianta cristallina di NeoKublai e, naturalmente, la Torre si mescolavano in un unicum indistinto nel suo agitato inconscio. Le vennero in mente le parole del primo astronauta di un secolo fa, o avrebbe dovuto dire cosmonauta visto che era un russo, quel Gagarin che disse: ‘non sono stato il primo uomo nello spazio ma l’ultimo cane’. Ecco, così si sentiva adesso, l’ultimo cane ad abbaiare contro le multinazionali del petrolio. Doveva alzarsi, lo sapeva, anche se sarebbe volentieri rimasta sotto il thermovelo ancora per ore. Era preda di un contemporaneo stato di paura ed eccitazione. L’incontro, oggi, sarebbe avvenuto davvero. Tutti sotto la Torre. L’ansia che nel sogno le impediva di vedere gli altri si sarebbe placata? Ora si stava tramutando in gioiosa aspettativa e le dava una spinta emotiva grandissima: tutti sotto la Torre. Non aveva certo giornate-tipo, ma questa, tra tutte, sarebbe stata la più straordinaria. Neve, molta, freddo pungente, strade ghiacciate che complicavano il suo cammino. Era rassicurante però pensare che questi elementi naturali fossero rimasti gli stessi di sempre. Il freddo le pungeva il viso, mentre giunta in Via Castiglione ammirava la facciata rossastra dell’edificio in cui doveva entrare. Aveva bisogno di qualche minuto di compensazione in strada per centrarsi sulla nuova location, così particolare, così diversa da ogni altra, così risolutiva, forse. Doveva cercare Aelita, le avrebbe fatto ‘vedere’ la via verso la Torre. Dal nulla le comparvero accanto tre avatar, due uomini e una donna. L’empatia fu immediata: erano loro, tre di loro. Allo scambio di segni di riconoscimento impercettibili, seguì un abbraccio a lungo atteso, un abbraccio liberatorio in cui si scioglievano le ansie di una condivisa corsa contro il tempo. Entrarono. Aelita li condusse nell’ampia sala dagli alti soffitti a volta, contornata da boiserie ottocentesche. .: dice Susy: è dunque questa la Torre, qui in questo un improbabile luogo chiuso, circoscritto?
Dunque erano riusciti a venire quasi tutti. Anzi, tutti. Chi non era presente fisicamente lo era con i pensieri - Stai calmo! Calmo! Calmo! - si disse Aldous. Ma aveva poco da restar calmo: all’improvviso e con il cuore. Ancora baci e abbracci di chi si aspettava da tempo nel tempo, sguardi e sorrisi come di aveva visto sfaldarsi la sua realtà. O per meglio dire, aveva visto squarci di realtà penetrare all’interno innocenti compagni di viaggio che s’incontrano guidati da ogni dove verso un luogo, il luogo, i soliti del metaverso. Stava vedendo l’incontro sotto alla torre, ma non era questa Torre. Era un’altra torre, preparativi, fogli da una mano all’altra,segnali d’intesa. Laura iniziò: - Grazie di essere venuti, amici ! Queste Nel frattempo si affacciava il profilo di un’altra città: Bologna. Erano anche altre persone? sono le 150 copie numerate. Non dobbiamo perderne neanche una. Dovremo tenerle nascoste fino alla Parlavano del dossier, del “suo” dossier ! Quello che stava controllando capitolo dopo capitolo. “Grande Intesa”. Per ora dobbiamo affidarci al web! Allora, che ne dite dell’idea di nascondere il Scendendo lungo la torre sulle cui pareti era stato codificato. Ne possedeva da sempre la chiave. dossier dentro il nostro lavoro, sotto forma di romanzo collettivo? La trama di fantasia nasconderà le Nessuno sarebbe riuscito a scoprire il dossier intrecciato a una storia di epoche e luoghi remoti. informazioni importanti. Molti di noi sono già iscritti al corso di scrittura creativa. E’ quasi naturale passare .: dice Aldous: dobbiamo cercare di contattarli? .: dice Astrolabia: no, non è questo il momento. a una scrittura collettiva. Lo lasceremo generare un po’ alla volta dalla torre stessa e dal suo DNA. Lasciamoli alle loro effusioni di umani impenitenti. Celiamo loro ancora il destino di guerra che li attende. Le parole chiave, quelle dovremo tenerle celate anche a noi stessi. Celare, parola chiave, celare. .:dice Aldous: saggia Astrolabia, vorrai…potrai salvarli dal loro destino di annientamento? .:dice Lauriana: Annientamento? Parlaci, Astrolabia, parlaci con la voce del cosmo. Siamo qui per questo. Fu prudente nell’avvicinarsi agli altri avatar alla base della torre, come se temesse di non essere accolto come sperava, come un amico ritrovato, o forse come una parte di loro stessi. La prima fu Sun, che si girò lenta verso di lui come se avesse riconosciuto il suo incedere lento ed incerto, ma non riuscisse ad individuarne l’origine al di fuori della sua memoria. Lo abbracciò con occhi sbarrati e liquidi, a lungo e con prudenza, quasi non volesse distruggere la magia del sogno riemerso dal tempo. - Sei tornato - disse rauca – anche questa volta sei qui, come ogni volta che ti ho chiamato. - Sì, sono qui – si sentì dire con una voce che aveva scordato di possedere. – sono ancora qui. Si strinse al suo profumo, perdendosi fra i riccioli che brillavano ancora una volta attorno al suo cuore… - Ciao vecchio mio – disse Mac, stemperandosi in un timido sorriso – come stai? - .: dice Aldous: le luminescenze dei sentimenti rischiano di fondersi con gli echi che lambiscono la torre. - Ora va meglio. Credevo di averti perso e invece era solo questione di distanza – si accorse di aver detto. . : dice Astrolabia: non temere. Terrò a bada i rischi delle vibrazioni finché sarà opportuno.. Poi fu Susy a sfiorargli il braccio, quindi Aldous che gli rivolse uno strano saluto con le mani giunte, come se volesse ringraziarlo di qualcosa che però ignorava. Infine fu la volta di Lauriana. Si accostò, lo osservò a lungo senza parlare, come se volesse capirlo “dentro” prima di salutarlo. Furono istanti intensi e ruvidi, ma improvvisamente Lei disse semplicemente: “bentornato a casa ragazzo” e il graffio dei suoi occhi si mutò in una carezza di velluto. - Grazie di avermi accolto qui – si limitò a dire con voce rotta. Fu solo allora che lo vide, solo allora anzi “si “vide come in uno specchio fatto d’aria e di sogni antichi. Vide se stesso come era stato, goccia di pioggia caduta ed evaporata per poi ricadere ancora. .: dice Aelita: ecco Asian, dalla profondità del tempo, Asian, che prima d’essere era pura energia fonica. Tese la mano verso la sua mano tesa, ne aveva paura ma nello stesso tempo non era in suo potere sottrarsi all’istinto che lo dominava. Era venuto per questo in fondo, a questo l’aveva spinto la melodia della torre e solo per questo lui le si era abbandonato. Tutto dipendeva da questo. Per questo aveva cercato la matrice, per questo ne aveva tenuto il segreto con tutti, persino con Mac. Per questo, quando ne aveva decifrato il codice, nuotando nelle note della prima torre, aveva deciso di spezzarne l’elica in mille frammenti, uno per ogni copia. Troppi la volevano, erano disposti a tutto pur di possederla. Era il segreto che dominava il nuovo universo e metterci sopra le mani avrebbe significato poter decidere del destino di tutti. Solo lui la poteva salvare, semplicemente lasciandola libera da ogni possesso. Per questo aveva atteso che qualcuno riuscisse a dominarne la forza senza imprigionarla. Per questo ora voleva ridarla a chi l’avrebbe potuta lasciar vivere, come era giusto che fosse: libera da tutto e da tutti, anzi libera di governare tutto e tutti. Ora Asian, il Costruttore, colui che aveva raggiunto la Scienza necessaria per liberare ciò che era nascosto nel dossier era lì, davanti a se stesso. Occorreva soltanto trovare il modo di trasferirgli il “Codice di Ricostruzione”. Ogni cosa poi avrebbe ritrovato il proprio senso. Le mani si attraversarono senza sentirsi, come se gli spazi di uno stesso avatar non potessero coesistere, se non in tempi diversi. Cadde in ginocchio mentre lacrime che ardevano con la fiamma della disillusione gli ustionavano l’anima. - Credo di aver trovato io il modo... - .: dice Asian: è vero! adesso per prima cosa bisogna pensare a sottrarla alle grinfie di G. C. Ronin... - Ancora il vecchio Mac! – fu l'ultima vibrazione del suo pensiero prima del crash improvviso.
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capitolo
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12
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Aldous Writer
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Asian Lednev
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AtmaXenia Giha
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Azzurra Collas
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Margye Ryba
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piega Tuqiri
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Sunrise Jefferson
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Susy Decosta
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MacEwan Writer
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Alzataconpugno Tuqiri
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Deneb Ashbourne
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Titty Thor
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Capitolo 12 di Aldous Writer
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Aldous Reader lasciò la riunione pieno di pensieri. L'incontro sotto la torre era stato veramente una grande sorpresa per lui. Quante informazioni! E quanti visi che finora aveva visto solo sulle pagine del libro. Ma adesso era ora di cercare il Falling stars, il bar di Valentina. Per questo portava con se una copia del dossier. Tornò a risalire la Torre, cercando lo spiraglio... "quello spiraglio". Seguiva una traccia, una piccola traccia. Quasi un leggero profumo che lasciando una scia indicasse la via da seguire.
Il Falling Stars é un crocevia, un crocevia tra presente e futuro, tra reale e virtuale, uno degli incroci. C'era una sola uscita dal Falling Stars, ma dietro quell'apertura c'era di tutto: qualunque luogo e qualunque tempo. Anche gli odori di tutti i luoghi e di tutti i tempi si mescolavano, e così si sentivano e riconoscevano quelli che avevano caratterizzato il passato, ma anche quelli che si sarebbero conosciuti in futuro. Ecco. Aldous si accostò alla parete dove gli sembrava che il profumo di "futuro" fosse più intenso. Vedeva una specie di porta disegnata sulla parete della torre. Era appena accennata, e non appena ne toccò la maniglia, la porta si aprì! Dietro il vano della porta Aldous vedeva i tavoli e il bancone del locale. Ancora non riusciva a distinguere le persone, ma udiva i rumori e le loro voci. Entrò. Il profumo di futuro era decisamente forte lì dentro! - Ciao, tu sei Valentina, vero? - - Benvenuto. Ci conosciamo? - - Veramente no, ma chi non Conosce Valentina? É un punto di riferimento per tutti gli abitanti della Torre: la proprietaria del Falling Stars. La ragazza sorrise. - E a te, cosa ti porta qui? - Ormai i giochi si stanno completando... La Torre é completa, la storia é andata avanti. É venuto il momento di passare qualche consegna. Spero che piano piano qui arrivino tutti gli interessati! - Aldous tirò fuori un plico e lo mostrò a Valentina che rispose con uno sguardo interrogativo e un po’ dubbioso. - É una copia del dossier. La mia copia. - - Ah ! - fece Valentina, e poi tacque. Valentina era sicuramente di poche parole. Aldous la guardò un attimo per assicurarsi che lei avesse capito. Poi chiese: - Posso sedermi? - - Certo, siedi dove vuoi. Come vedi ancora siamo in pochi. - E così dicendo, fece un cenno verso un angolo del locale.
Susy sedeva sul divanetto blu con un bicchiere colorato in mano. Il suo sguardo era rivolto verso di loro, ma in maniera distaccata, quasi distratta. Un portadocumenti era poggiato sul tavolino accanto a lei. Aldous si fece dare un boccale di birra scura da Valentina, quindi si avvicinò alla ragazza. - Buongiorno - le disse Aldous - Buongiorno - rispose, sempre distratta. - Sei qui al Falling Stars per piacere o per affari? - - Per me tornare qui da Valentina é sempre un piacere. Ma questa volta sono qui per il dossier, come te. - E indicò il plico di Aldous. - Bene! Adesso ne abbiamo due versioni; possiamo lavorarci... e provare a ricostruirlo e decifrarlo. Il contenuto del dossier vero era stato cifrato e distribuito all’interno dei finti dossier. Ma c’era una certa ridondanza per non rischiare di perdere informazioni. Già con due copie del dossier potremmo riuscire a ricostruire una buona parte. - Susy si era fatta più interessata e attenta. - Sì, penso che possiamo cominciare a lavorarci. Ma prima fammi ordinare un altro Daiquiri. - - Valentina? Posso averne un altro per favore? - - Susy é il terzo! Sei sicura di volere continuare? - Basta prediche, Valentina ! Per favore non ti immischiare; sai che ho le mie ragioni! - Dopo un po’, mentre Aldous e Susy esaminavano le loro copie del dossier, Valentina apparve con un nuovo bicchiere. Lo dette a Susy, non senza prima averle lanciato uno sguardo di rimprovero, e poi tornò vicino al bancone. Aldous continuò: - Susy, ho bisogno di una mano per poter leggere il dossier e confermare che si tratti di quello originale; non contraffatto. - Susy sorrise. - Mi sembra di capire che il tuo compito é quello di "leggere" il dossier. Sei un lettore, vero? - Sì, leggo... ma interpreto anche. E cerco spiegazioni e collegamenti e possibili sviluppi. Ecco, inserisci questa parola nel tuo dossier - Susy prese il bigliettino che gli passava Aldous e lesse: "Generativa". - Bene, lo faccio subito ! - poi proseguì - E questa é la mia chiave? - E fece vedere ad Aldous un biglietto con su scritto "viaggio". Le parole del dossier piano piano si ordinarono secondo una struttura precisa. "Uso della Torre. Rilevamento e assorbimento dei Phononi. Conversione energetica. Accumulazione. Etica dei Phononi" La presenza di due chiavi contemporaneamente permetteva e accelerava l'operazione di decifratura e ricomposizione. Aldous leggeva e controllava i dossier... Ogni tanto annuiva soddisfatto e faceva un sorso dal suo boccale.
La musica andava nel silenzio della sala. Si sentiva crescere una tensione e un'atmosfera di attesa. Un viso si affacciò dalla porta. Era Pestelli; con fare un po’ titubante entrò e si chiuse la porta alle spalle. Si avvicinò al banco. - Buonasera - disse - posso avere una grappa? - - Buonasera, buongiorno, buon pomeriggio. Sono tutti equivalenti qui dentro. Quali ragioni la portano qui, professore? - Mi conosce ? - domandò, ma già sapeva la risposta. Era riuscito finalmente a trovare il Falling Stars Valentina annuì e gli sorrise, confermando i suoi pensieri. - Una grappa? Non é un po’ forte a stomaco vuoto? - - Preferisco una grappa. - - Professor Pestelli, venga qui da noi - lo chiamò Aldous dall'angolo del locale - Venga, venga...io sono Aldous, e lei é Susy - - Piacere - - Piacere - - Come ha fatto a trovarci, professore? - - Lauriana. Lauriana mi ha dato le indicazioni necessarie. Mi ha detto di venire qui per avere una copia del dossier. - Susy gli indicò il plico che aveva davanti. - Sa già cosa contiene? E cosa farne? - - Sì, penso di sì. - - Ben ! Ho anche saputo che lei, professore, viene da Bologna - - Sì - - É una strana coincidenza - continuò Aldous indicando il dossier - Qui dentro si parla di una torre la cui origine é legata alle sua città. - - Una delle torri di Bologna? - - No, non proprio. Solamente che le officine di Bologna hanno visto passare i primi prototipi dell'antenna Weber. - Il suo inventore cercava le onde gravitazionali; non poteva immaginare che la sua invenzione sarebbe stata il punto di partenza per imparare a catturare i phononi. - Allora dimmi; é vero che potremo usare i phononi per la produzione di energia su scala industriale? - - Sì, rispose Aldous, qui ci sono tutti i dettagli e i calcoli energetici. - Pestelli tirò un sospiro di soddisfazione. - Attenzione, però. Qui nel dossier ci sono anche i dettagli sui vostri nemici. - Nemici ? Pestelli si rese conto che non tutto era semplice. Susy cominciò a spiegargli i retroscena della lotta in corso.
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Capitolo 12 di AtmaXenia Giha
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Era tutto così perfetto...da commuoversi….. Infatti egli indossò appositamente per quel momento solenne, una pelle, dove era disegnata una finta lacrima e che, partendo dall’angolo interno degli occhi, scendeva sulle gote disegnandovi, infine, un piccolo rivolo ai lati della bocca, la quale, ai due angoli piegava all’ingiù, assumendo così un’espressione dolente. La rappresentazione mite ed intensamente accorata del dolore. Struggente…. Una vera opera d’arte dell’espressionismo umano. E lui ne era il protagonista. Certo, non ne era il protagonista principale, quel ruolo era destinato a Carlos, ma Lui avrebbe saputo ben ricompensarlo, elevandolo alle vette di un potere quasi divino – quasi - pensò ad alta voce, - ma tutto quello che non è assoluto è modificabile - ed ergendosi dritto sulla schiena gonfiò il petto. Aprì l'inventario e cercò poi una pelle che aveva rinominato Kill Me, la indossò e meraviglia, le pieghe della bocca si sollevarono in un sorriso feroce, le lacrime divennero righe di sangue che si spandevano come lava bruciante sul collo, disegnando ricami sulle braccia, sul torso e così fino ai piedi, creando una piccola illusoria pozza lucida nella quale egli si riflesse come Narciso. E vide esattamente cioè che si aspettava. Lo splendore della sua crudeltà. Aveva venduto l’anima al Male, ma non in cambio di una misera vita eterna, oh! no, non gli interessava vivere per sempre una mediocre ed insipida vita, ma un’eternità “PERFETTA” nella luce del suo Essere Unico. Apparve un guizzo muscolare alla mascella destra ed una perla di sudore gli scese dalla tempia. “Decadente” sarebbe stato l’aggettivo che avremmo usato, se fossimo vissuti nel XXI secolo alla vista di quel bar consumato dalle intemperie. “Falling Star”. E forse ci avrebbe preso anche una certa curiosità di visitarlo, così come si fa con le cose un po’ passate di moda, ma non abbastanza per poterle inserire nel prestigio di un oggetto d’antiquariato o di un arte antica. Ma in effetti, il Falling Star era semplicemente poco più di una catapecchia usurata dal tempo, dove le macchie di muffa verdastre disegnavano sulle pareti quadri astratti e la luce era cosi fioca da rendere tutto l’ambiente spettrale, nascondendo le crepe nel legno dei tavoli e le espressioni sui visi dei presenti, togliendo loro ogni profondità tridimensionale cosi che parevano come disegni ritagliati ed appoggiati senza cura sulle sedie o vicino ai tavoli. Così pareva ai più che lo frequentavano. In realtà era una porta del tempo. Valentina, la proprietaria del locale, sorrideva e scherzava con gli avventori ed a ogni sorriso che elargiva loro, l’odio per il mondo aumentava. Valentina mentiva, sopravvivendo a stento al suo stesso odio. Nulla di ciò che la circondava le interessava davvero, da quando, ripudiata da suo marito e dai suoi figli, costretta a vivere ai margini della vita, relegata come prodotto di scarsa qualità nel grande supermercato semi-umano, era stata costretta a prendere la via dell’esilio per non essere distrutta e ristrutturata in altre forme. Riciclata insomma. Aldous il lettore, nel cui cervello era stata impiantata un’intera biblioteca di dati, e Susy la viaggiatrice, che aveva conosciuto l’odio e lo aveva scambiato per amore, erano già seduti al tavolino, appartati, quando arrivò Xxanty, il quale si unì a loro in maniera discreta. Susy aveva una copia del prezioso dossier che Aldous avrebbe dovuto intuire, tradurre e tramandare. Più che un dossier sembrava il libro dell'onniscienza, le descrizioni della “nuova guerra” si intersecavano con i racconti del passato e si intrecciavano con modalità operative su come fare azioni di guerriglia o sabotaggio, interrogare i nemici attraverso tecniche psicologiche sofisticate fino ad estendersi ad argomenti scientifici come per esempio, muovere i fononi per il grande Urto Temporale che avrebbe distrutto l’era virtuale e ripristinato l’era reale. La cosiddetta “Era Vera” Stavano dunque iniziando la discussione, quando si avvicinò un ometto mingherlino, dal fare sospettoso, Xxanty non l’aveva mai visto e gli venne presentato come il Prof. Pestelli, l’esimio scienziato mandato da Lauriana la "sapiente", colei che tutti conoscevano come il vertice assoluto dello Stato appena dopo Ronin, La scienziata, il genio della fisica quantistica, colei che conteneva i segreti della vita e della morte, del passato e del futuro. Mah! Lauriana. Il capo dei cospiratori. Così tutte le anime libere cantavano all’unisono in nome della libertà. Sento un aria fresca e delicata solleticarmi il viso, riccioli di vento scherzano con la mia pelle mentre petali di rose rosse danzano attorno al mio corpo, profumandolo. Guardo le mie mani e vedo il sangue pulsare attraverso le vene trasparenti, tutto il mio corpo è come cristallo puro ed io posso vedere la mia mente formare pensieri e parole e il mio cuore pulsare. Danzo. Mi piego a destra e poi a sinistra e infine mi inchino ruotando leggermente i piccoli piedi, note musicali escono dalla mia bocca e l’eco sparge per lo spazio intorno una dolce musica, i fiori si chinano formando un tappeto delicato così che io possa sfiorarli nel mio fluttuare sulle punte... Gocce di rugiada si lanciano dall’alto trillando di gioia e cadendo sulla mia piccola bocca socchiusa, per dissetarla. Non è un sogno...fa' che non sia un sogno…….
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Capitolo 12 di Azzurra Collas
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Lunedì 20 aprile 2007, informativa dell’In.P.R. S.C. (InterPlanetary Rebel Spies Centre), immediatamente secretata dall’In.P.F.B.I. , era giunta attraverso canali imprevisti e imprevedibili: - ATTENTATO IN BASILICATA, 1000 POZZI DI PETROLIO IN FIAMME. -. Bene in evidenza la dichiarazione dei terroristi ecologisti Ryan Batesan e Betta Tennison Castelli: - DISTRUTTA BASILICATA E TERRITORIO CIRCOSTANTE. IMPEDIREMO ALTRE TRIVELLAZIONI CROSTA TERRESTRE E PIANETI VIA LATTEA, RIVENDICARE ENERGIA LIBERA PER TUTTI. ENERGIA LIBERA. ENERGIA PULITA. ATTENZIONE, ATTACCHEREMO DEPOSITI IDROGENO PRIVATIZZATO E CENTRALI ENERGIA NUCLEARE PRESUNTA PULITA. ENERGIA LIBERA ENERGIA PER TUTTI FONTI ENERGETICHE ALTERNATIVE. -. .:dice Lauriana : I ribelli sono ancora forti e numerosi. .: dice Astrolabia: Lauriana, ti leggono anche, se vogliono. Ma che avessero scelto di distruggere, loro notoriamente ecologisti, la parte meridionale di un paese fiorente, additato come una sorta di paradiso della diversità biologica, che aveva escogitato un sistema di protezione dei pozzi di petrolio sotto immense cappe di vetro rivestite di zolle di terra con erbe aromatiche, alberi padri e fiumi edenici, era rimasto un mistero per tutti. Per tutti loro, ovviamente. Gli altri, i più, i benpensanti accomodatisi prima sui cuscini insozzati dal petrolio dei tanti Ronin, centuplicati dalla brama di profitto, ora ripulitisi ai soffi dell’idrogeno privatizzato… ecco insomma, come sempre il mondo benché interplanetario, intergalattico, interuniversale, diviso in due: i puri, gli impuri. Lauriana, per un riflesso condizionato che ormai accompagnava l’attivazione dell’ipertablet, rilesse il comunicato che le aveva lacerato il cervello e il cuore. L’aveva secretato con le tecniche che le aveva insegnato Asian. Che Ryan e Betta avessero compiuto quell’attentato era incredibile per chiunque. Non ne avevano i mezzi, non avrebbero potuto neppure avvicinarsi ai pozzi, visti i sistemi di controllo dei costosissimi giardini edenici di cui sopra. Il sospetto si era subito diffuso tra loro. L’unico dubbio era questo: Quale dei Ronin? Ma neppure era possibile formulare il dubbio, bisognava esercitare un doppio salto mentale, pensare il dubbio pensando altro, per sfuggire alla verifica dei droidi. Li vedevi arrivare in massa con la loro buffa e terribile determinazione di macchine da guerra vagamente umane, ectoplasmi ad espansione di contatto, eccoli stringere nell’angolo il cervello con la loro presa delicatamente telepatica: registrare- inviare report- ricevere ordine- annientare. Figurarsi preparare un piano che richiedeva un’elaborazione mentale e materiale tanto complessa. E tutti sapevano che i puri erano degli inguaribili ingenui, era il loro punto debole. .: dice Lauriana: E’ chiaro che si tratta di un falso, cosa possa guadagnarci il Ronin di turno per la mafia di turno, è da scoprirlo. .: dice Aldous: scoprirlo è la nostra missione. Debole, debolissima, come la linea piatta di un elettrocardiogramma dei tempi andati, era giunta la smentita dai server ribelli. Alzando con grande cautela il livello della ricezione, Lauriana aveva captato il messaggio. Non era dei ribelli, non avrebbero potuto muovere neanche un clik, era della poco nota Delegazione CEI (Centri Energetici InterStellari). Bisognava pur credere a qualcuno. Tutto poteva essere il contrario di tutto. Situazione difficile da decifrare. Andare a senso, quel senso acuito dall’esercizio della doppiezza, il senso della verità celata nel fondo della coscienza, un arcaismo davvero poco usato, in ogni senso. .: dice Lauriana: L’appuntamento è al Falling Star. Parola d’ordine: Valentina. Accettare un dossier come dono di compleanno. .: dice Susy: Falling Star… conosco questo locale. Ti aspettiamo qui… C’era andata, dunque. Il Falling Star lanciava musica nell’etere. Valentina era lì. Festeggiavano il “suo” compleanno. Un piccolo tubo semitrasparente, traslucido, a forma di cono rovesciato, istoriato di strane parole. - Curioso soprammobile - disse. Gli altri risero. Valentina disse: - Guarda oltre. -. Mah… Questa la consegna. Da chi, per cosa, tutto da decifrare. Un segno, un soffio d’aria primaverile, come le era capitato in quello strano giorno d’inverno, quando un certo Mac…, vabbe’…insomma… un soffio l’aveva catturata definitivamente: Phononi. Verità e sentimento? - Ma cos’è - pensò - mi lascio irretire dalla verità o dal desiderio? -. Il dossier era scivolato nelle sue mani tra gli applausi dei presenti, un dono di compleanno, innocente, poi tutto si era fatto silenzio attorno. Nessun pensiero. Nessun dubbio. Nessuna domanda. Il dossier al sicuro. Come fosse riuscita a raccontare tutto l’antefatto ai convenuti intorno alla Torre, rimaneva un mistero. Aveva detto del dossier nascosto nel libro, ma non aveva accennato all’antefatto. Tuttavia tutti avevano captato, capito. Effetto Torre, pensò. E pensava bene.
.: dice Asian: la parola chiave, Lauriana. Ma racconta… Nei laboratori di tutto il mondo, di tutti i mondi su cui si sentiva l’influenza di Ronin, si stavano ricercando nuove forme di energia pulita, energia nascosta chissà dove o, forse, alla portata di tutti… come avevano ipotizzato alcuni scienziati. Alcune particolari ricerche erano state ad un certo punto abbandonate ufficialmente, gli scienziati impegnati su quei fronti di ricerca, persone di grandissimo livello, si erano chiusi, almeno così si diceva, in un volontario silenzio mediatico. In effetti nei laboratori di Ronin si lavorava alacremente da decenni, con pause, è vero, ma anche con passi avanti secretati rigorosamente. Laura era riuscita, grazie al suo pass, ad inserirsi in alcune cricche mediatiche, guardata a vista ovviamente, per i noti motivi, ma qualche eccezione serviva al potere, che, grazie a qualche freelance resistente a tutti gli avvertimenti, poteva parlare addirittura di eccessi della libertà di stampa. Laura era notoriamente una di questi resistenti, presente a tutti i convegni scientifici ufficiali, dove aveva avuto modo di creare una sua cricca con la Hack, Pestelli, F., una cosuccia rispetto alle grandi cricche pagate dai Paesi più ricchi e potenti, tuttavia con radar a larghissimo raggio, radicati in un’intelligenza educata dalla discriminazione intellettuale e dalla segregazione in isolati piccoli spazi di veritàXfinzione. La parola d’ordine era: arrivare prima! Il destino dei mondi era affidato alla scoperta di energie pulite sfruttabili senza eccessivi costi di estrazione e gestione. Tutto ciò valeva bene una guerra, magari anche più d’una. Fredde, preferibilmente. Tutto ciò valeva bene l’esercizio del potere ad ogni costo, dalla ribalta mediatica, ai campi di golf, ai salotti buoni, ai tavoli di poker, alle alcove pubbliche e privatissime. Dalla sua ultima visita dei suoi emissari a Kuberia, Ronin aveva avuto notizie confortanti. Alcuni conflitti si erano conclusi con la totale eliminazione di puri e impuri. Un sollievo per chi doveva costantemente aggiornare elenchi interminabili di sostenitori e detrattori, elenchi, per altro, mobili come le sabbie dell’oceano. Anche la Torre era sotto controllo, ci pensava Astrolabia. Benché fosse la più controllata tra i controllori, continuava ad essere una risorsa insostituibile. - Soprattutto per il tuo letto, Kubera – aveva tuonato Ronin…distratto solo dalla vista del tubo in cui ruotavano vorticosamente i sospirati phononi. Aveva fretta, molta fretta. Quello che stava succedendo alla sua doppiezza rischiava più d'ogni altra cosa di far crollare il suo dominio.
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Capitolo 12 di Asian Lednev
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Il tempo di andare.
Sono condannato ad andare. Non posso restare. L'interno di questa stanza mi va ormai stretto. Ricordo di avere letto una poesia di Shelley. Mont Blanc il titolo. Ricordo di avere letto anche che qualcuno l'ha definita un'epica della distruzione ineluttabile. Ma quello che, ricordo, mi colpì erano queste parole: "dalla terra nasce pensiero". "Le montagne insegnano alla mente che sa intendere" dice, e in questo caso insegna l'impossibilità di abitare quello spazio. Aelita mi ha insegnato ad abitare su più dimensioni, ma non mi ha mai ancora perché lo dovessi fare. Il mio viaggio è come ricominciato da un risveglio. Non ricordo da dove e perché mi fossi addormentato. Mi ricordo solo che dovevo andare. Sto viaggiando da tempo ormai e ho sonno; ho come il desiderio di volermi riaddormentare. Di lasciare il tempo fluisca sul mio corpo. C’è chi tutto il tempo lo passa cercando di dare un ordine, di rendere leggibile una complessità enorme, un caos globale che lascia solo credere di poter essere governato da un possibile ordine. Ma in fin dei conti tale ordine, possibile, può anche essere intuito da una mente che accetta di scorrere sulle forme, sui fenomeni del quotidiano, con sguardo curioso, umile. Può intuirlo solo se si accende una visione. Con questa fuga nelle varie dimensioni, merito di Aelita, ho alla fine intuito qualche cosa. E cioè che non stavo scappando da un pericolo esterno. Ma stavo andando incontro ad una idea che riguarda intimamente la mia stessa natura: l’uomo è la natura che prende coscienza delle proprie forme del sé. Paesaggio, natura, architettura del metaverso mi hanno insegnato che lo spazio può insegnare all’uomo delle cose che lo riguardano intimamente. Aelita mi ha raccontato che tempo fa l'umanità pensava grosso modo che il metaverso avrebbe esercitato un’azione negativa, repulsiva, sarebbe stato il luogo della negazione biologica, perlomeno della vita umana. La torre ha negato tutto questo. Dice che passavano ore ed ore nel metaverso senza mai avere sviluppato l’idea di abitarlo. Non distoglievano mai lo sguardo dal proprio essere umano. Non capisco come mai, ma davo per scontato la nostra condizione attuale. La torre, la sua esperienza, mi ha cambiato tutto questo: un terreno fisico e mentale per ricordarci che la Torre deve abitare in via permanente i nostri pensieri, non tanto come oggetto di riflessione, ma come soggetto agente, come matrice. Matrice di fononi? Quello a cui penso è qualcosa di simile alla teoria di XXXX sull’origine della vita. L’argilla, in particolare il Caolino, si organizza in cristalli vermiformi, simili a matrici tipografiche che potrebbero aver funzionato da calco per le prime sequenze di acidi nucleici. Per me la Torre, è un po’ questa “argilla vivente”. Basta colare in essa per esserne formati.
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Capitolo 12 di piega Tuqiri
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- Mac, accidenti a te! – sussurrò, mentre lo vide dissolversi in un arcobaleno di pixel che evaporavano lenti. Aveva puntato tutto sulla possibilità di superare la frattura temporale, che lo divideva dagli altri, oltre che da se stesso, grazie allo Stalker che sapeva ricongiungere gli istanti in un eterno presente; ma lui si stava dissolvendo sotto i suoi occhi. L’impotenza divampava dentro una pioggia di polvere elettronica. Forse era un modo per preservarlo dal pericolo di una inopportuna rottura del silenzio, o forse era semplicemente un problema di sincronizzazione. Quante volte era capitato che le parole arrivassero ai destinatari prima di emergere alla consapevolezza di chi le aveva pronunciate? Le regole del metaverso erano sottoposte a vincoli diversi rispetto a quelle del mondo primitivo; spesso le due logiche entravano in conflitto e il possibile di un mondo diventava necessario in un altro. O impossibile, come in questo caso. E la speranza si liquefaceva in rassegnazione. “Solo non pensare produce il silenzio.” Avvertì il sapore di queste lettere colorate, familiari come il proprio volto solcato dalle rughe del sogno, inebriato da un miscuglio di sapori che gli penetravano la mente, indecifrabili ma raggianti di benessere. Una sinestesia, o forse solo una premonizione, indistinta, senza qualità e tuttavia già fin d’ora irrinunciabile. Lo dominava, ne pietrificava l’assenso in una morsa fatta di suoni cristallizzati che ondeggiavano nella sua mente, piattaforme cariche di stimoli e sensazioni amalgamate, speranze senza una méta definibile, come desideri avvolti da una solitudine ricca solo di mancanza. “Solo non pensare produce il silenzio.” Da dove arrivava questa magia? E dove era diretta quando gli aveva attraversato il cuore? Forse chissà, era stato scelto per accompagnarne il cammino verso il Destino che l’attendeva. O forse semplicemente le loro strade si incrociavano per colpa (per merito magari?) del Caso, prima che ognuno riprendesse in percorso solitario che l’attendeva. Non trovava una risposta, ammesso che laggiù, nell’abisso del più profondo silenzio fosse concepibile averne una. - E allora che silenzio sia. - ripetè la sola voce dell'anima. Un dialogo tra sé e sé, parole non pronunciate; neppure pensate. Un incredibile pensiero senza estensione, senza passato e presente, ma con un futuro possibile che doveva però diventare necessario per non morire. Ecco come lo spazio e il tempo potevano essere ignorati, come la battaglia futura poteva venire risolta col suo aiuto. L’energia era imbrigliata nel codice non ancora trafugato, nel silenzio di un’onda di quasi-particelle senza dimensione, senza prima e senza dove. Il ricordo proiettato nell’oltre, che fosse il domani o l’altrove non importava. Ricorderò io stesso il segreto, sarò io il suo stesso teleport. Silenzio colmo di energia, racchiusa in un’assenza fatta di attesa. - Alla faccia tua, Gene C. Ronin! - L’urlo gli esplose in gola prima di allargarsi in un sorriso multicolore. In fondo si rimane pur sempre dove si è da sempre. Mise “midnight”, volò fino alla scogliera a picco sul mare, si sedette lasciando che le gambe penzolassero nel vuoto. Il riflesso di un’onda si amalgamò in un bagno di silenzio con quello di una stella lontana.
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Capitolo 12 (e ultimo) di MacEwan Writer
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Ero rimasto stordito dal crash. - Cosa diavolo è successo? - dissi appena riavutomi. Aprendo gli occhi vidi Alan Macbeth impegnato a controllarmi il polso con espressione livida. - Uno shock energetico. Come si sente? - - Oh, benone - feci io, cercando di districarmi tra cavi e cavetti della navetta a stringhe, il visore e i sensori RV di Metaverse. - Avevo appena messo piede di là per riprendere il filo della situazione… Non ci stavo capendo nulla. - - Beh, adesso sembra che ci siano problemi con l’apparecchio della dottoressa Sunborne…- - Cavoli. - Cercai di mettermi in piedi sollevandomi dalla poltroncina RV e mettendomi sui gomiti. Ebbi un giramento di testa. Lo sbalzo spaziotempo-virtuale era stato eccessivo. - Accidenti, accidenti, accidenti! - sibilai. Cosa stava per succedere in quel punto tra spazio, tempo e virtualità? Dopo la surreale riunione di personaggi mai visti prima, a parte il famoso Asian, il creatore stesso della Torre e Lauriana. Lauriana incontrata nello spazio mentre indagava a sua volta sulla Torre-satellite… E ora era chiaro che anche lei era lì per quello. Era lì per la Torre di Asian. Gli altri erano solo nomi ascoltati nei riecheggiamenti delle Torri, della Torre-Satellite. Facce intraviste come sovraesposte, sovrapposte ad altre, facce sempre mutevoli, difficilmente riconoscibili. - Professore… Mac… Ti senti bene? - - Bene è una parola grossa, Scottish - sospirai rassegnato. Ritentai di tirarmi su. Ok. Questa volta ci riuscii. Mi misi in piedi e barcollando in maniera sicuramente piuttosto ridicola, appoggiandomi a qualunque cosa passo dopo passo, arrancai verso il telefono. Alan arrivò con un balzo. - Faccio io - disse. Compose il numero. Mi passò la cornetta. - Delia? Sono Lorenzo. - - Hey Lawrence! Come va?- chiese con voce allegra e squillante Delia Sunborne. - Eh, stavo meglio prima. - - Hai una voce da oltretomba. - - Ho una voce da oltremetaverso oltretempo…- cercai di scherzare. Delia inizio a preoccuparsi. – Lawrence, che diavolo hai combinato? - - Io? Tu cosa hai combinato. La tua diavoleria mi ha quasi ammazzato. - La dottoressa Sunborne ammutolì per un paio di secondi. - Ma stai bene? - - Più o meno. Più o meno. Senti Delia, devi venire qui al più presto. La navetta a stringhe è saltata. Proprio nel mezzo delle mie indagini. E’ un problema. Devo rientrare assolutamente di là.- - Beh, a parte che secondo me adesso te ne dovresti stare un po’ tranquillo… Lo sapevi che è una cosa sperimentale e anche piuttosto segreta… - Delia era tra lo spaventato e il nervoso. - Comunque… Va bene, dai, vengo al più presto. Sei al dipartimento, vero? - - Io e Alan ti aspettiamo con trepidazione. Non ci muoviamo da qui. - - Va bene. Ciao. - Mi appoggiai con le mani alla scrivania, abbassando la testa. - Non tutti i mali vengono per nuocere, Alan. – dissi. - Almeno vedremo una bella donna in carne ed ossa, non sempre e solo quelle gambe virtuali a stecchino di Second Life o Metaverse. – Delia Sunborne fece irruzione nel laboratorio come un ciclone, con l’impermeabile dal collo alzato aperto e i capelli tutti scompigliati dal vento. Si levò gli occhiali da sole molto Audrey e si fiondò verso di me. Ogni volta che la vedevo mi faceva pensare a un ritratto di Dante Gabriel Rossetti in versione new wave, con i capelli rosso tiziano corti e il ciuffo alzato, il volto un po’ meno squadrato della Sybilla Palmifera. Delia naturalmente non indossava abiti drappeggiati: il suo abbigliamento standard si basava su camicette con tailleur e delle sobrie chanel. - Come va Lawrence? Cosa è successo? - - Salve, dottoressa Sunborne… - disse Alan con voce mogia, visto che Delia l’aveva totalmente ignorato. - Oh! ciao Alan… - - Beh - dissi io, che non mi ero ancora del tutto ripreso – ho preso una bella sberla. Ero nel bel mezzo di un incontro, che poi era già una situazione strana di suo… - - E poi? - - E che ne so! All’improvviso c’è stato un crash di sistema. Ma la domanda è: da dove è partito il crash? Dalla navetta a stringhe, dal sistema di Metaverse, da qualche altra parte? - La dottoressa Sunborne si era messa all’opera: aveva staccato alcuni pannelli dagli armadi a colonna che riempivano quella stanza dedicata esclusivamente alla navetta. Aveva indossato dei guanti sterilizzati e tirato fuori dal tascone dell’impermeabile un astuccio pieno di attrezzi minuscoli. Prese una pinzetta e con questa prelevò da uno scomparto dell’astuccio due microchips. O almeno. Sembravano. Li appoggiò ad un rack e quelli iniziarono a muoversi come degli insetti. Dato che la fissavamo a bocca aperta disse: - microrobot diagnostici. - Delia Sunborne estrasse dalla giacca anche una specie di palmare e si mise a scrutarlo. Ogni tanto si sentiva qualche bip o altri piccoli suoni. Era entrata nel suo mondo e non ci degnava di uno sguardo né di una parola. Ogni tanto vedevamo i microrobot emergere dalle apparecchiature della navetta per poi rituffarsi tra schede, cavi, bobine e chissà quale altra diavoleria progettata e assemblata da Delia e dai suoi assistenti. - Temo che per un bel pezzo dovrete rinunciare alle vostre scorribande nello spazio-tempo - sentenziò Delia a un certo punto. Io che ero ancora frastornato dallo shock mi lasciai andare del tutto sul divano sul quale mi ero adagiato, con un effetto percepibile – immagino - simile a quello di una diva del cinema muto, eccetto che per la mano alla fronte. - Cosa è successo, Dottoressa? - chiese timidamente Scottish Play. Delia ci pensò per qualche secondo, probabilmente per trovare un linguaggio comprensibile a dei banali sociologi. - La navetta a stringhe ha subito un’alterazione. - - E’ stato questo a causare il crash?- Delia rispose nervosamente – Forse. O forse no. La causa del crash potrebbe essere stata un’altra, e questa a sua volta aver causato l’alterazione della navetta. - - Quindi non sappiamo molto, se non che la navetta a stringhe in questo momento è fuori uso - dissi stancamente. - Sì. È così. Ma si possono anche fare delle supposizioni. Per ora. - La dottoressa era parecchio seccata. Si poteva capire. Gli avevamo sballato la sua preziosa navetta sperimentale… Non osavo pensare quante storie avrebbe fatto il rettore Campbell. Sarebbe stato meglio mi prendessi un periodo di riposo, prima che mi ci mandasse lui, a riposo. Magari eterno. Dato che Delia si era chiusa in un cupo mutismo, mi vidi costretto a chiedere. - E queste supposizioni… Quali sarebbero? - - Questi maledetti Phononi… - MI tirai su e mi appoggiai allo schienale del divano. - Che ne sai dei Phononi? - Delia si sedette su uno sgabello, di tanto in tanto dando un’occhiata ai microrobots. - Lawrence, secondo te ti avremmo lasciato usare la navetta a stringhe…senza nemmeno studiare cosa ci stavate facendo? Ho letto tutti i tuoi diari di viaggio. So dei Phononi e so che a me non risulta nulla di simile. Ma sai com’è… Ormai noi fisici ci siamo abituati alle sorprese. Phononi… Li chiamate così ma non hanno direi nulla a che fare con le quasiparticelle già conosciute con quel nome.- Come parlando tra sé, aggiunse: - Se esistessero probabilmente gli dovremo cambiare nome, chessò, “vocaloidi”, per non ingenerare confusioni… - - Quindi… Tu pensi che siano stati questi cosiddetti Phononi, o come accidenti li potremmo chiamare, a causare la panne della navetta a stringhe?- - Sì, sinceramente sì. Se esistono – e poi dovrebbero esistere anche le quasiparticelle sistemiche corrispondenti, una bella rogna - potrebbero aver causato turbamenti alle vibrazioni delle stringhe, provocando danni alla navetta semplicemente con la loro non prevista esistenza. - - Questa storia della Torre di Asian è tutta una bella rogna, cara mia. Cerchi di venirne a capo da una parte e c’è subito qualcuno che ti scombussola gli elementi del puzzle da un’altra. Francamente sono stanco. Avevo bisogno di tornare di là per…- - Ma su, di là dove? - mi interruppe Delia – Non ti rendi conto che non sai più nemmeno tu dove vorresti o dovresti o potresti andare? Un intrico di universi temporali, di ambienti virtuali diversi nel tempo, di dimensioni che non abbiamo ancora esplorato e nemmeno conosciamo. Di percorsi forzati che non vuoi percorrere… Lawrence, datti pace! - L’appello di Delia era veramente accorato. Non mi ero mai reso conto di quanto le stesse a cuore il progetto esplorativo che mi ero inventato per inseguire la misteriosa Torre di Asian. Involontariamente l’avevo messa davanti a prospettive inaspettate per la scienza e avevo alterato l’equilibrio delicatissimo che lei aveva dato alla navetta a stringhe. Mi calmai. In ogni caso non mi faceva bene agitarmi dopo lo shock del crash. - Vedi, Delia… Mi sono reso conto, visitando il futuro, che qualcuno cercherà di manipolare la realtà di quanto è successo. Di quanto mi è successo. Racconterà una storia diversa dal vero. Con un epilogo inventato di sana pianta. Farà di me un burattino contro il mio volere. Forse infangherà il mio nome. - Delia mi ascoltò, si prese qualche secondo per rispondere, come faceva spesso. Alan Macbeth ne approfittò e si inserì timidamente. - Ho visto anche io quei testi dei quali si parlava del professor MacEwan… Impropriamente. Veramente fastidioso. Ora è chiaro che lui voglia tornare di là - è vero, non sappiamo più nemmeno bene cosa voglia dire “di là”- per ristabilire la verità. - - Verità… Vi ricordate quella faccenda di G. C. Ronin? E quella del nostro stimato rettore Campbell?- Delia conosceva i nostri rapporti di viaggio a memoria.- Ecco. Ronin era vittima di un Avatar che si era reso autonomo, dedicandosi a combinare guai. Eppure il “vero” Ronin che giocava a golf in realtà era un tranquillo uomo di affari. Sicuramente con qualche piccolo imbroglio alle spalle, ma quello fa parte del mestiere… Campbell addirittura correva il rischio di essere considerato un terrorista. Voglio dire… Il rischio è sempre alto… Anche in un Universo solo…- - Mi stai proponendo di interpretare gli eventi non più nel quadro di un semplice Metaverso, ma di un vero e proprio Multiverso, se capisco bene… - dissi io. Delia per prendermi in giro si mostrò eccessivamente stupita. - Oooh! Ma bravo il nostro sociologo dei network! Sa anche cos’è un Multiverso! - - La Torre di Asian come sull’orlo dell’orizzonte degli eventi… - borbottai. - Però la Torre non è mica un buco nero… Altrimenti ci saremmo finiti dentro… - Delia mi squadrò. – Il fatto è che queste quasiparticele… questi… “vocaloidi”, chiamiamoli così per adesso… Potrebbero essere degli inibitori del fenomeno… Creando un tunnel tra universi paralleli… come direbbero in Star Trek … “stabile”… - - Ma accidenti, io ho viaggiato nel tempo con la tua stramaledetta navetta a stringhe… Non in Universi Paralleli! - - Questo è quello che credi tu. Se portiamo avanti l’ipotesi della Torre di Asian come sull’orlo dell’orizzonte degli eventi… Può darsi benissimo che quando la incontravi lo spostamento non avvenisse solo nel tempo… ti ricordi la torre satellite che ruotava nello spazio? Come un buco nero rotante…- - Stai cercando di convincermi che tutte quelle palle sul mio conto si raccontavano in un Universo Parallelo? - - Lawrence, lungi da me il volerti convincere. Specie di qualcosa che non so. Quello che so è che in questo Universo, la tua avventura “Torre di Asian” si conclude qui. Onorevolmente. Perché anche quando avrò riparato la navetta a stringhe tu non vorrai tornare a ficcare il naso da quelle parti, vero?- disse con tono perentorio da non lasciare spazio a ulteriori commenti. Tentai di balbettare. – Beh, io… - Delia fece un gesto secco con la mano sottile, come a scacciare una mosca fastidiosa. - Ma cosa diavolo pretendi, Lawrence? Hai risolto il caso degli Avatar che si sono resi autonomi dagli Emissari. A questo punto almeno sulla carta sai anche cosa sia la Torre di Asian e che effetti abbia: catalizzare suoni e fonemi di produzione umana trasformandoli in una forma di energia. Certo resta il misero di queste quasiparticelle, che voi avete impropriamente chiamato Phononi e che io ho provvisoriamente ribattezzato “Vocaloidi”. Che hanno messo fuori uso la navetta. Non credi che spetti a noi, in quanto scienziati, fisici, occuparcene? Va bene netective, ma sci-tective mi pare mirare un po’ troppo in alto per un sociologo.- Ridacchiò tutta contenta per la sua battuta. Anche lei si stava rilassando. - Te lo ripeto. Questo è il tuo ultimo capitolo a proposito del caso “Torre di Asian”. In questo Universo, che è il tuo, il nostro. Anche se non torni di là, ci saranno gli altri: Asian, quella Lauriana: loro potranno sciogliere gli altri nodi. Dici che sono in tanti e pieni di voglia di andare avanti, no? Se la caveranno. - - Sì, ma se fingessero contro la mia volontà che io fossi tornato di là… - - Ma che te ne importa, Lawrence? - - Credo che la dottoressa abbia ragione, Mac. Che te ne importa? Tu sai quali sono stati i tuoi contributi alla scoperta dell’identità della Torre. Direi che hai fatto abbastanza. Se in un Universo Parallelo ci fosse un MacEwan che si comporta in modo difforme da quanto faresti tu in questo Universo, un professor MacEwan che continuasse a indagare sulla Torre magari creando casini, dicendo cose che tu non diresti mai e facendo cose che non faresti… che ci puoi fare? Prenditela con Hawkins! - Scottish rise. Ridemmo tutti a quel punto. - Bene, io ritiro Cip e Ciop e me ne vado a casa. - La dottoressa Sunborne riprese i due microrobot con le pinzette e li mise a posto. - Delia, verresti a cena con me una di queste sere? - - Sei troppo acciaccato per fare questa sera? - disse lei. - Uhm. Direi di no. Non vorrei mai che spuntasse un altro me da un Universo Parallelo e ti invitasse lui: sai com’è. - - Va bene, allora passami a prendere alle otto. Orario di questo continuum spaziotemporale, mi raccomando. Astenersi Lawrence alternativi.- Guardammo entrambi Alan. Lui sorrise e alzò le mani. E’ sempre stato un giovanotto intelligente.
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capitolo
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13
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Aldous Writer
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Asian Lednev
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AtmaXenia Giha
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Azzurra Collas
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Margye Ryba
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piega Tuqiri
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Sunrise Jefferson
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Susy Decosta
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MacEwan Writer
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Alzataconpugno Tuqiri
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Deneb Ashbourne
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Titty Thor
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Capitolo 13 di Azzurra Collas
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Classified dossier La nota, intermittente, abbagliante, definitiva, illuminava dal multischermo l’ambiente cupo di Post Utòpia. I files ipercriptati non erano serviti a nulla. Qualcuno aveva spiato e fatto la spia. Un droide, forse, un troll, un nubbie dall’apparenza inoffensiva. Chi poteva sapere quale identità aveva assunto il delatore per captare la parola chiave, nell’istante in cui Aldous l’aveva lanciata nella memoria dei difensori della Torre, dove non era mai giunta.
Classified dossier E intorno un silenzio, indefinibile. Si chiese dove fossero andati, dove avessero trovato rifugio. Il dossier, secretato dai difensori della torre perché resistesse ad ogni tentativo di interpretazione, aveva subito l’onta della cremazione in uno nei tubi rotanti del Research Institute Phonons di Ronin. Il RIF era entrato nel panorama scientifico interplanetario con una campagna di comunicazione raffinatissima. Come tutto ciò che poteva sfuggirgli di mano, Ronin l’aveva cercato e ottenuto con la velocità di un rapace. Non lasciare nulla ai competitori, nessuna chance, nessuno spiraglio di difesa. Del resto la sua vittoria Ronin l’aveva già celebrata, un pool di scienziati aveva superato l’ostacolo dossier, ma la parola chiave gli consentiva ora di parare ai danni di una proprietà monca, benché sufficiente ad avviare la raccolta e l’attivazione dei depositi di phononi. Il “suo” mondo avrebbe avuto luce e calore per un tempo ancora sufficiente ad estendere il suo dominio, a rafforzarlo. - Il resto del mondo può andare a farsi fottere – aveva detto durante un meeting nella zona cupa, fragorosamente applaudito, ovviamente, come sempre, ma in particolare quando usava stringhe obsolete, care ai nostalgici. Lauriana sperava ora che in qualche luogo li avrebbe ritrovati. Il cammino insieme era stato lungo e sofferto. La gioia dello stare insieme si era spenta di passo in passo, all’uscita dalla riunione sotto la Torre, quando tutto doveva stabilirsi in caselle bene ordinate, qualcosa aveva ceduto nel meccanismo della costruzione. Si chiedeva perché, ma era accaduto. Chi possedeva la chiave, l’aveva vista cadere senza colpa in un qualche foro carsico della memoria, e l’aveva vista dileguarsi, impotente, nei depositi di Ronin. Recuperarla impossibile. Troppo tempo ancora, troppa fatica. Chiudere. Questo l’imperativo. Chiudere l’operazione. Resistenza passiva. Il destino della Torre abbandonato, ennesimo rudere di una onesta passione per il mondo, per la scrittura, per l’incontro tra persone e avatar. Ora un immenso spazio senza orizzonte davanti a lei. Un buio fondo e opaco alle sue spalle. Era così doloroso questo essere e sentirsi sola, schiacciata tra due pareti del tempo. Dove aveva lasciato gli enigmi del suo Tempo? Ronin, non più doppio, anzi saldato dal potere in un unico totem, incardinato dal potere nel sistema, con i suoi gerarchi che tramavano tra bombe e decreti, mentre lei, invece, lei che avrebbe dovuto essere lì, ferma nel sostenere la libertà di stampa, nel chiedere pubblicamente l’incriminazione delle mafie energetiche, nel sostenere la ricerca scientifica per un uso libero di una nuova forma d’energia pulita, ripiegata, bloccata in un unico gesto infinito, leggera e inconsistente perfino. Schierarsi, resistere, scrivere sapendo di poterne morire e, ora lo sapeva, sapendo di poterne svanire, ridotta a un’essenza inodore e invisibile, prodotta da una ciminiera iper-tecnologica, non diversa, non diversa davvero, dai forni crematori di cui un tempo aveva archiviato le macerie. Dove aveva lasciato tutto questo che affiorava in un’eco cosmica dal suo deposito memoriale, disperso come fiume in piena dopo la pioggia diluviante delle ultime stagioni? Ne aveva già visti, attraverso il display che Astrolabia, nelle sue fasi buone, graziosamente le concedeva di consultare, fiumi di memorie, di verità, di giuste cause dilagare in oceani, per riversarsi in voragini e disseccarsi negli archivi segreti di Kubera. Ora non c’era più Tempo, né Memoria. La Torre era espugnata. La Phonones & Energetic Company giganteggiava con le sue turbine estreme, le sue vibranti antenne protese a cogliere sussurri e grida, le sue ciminiere ancorate nel fondo dell’universo, alimentate da tutto il fiato dei mondi, compresso nei depositi rotanti, dove a tratti parevano affiorare profili umani, insieme a strane vibrazioni, o stridìi. Lauriana o Laura - ormai poco importava - aveva dovuto scoprire d’essere solo un riflesso della memoria di Astrolabia, un suo gioco di bambina, diventato da adulta puro gioco d’artista. Rivincita della “rigorosità scientifica” contro la “creatività artistica” o viceversa? Percorso capzioso, certamente. Che di tutto il narrato nulla fosse accaduto, tra un sospiro e l’altro dei due amanti, era possibile. Ma dentro di lei, pur così inconsistente da essere annullata da un click distratto, intanto era cresciuta un’esperienza, un sapere, una sete di giustizia che pur dovevano avere una fonte: la memoria di un altro, di un qualunque altro umano, o di una qualunque altra disumana creatura generata dalla materia nel suo perenne necessario divenire, forse. Era mancato un anello essenziale al compimento dell’azione di resistenza: Mac non era giunto. Mac non aveva attraversato il suo stesso orizzonte, almeno in quella ellissi del tempo. Quando si sarebbe verificata questa congiunzione positiva? Non era dato saperlo. Intanto Betta, Ryan, Melania, e tutti gli altri, i presunti terroristi ecologisti, condannati ad un eterno limbo mediatico, senza condanna e senza riscatto, perfino l’innocente Aldous, il lettore, perfino Asian, il costruttore di Torri. Lui, Mac, il net-ective, li attraversava tutti i tempi, aveva appreso l’arte della navigazione nel tempo lui, il mestiere di astronauta del tempo gli dava l’opportunità di scoprire trame segrete ed enigmi in cui bene e male s’intrecciavano in ambigui riflessi di verità/finzione, ma lei doveva ancora apprenderlo questo mestiere. Non aveva imparato abbastanza in fretta, e la sua missione era fallita. Sapeva che erano stati molto vicini, al punto da sentirne il fiato, il nome sussurrato alle spalle come un alito di primavera. Ma quella primavera non era mai giunta. Tutto sarebbe potuto essere, e nulla era stato. Mac non era mai giunto, o forse lei non aveva saputo intercettarlo, e quel tempo non si era compiuto. Asian aveva atteso invano, mentre intanto la Torre cedeva sotto il peso dei suoi echi di verità inutili, di enciclopedie superate, di arcaismi preziosi, gingilli ricercati per la carica energetica che sprigionavano. Come le strisce lattiginose che aveva visto srotolarsi dalla vagina di Astrolabia, per fondersi con le luminose fluide secrezioni del cervello di Kubera, si srotolavano dalla Torre lunghe lingue di un materiale lattiginoso, come di carta velina frusciante vergata da mani unghiate, lingue senza più suoni, protese a raggiungere chissà quali confini, quali altre terre o cieli o mondi virtuali. Il dossier si srotolava in linee senza senso per sempre, verso un orizzonte senza confini. Chi aveva compiuto quest’atto insano, chi aveva gettato il dossier nella rotativa sbagliata, mischiando per sempre in un pout-pourri incomprensibile la verità, condannandola ad essere pura energia fonica al servizio delle mafie interplanetarie? Ronin, la mente, certo, ma chi aveva materialmente compiuto l’azione? I sospetti la attraversavano come punte di balestra. Una guerra, totale e radicale, aveva già altrove liquidato molti passati, se ne nascondevano gli effetti nel fondo cupo e opaco alle sue spalle. Eppure si doveva ricominciare, da qualche punto. Quanti come lei attendevano che quello spazio senza orizzonte si definisse in celle ben misurate, per calarcisi dentro e assopirsi, aspettando che un nuovo tempo nascesse? Che un nuovo tempo si compisse? Il tempo della proprietà energetica si era compiuto in quell’angolo di universo. Ronin aveva trionfato, dal petrolio all’idrogeno, dall’idrogeno ai phononi, tutto gli era appartenuto, tutto gli apparteneva. Un uncino lanciato con la forza del vincitore in altri tempi possibili.
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Capitolo 13 di AtmaXenia Ghia
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Non doveva finire così, pensò Susy, poco prima di sentire l’ultimo contatto elettrico delle sue sinapsi. Vide il Falling Star perpendicolare davanti ai suoi occhi che restarono spalancati in un espressione statica di meraviglia. Come un automa al quale avevano disinstallato il programma d’azione. A lei tolsero l’anima. Ronin il bastardo, duplicato nelle sue tante personalità, aveva agito con la rapidità di un’intuizione. Attoniti si guardarono tutti in viso, l’uno con l’altro, un solo pensiero li accumunava. Chi era il traditore? Presto, molto in anticipo sui tempi, ci sarebbe stata the Big Vibration. Il piano dei ribelli prevedeva di posare, nei punti strategici di Post Utopia, grandi diapason che nello stesso istante, attraverso la parola chiave nominata, avrebbero emesso vibrazioni sonore le quali, producendo oscillazioni temporali avrebbero inizialmente provocato delle distorsioni spazio-temporali, e poi, alla potenza massima, le vibrazioni si sarebbero sostituite a parti delle proiezioni olografiche, fino a saturarle, spezzandole e diluendole in dimensioni temporali a più livelli. Il mondo celato dai mirror per secoli, sarebbe apparso così come realmente era. Ma chi sapeva di quell’incontro al Falling Star, sapeva certamente anche del piano e aveva letto il dossier secretato. La grande Torre era un intreccio di parole e di racconti, storie di vite di coloro che vi avevano vissuto intorno e dentro, rifugio delle anime elette, tempio della giustizia e della libertà, alcova dell’amore eterno, e si sgretolava ora quella Torre amata, ed appassiva come un fiore sotto il calore sprezzante del sole, e pezzi di quelle pietre cadevano al suolo come creature alate colpite a morte, diventando polvere. Chi sapeva? Chi aveva dato la chiave di volta al nemico? Chi aveva venduto i figli amati della Torre al padre genocida, colui che pretendeva di essere il Motore Immobile, il Taumaturgo, il maledetto tra i maledetti, e i suoi figli mai nati ora invocavano vendetta.
Le note del Bolero di Ravel si diffondevano come il sospiro di una donna languida in un crescendo sensuale, ed io osservavo dalla finestra della mia stanza che stava di fronte al letto dove riposavo, la campagna di casa mia. Era di un verde abbagliante, ed il cielo, che sotto l’effetto di un temporale in arrivo lasciava passare tra le nuvole lame di sole iridescenti, cangiava di colore come il susseguirsi di stagioni in rapida successione. Io facevo questo gioco, disegnavo e cavalcavo le nuvole che si piegavano alla mia fantasia. E come cavalli in corsa si percorrevano i cieli tempestosi, domando le intemperie, ordinando furiosi maremoti, facendo innalzare onde altissime e lasciandole ricadere come cascate, spruzzando schiuma trasparente tutto intorno, e se ciò che provavo poteva essere definita felicità, nessuno ne era padrona più di me. Ed ero pura tra gli innocenti di questa terra. Cosa ci faccio qui, in questa vita sospesa. Da quanto tempo questo ricordo non riaffiorava nella mia mente.
Gli innesti avevano inizialmente provocato in lei un blackout, paralizzando i recettori della memoria e lei si era ritrovata adulta con una vita prestabilita in ogni minimo particolare. La laurea in fisica quantistica, studio dei phononi e tutto quello che ruotava intorno alla new artificial genetic. Quando era accaduto la prima volta? Era alla Phonones & Energetic Company quando, guardando dentro un lettore di energie, le parve di vedere qualcosa, una scheggia di luce colpì la sua retina, provocandole un dolore fortissimo al lobo temporale. Dopo una prima sensazione di straniamento, proseguì le sue ricerche. Ritirandosi poi la sera, nel suo stanzino, si accorse di non poter aprire gli occhi senza che flash di luce colpissero il suo cervello. Si mise allora seduta nel lettino e, attratta da un rumore, volse lo sguardo verso la porta che dolcemente si aprì. Generalmente quando gli scienziati si ritiravano nelle stanze, le porte venivano automaticamente chiuse, impedendo così loro di poter uscire, Fece qualche passo incerto in quella direzione, la porta era socchiusa per un quarto, gettò furtivamente lo sguardo al di là, convinta che qualcosa nel meccanismo di chiusura si fosse inceppato e che se avesse provato a fuggire, avrebbe sicuramente pagato con la sua morte. Vide un prato... e nuvole nere come fumo di un camino incombere sui teneri fili d’erba trapassati dal vento una finestra di una casa di campagna in lontananza rifletteva un raggio di luce sui vetri. Senza che si muovesse di un passo, la finestra le si avvicinava lentamente, come nei film di una volta, quando per vederli si usavano strani occhiali e le immagini uscivano dallo schermo per entrare nei loro occhi. Fu allora che la vide… seduta sul letto che volgeva lo sguardo fuori dalla finestra guardando la campagna intorno… Incrociarono lo sguardo, stupefatte, smarrite.
Sono in piedi sul bordo della finestra della mia stanza e guardo in basso, i fili d’erba ondeggiano come mare in tempesta ed allungandosi afferrano le mie caviglie facendomi perdere l’equilibrio. Cado. La camiciola bianca si arrotola imprigionando le mie braccia. La pioggia che cade bagna il mio corpo appesantendolo e facendolo precipitare più velocemente verso il basso. Tocco il suolo e vedo le mie ossa frantumarsi, odo le parole fuggire dalla mia scatola cranica fratturata e vedo le mie carni sfilacciarsi. Il rosso del sangue bagna e nutre la terra come linfa vitale, restituendo alla storia il suo figlio eletto.
Basta! Basta! Fa che presto arrivi la fine! Ch’io non debba più essere regina del tempo!
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Capitolo 13 di piega Tuqiri
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Fu così che imparò a vivere il metaverso. A farne parte, sottraendo al niente uno spazio in cui galleggiare. Ad odorarne l’effluvio digitale fino ad inebriarsi. Ad amalgamare la propria anima a quella del mondo in cui era rinato, libero e attanagliato dal terribile esserci che lo avvolgeva. Come un fiore che non possiede alcun ego, in primavera sboccia e in autunno muore; come il letto di un fiume che scorre lento ed improvviso si interrompe nel salto di una cascata. Imparò a comprendere il senso della nuova vita, in cui tutto funzionava senza alcun impaccio e senza artificialità. Restò a lungo ad ascoltare il silenzio del proprio Spirito che si adagiava nello Spazio e nel Tempo, ne sfiorò l’oscura presenza, illuminandolo con la consapevolezza dell’immarcescibile bellezza di questa nuova libertà. Ora sapeva come fare per chiudere il cerchio col proprio futuro. Servirono pochi minuti per il backup totale e la crittografia dei codici. Il piccolo supporto con i suoi milioni di Terabite venne inserito nell’apposita fessura della serratura della "valigetta del generatore di mondi virtuali", come l'aveva battezzata Mac prima di fargliene dono. Solo lui ne era a conoscenza e solo lui era in grado di aprirla senza vaporizzarne il contenuto; solo lui poteva raccoglierla e farle compiere il breve tratto di strada che separava Asian dal nuovo se stesso. Finalmente il lavoro era finito, il cammino poteva arrestarsi per un po’, in attesa di recuperare l’energia consumata per salvare l’esistenza di questo nuovo universo nato dal sogno. Era felicità questa, la prima da quando aveva lasciato l’appartamento di Sun. Il sonno poteva entrare adesso ed occupare il suo spazio. Molto probabilmente lo scorrere dei suoi istanti avrebbe levigato la superficie dei ricordi, ammorbidendo le asperità e medicando le ferite aperte dalla lotta. Il risveglio gli avrebbe portato in dono un nuovo mondo da esplorare, passo dopo passo, istanti collegati ad istanti, eternità di un viaggio inframmezzato dal respiro di un’infinità di morti. Prese un foglio bianco e tracciò con gioia una linea orizzontale, generando il dentro e il fuori. Infine si adagiò nella propria stanchezza, che attendeva da lungo tempo; ombre tiepide al di là dello schermo abbassato. E là, oltre l’orizzonte, l’isola non trovata.
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Capitolo 13 Susy Decosta
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Non era facile appartarsi, non era facile staccare la connessione, non era facile sottrarsi. Questo avrebbe voluto fare Susy, la viaggiatrice, barattando l’apparente perifericità del Falling Star con l’altrettanto apparente vorticosità dei suoi viaggi. Il Kenia, Parigi, Bruxelles, per ricordare solo gli ultimi, e poi la riunione sotto la Torre, tutto per portarla lì, tutto per farla trovare di nuovo davanti a Carlos. Assisteva agli eventi come in trance, incapace di prendevi parte, paralizzata, non sapeva se dallo stupore, dalla paura o da uno indefinibile cupio dissolvi che la faceva sentire vicina e desiderosa di un epilogo, quale che fosse. Il profumo si espanse all’improvviso, “l’odore di realtà”, lo aveva chiamato Asian, ma il metaverso non aveva odori eppure il profumo era fortissimo. Ebbe solo il tempo di girarsi per vedere in un flash Ronin con la fialetta spezzata in mano. E lo rivide nella nave con cui avevano viaggiato insieme, vide le spianate di Kublai, il cielo opprimente di Post Utopia, la sua casa di Adrift, Asian che costruiva la Torre, Lauriana che le parlava amabilmente, Astrolabia che indicava una via, Mac che sfuggiva, Pestelli, Baby lì al Falling Star col dossier, Aldous che le leggeva nello sguardo ciò che Susy non aveva mai detto. Chiuse gli occhi con un sorriso, nonostante tutto. Concitazione. Valentina corre, piange le si getta addosso, la scuote: - Susy, Susy, Susy rispondimi! -. Aldous è pietrificato. L’odore è scomparso e con lui l’effetto paralizzante che ha prodotto in tutti gli avventori del Falling Star. Ora ci si può di nuovo muovere, si riacquista la coscienza. Ma solo per constatare che Ronin è riuscito a fuggire, la sua copia del dossier però è rimasta in terra, ma basterà? Ne avrà forse altre, o altre potrà procurarsene. Un senso di sconfitta pervade tutti. In terra c’è anche Susy, o quel che ne resta.
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Capitolo 13 di Aldous Writer
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Baby era arrivata alla chetichella. Anche lei aveva una copia del dossier e una parola chiave, e anche lei poté incrociare la chiave con quella degli altri e liberare le parole segrete contenute nel rapporto in mano sua. Ma per tutto il tempo, mantenne sempre un’aria pensierosa e grave. La porta del locale si aprì per lasciar passare un nuovo avventore, che si diresse verso il resto del gruppo con passo veloce. Il nuovo venuto vestiva un maglione dai colori sgargianti, e aveva con se una valigetta da viaggio nera. Si sedette e la aprì, tirandone fuori un plico uguale a quelli che già avevano gli altri. - Buonasera a tutti. Sono Marco Fanetti, direttore dell'istituto di ricerca Energetic. Spero di poter partecipare anch'io alla vostra riunione. - Aldous lo accolse cordialmente. - Buonasera, signor Fanetti. Vedo che anche voi avete una copia del dossier. Da chi lo avete avuto? e come siete coinvolto in tutto questo? - - Il mio é un istituto privato, disse Fanetti, ma siamo all'avanguardia nelle ricerche energetiche. Ho già previsto di usare il nostro network internazionale per diffondere rapidamente le informazioni che tireremo fuori da questo. E indicò la sua copia del dossier. - Sì - disse Pestelli - É importantissimo diffondere il più possibile le nuove teorie sui phononi e le loro implicazioni. Ma adesso, possiamo continuare per favore? - disse rivolto a Susy - É vero, é importante, molto importante - aggiunse Fanetti sollevando la sua copia - Mi date la chiave per il dossier? - - Ma lei non ha una sua chiave ? - chiese Aldous Fanetti fece un piccolo gesto particolare, quasi di stizza; un piccolo cerchio della mano stretta a pugno. - Purtroppo non mi é arrivata, é andata persa nel viaggio. - Susy guardava fisso la mano di Fanetti, ancora stretta a pugno, e quel suo gesto così caratteristico ... Era sbiancata in volto e stringeva spasmodicamente il bicchiere ormai vuoto. - Ma da chi ha avuto il Dossier ? - insistette Baby Fanetti proseguì, riprendendo il suo racconto e ignorando la domanda. - Ero già passato prima qui, al Falling Stars, ma non c'era ancora nessuno. Avevo urgenza di condividere con voi le mie ricerche e i risultati che sto ottenendo e poi riuscire ad integrarli con i vostri dati.- Fanetti si accorse che gli altri cominciavano a guardarlo sospettosi e a incalzarlo con le domande e fece di nuovo quel gesto strano con la mano chiusa a pugno. Stavolta il gesto fu ancora più elaborato e particolare. Con un fragore di vetri che si rompevano Susy, pallidissima, balzò in piedi rovesciando il tavolino e i bicchieri che c'erano sopra. Aveva allungato la mano e un dito puntava verso Fanetti mentre, congestionata, cercava di riprendere aria. Apriva e chiudeva la bocca in silenzio. Poi esclamò sempre indicando Fanetti. - Carlos ! - Con voce sopraffatta dallo stupore. In realtà, Fanetti e Gene Carlos Ronin erano la stessa persona, e venendo al Falling Stars aveva fatto la sua "mossa del cavallo"! Un silenzio improvviso seguì al rumore dei bicchieri infranti. Gli occhi di tutti erano puntati, pieni di sorpresa, su Ronin-Fanetti. I lineamenti di quest'ultimo si andavano distendendo, modificando la sua fisionomia, ma soprattutto assumendo un'espressione distaccata e crudele. - Non pensavo che mi avresti riconosciuto così travestito! - - Ronin ? - disse Baby - Alla fine anche tu sei venuto allo scoperto! Pensavi di riuscire ad ingannarci e carpire il nostro segreto? - - Quel segreto é mio ! Non é vostro ! - gracchiò Carlos - Asian doveva darlo a me, e non doveva scappare! Sono io che ho il potere e la tecnologia per poterlo sfruttare appieno! Sono io che so come controllare la distribuzione di energia! E sono io che so come premiare con una vita di lussi chi mi segue! Voi vi siete intromessi, e adesso ne subirete le conseguenze. Soprattutto tu, Susy, che non sei voluta restare alle mie condizioni! - Sei tu che ne subirai le conseguenze. - disse Valentina con un tono piatto da dietro il bancone, mentre premeva con un dito pulsante nascosto. Con un fragore improvviso, la porta e le finestre del locale furono serrate da lastre di acciaio che calarono come delle gigliottine. - Da qui dentro non uscirai Carlos, se non con le manette ai polsi o con i piedi davanti. Scegli tu! E tirò fuori un fucile laser da dietro il banco, puntandolo su Ronin. Gli occhi di Ronin si muovevano vorticosamente da un punto all'altro del locale, e da una persona all'altra. La sua mente procedeva a piena velocità, valutando alternative e possibili soluzioni. - E così mi aspettavate? - - Diciamo che ci speravamo - disse Baby che aveva estratto la sua pistola magnum e adesso l'accarezzava con delicatezza. Valentina era eccitata! Dopo tutto questo tempo passato in attesa di Ronin, finalmente era arrivato !
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capitolo
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14
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Aldous Writer
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Asian Lednev
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AtmaXenia Giha
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Azzurra Collas
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Margye Ryba
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piega Tuqiri
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Sunrise Jefferson
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Susy Decosta
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MacEwan Writer
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Alzataconpugno Tuqiri
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Deneb Ashbourne
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Titty Thor
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Capitolo 14 di Aldous Writer
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Adesso che sono arrivato al fondo della Torre, rivedo con chiarezza tutte le storie che ho attraversato nella mia discesa lungo il suo muro. Avevo iniziato per desiderio di avventura e conoscenza, e un po’ alla volta mi sono ritrovato a fare un viaggio nella mia coscienza. Come ho letto in uno dei fili di parole lungo le pareti della Torre, "le storie sono uno specchio in cui il lettore si riconosce." Non so se il dossier che è stato raccolto, pieno di informazioni provenienti non so bene da quale luogo e quale tempo, servirà ad arginare il disfacimento della nostra società per mano della Mafia dell'energia. Né so se i phononi generati dall'energia oscura dell’universo, riusciranno a coprire le esigenze dei popoli più poveri di questa Terra e della Terra futura. Però so che dentro di me si sono messe a vibrare corde sconosciute; facendomi partecipare e appassionare alle azioni di alcune persone eccezionali. Uno per tutti, Asian, nelle sue diverse incarnazioni. L'ho visto svegliarsi e, molto dopo, addormentarsi di nuovo. E in quel lasso di tempo ho potuto vivere nel suo sogno. Ma le persone eccezionali che incontravo non erano reali; erano ombre che ogni tanto si illuminavano di pensieri ed emozioni speciali. E poi tornavano a perdere la loro realtà e a trasformarsi nuovamente in fantasmi che si muovevano in una storia misteriosa. Ho esplorato la Torre, le sue pareti istoriate, le frasi e le storie create dai lunghi filamenti disegnati su di esse, stringhe di parole, che ho potuto leggere scendendo lentamente dalla cima fino al fondo della Torre. Lì dove mi trovo ora. Ho imparato che viviamo i nostri sogni dentro delle scatole. Piccoli, grandi mondi, isolati gli uni dagli altri. Qualche volta scatole contigue; altre volte racchiuse una dentro l'altra. Ogni tanto dei passaggi si possono aprire per travasare storie e personaggi da una scatola all'altra. E così, per un attimo, tutto sembra assumere significato, e questi sprazzi di consapevolezza ripagano gli sforzi sostenuti. Ho scoperto che esiste un'etica, una "fon-etica", attorno ai phononi e ai fonemi che compongono questo romanzo. Il segreto più nascosto é che la Torre é fatta delle vite di tutti coloro che hanno contribuito ad edificarla. Un gruppo di persone che si sono riunite e l'hanno riempita di senso attraverso i loro racconti: le "scatole" delle loro vite/racconti accostate e incastrate tra di loro. Alcune si interrompono, altre si chiudono, formando una incastellatura; un'architettura complessa e a molte dimensioni. E quando il romanzo finisce e la Torre si dissolve, le scatole si aprono. Come la pelle di bue di Didone che tagliata a striscioline sottili poté racchiudere la terra della futura città di Cartagine, così le nostre storie si srotolano e si dilatano fino ad abbracciare lo spazio di tutte le storie; alcune brevi, altre più lunghe. Storie che hanno comunque il valore della persona che le ha vissute e sognate, e ha deciso di regalarle al mondo. É il valore di questo spazio; perchè ogni suo centimetro è fatto di vita e non di morte: niente più confini, niente guerre, solo libertà che incontra libertà. - Baby, ci continueremo a vedere anche se il libro é finito? - - Sì, Aldous. - e gli sorrise - Non so bene come, ma lo faremo sicuramente. - - Qualcosa ci inventeremo! Grazie di avermi accompagnato durante questa avventura. Ormai la mia opera di lettore é finita. Sono arrivato in fondo alla Torre. Ho finito di leggere, ho provato anche l'emozione dello scrittore, e so benissimo che le nostre storie proseguono. Da qualche parte c'é una copia della Torre, i cui memi, i suoi filamenti di DNA, continuano a svilupparsi e a generare le storie del nostro romanzo. E forse altri personaggi ci sostituiranno... E poi, anche i nostri compagni di avventura... non vorrei perderli di vista, dopo aver avuto modo di conoscerli e apprezzarli. Dobbiamo assolutamente continuare a lavorare assieme! - Il nostro gruppo? Già! Cosa resterà del nostro gruppo, fatto di persone reali e virtuali, di viaggiatori e sognatori, di lettori e di scrittori? Ormai voglio bene a tutti loro! Con i loro difetti e le loro qualità, si sono dimostrati dei compagni di viaggio unici. Credo che resteremo uniti! I legami che si sono formati durante il nostro viaggio hanno formato una struttura solida, e si conserveranno nel tempo. Abbiamo creato una forma architettonica speciale. Forse sarà buffo pensarci come una torre umana, però la Torre é il nostro archetipo, e niente ci può descrivere meglio.
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Capitolo 14 di Susy Decosta
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Dove sono?
La struttura era molto grande. Una teoria di corridoi, porte, sale. Sala Madrid. Sala Roma. Sala Londra. Parigi, Lisbona, Istanbul. A Susy sembrava che tutti i suoi viaggi fossero condensati lì dentro, in quel momento. Lingotto. Chissà cosa voleva dire quel nome, chissà come era capitata in quello strano lungo edificio in una torrida estate. Le vetrine dei negozi brillavano di saldi, quanta merce di cui non aveva alcun bisogno! Percorreva quello strano edificio con un misto di pensieri, sentimenti ed idee. Era come se sentisse che era stato abitato da altri in una sua forma e vita precedente e molto diversa. Era un edificio lungo, lo stava percorrendo da parecchi minuti e non se ne vedeva la fine. All’improvviso si trovò di fronte ad una spirale. La via si avviluppava su se stessa e saliva e scendeva in una scala escheriana senza gradini. Sembra l’interno di una torre, pensò. Una torre, l’interno di una torre. Tutto quell’edificio improvvisamente le sembrò una enorme torre sdraiata. La Torre. Parigi, Roma, Brussel, il Kenia, la Patagonia. Capì tutto, anche se la sua mente non poteva capire. Non luoghi, né città. Solo stanze, sale della Torre che aveva percorso per giungere lo stesso posto da dove era partita. Susy, la viaggiatrice si era fermata.
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Capitolo 14 di AtmaXenia Giha
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Ci chiedemmo chi fossimo e verso cosa andassimo senza trovare altra risposta che non fosse: “Siamo l’anima errante della grande Torre”. La rivoluzione chiedeva il suo tributo di sangue. I piani erano stati scoperti e tutti i gruppi di ribelli erano in fermento per modificare i piani d’attacco. Il fattore sorpresa era saltato e ciò modificava non di poco le soluzioni disponibili. Solo Baby era calma, impassibile. E mentre nuove trame si progettavano, lei aveva ripreso la sua strada solitaria fino giungere alla sua prima destinazione. Ancora una volta i suoi contatti le avevano fornito preziosissime informazioni. La casa sorgeva su una collinetta, uguale alle altre per forma e per colore. Si era appena versato da bere, quando udì un fruscio provenire dalla porta dell’abitazione che dava sul retro. Con cautela si avvicinò alla porta appoggiandovi l’orecchio. Non sentendo alcun rumore, la socchiuse appena. Scrutò verso la siepe diritto davanti a lui e poi da sinistra a destra perlustrò tutto il giardinetto, ma non vide assolutamente nulla. Pensò che stava diventando troppo nervoso e che avrebbe finito col tradirsi, occorreva mantenere la calma. Presto tutto sarebbe finito e sarebbe entrato nella gloria eterna, lui da vivo e Ronin da morto. Stava per assaporare il gusto dolce di questo finale, quando la vide. Baby lo fronteggiava così da vicino che poteva sentirle il soffio del respiro. Mac sgranò gli occhi pieni di stupore e barcollò per qualche istante, lo sguardo si perse nel disprezzo di Baby, in cui si riconobbe negli ultimi istanti di vita. La sua scatola cranica era appena stata aperta e il cervello centrifugato. Baby lo vide cadere come un fantoccio di pezza. Gli sputò sopra e scomparve così come era venuta, e si preparò per andare a far visita a Ronin, La centrale scientifica ed operativa era infatti nascosta 10 piani sotto il palazzo dove Ronin custodiva il nucleo più prezioso del suo progetto. Appena arrivata, i sensori la analizzarono e riconoscendola la fecero passare. - Le truppe dei ribelli sono in fase di riorganizzazione - disse Mac a Ronin. - L’incursione al Falling Star li ha disorientati e ora i ribelli stanno cercando di elaborare nuovi piani, ma per far ciò occorrerà molto tempo - rispose Ronin. - Questo ci darà modo di poterli colpire al cuore ed annientarli definitivamente. Troveremo e distruggeremo la Torre - concluse con impeto. A quel punto Mac disse: - Ho una rivelazione da farti, che ti permetterà di sapere dove si trova la Torre e poiché io so chi è il capo dei ribelli, ti rivelerò il nome ed esso stesso ti porterà dritto alla meta. Ma voglio in premio qualcosa di speciale e di assoluto che dovrai concedermi. Stare al tuo fianco da tuo pari. - Ronin stirò le labbra in una specie di sorriso e pensò che avrebbe ucciso Mac, non appena egli gli avesse confidato tutto ciò che occorreva per sterminare l’ultimo approdo della resistenza. A quel punto Mac chiese di scendere nei sotterranei per accedere alla centrale operativa, spiegando che proprio lì e solo in quel luogo avrebbe consegnato a lui la chiave di volta per trovare la posizione esatta della Torre. Spiegò con zelanti parole che la sorpresa di quella rivelazione l’avrebbe ripagato della fiducia riposta in lui, permettendogli l’accesso alla zona più riservata della centrale. Arrivati a destinazione, Mac bisbigliò due parole all’orecchio di Ronin il cui volto diventò come cera, i vermi del suo cervello si protrassero fuori dalla scatola cranica avvinghiandosi e stridendo come suoni di ferraglia, eccitati e spaventati nel contempo, Ronin ordinò di prelevare il capo-scienziato e di portarlo immediatamente al suo cospetto. Un lampo di luce perversa passò negli occhi di Ronin. Aveva di fronte il capo dei ribelli e mai avrebbe immaginato che quella donnina di età avanzata che pareva inerme come un insetto, avrebbe avuto l’astuzia ed il coraggio di complottare contro di lui. Ora lei gli avrebbe consegnato il cuore pulsante dei ribelli e lui li avrebbe torturati fino alla morte per poi riformattarli e farne schiavi e ne avrebbe goduto di quella vittoria così come un bambino gode del nuovo gioco. Avrebbe lasciato le torture più feroci per quel miserabile insetto che aveva osato sfidarlo e avrebbe anche distrutto la Torre e con essa tutta la simbologia che aveva rappresentato nei secoli. L’universo sarebbe stato ai suoi piedi adorandolo e temendolo come il più feroce degli Dei. In preda ad un esaltato furore volse lo sguardo verso Lauriana, le si avvicinò e sibilando le disse: – Ora mi dirai dove trovare la grande Torre o inizierò a sfamare i miei compagni della tua carne pezzo per pezzo e ti assicuro che non sarà piacevole - Gridavano ora i mostri eccitati da quelle parole e si tiravano dritti come cani a cui era promesso l’osso migliore. Lauriana sorrise. Un sorriso fermo e sereno che non ammise repliche. Ronin entrò nelle sue pupille a spiarne l’anima e si ritrasse istantaneamente, atterrito. Ciò che aveva visto era la sua fine. L’urlo si diffuse per tutta la stanza, rauco e feroce. Roteò verso Mac sfilando le dita artigliate per colpirlo, ma tutto vibrava e ondulava, ondulava e vibrava, e Mac non era più Mac, ma una donna minuta col viso di pietra, la quale gli aveva appena infilato nel cranio un maledetto fonone. Ora lui conteneva il Grande Big Bang. La contromossa, di cui pochissimi fidati sapevano, era perfettamente riuscita. Dal corpo di Ronin si irradiavano suoni che si amplificavano mano a mano che si espandevano, si incorporavano e si duplicavano come una cellula riproducendosi in nuove vibrazioni. Tutto intorno era come una grande onda che scomponeva ciò che toccava, lasciando il posto a frammenti di immagini nuove. Ronin con le ultime forze cercò di afferrare Lauriana, ma Baby con un colpo di laser gli recise l’arto. Corse allora verso il sistema di proiezione olografica vocale per ordinare il controllo di difesa automatico, ma venne fermato da un tentacolo di luce che lo bloccò al collo. Dalle dita della mano rimasta uscirono dei sensori che urtarono il tentacolo, facendolo arretrare e, pur sentendo la propria dissolvenza, si precipitò al sistema vocale di sicurezza. Se fosse riuscito a nominare la password i software di difesa si sarebbero inseriti automaticamente, sovrapponendosi al sistema innescato dai fononi e ripristinando l’intero sistema. Non fece in tempo, cadde a terra fulminato. Il razzo di Baby aveva colpito il suo centro vitale. Il suo cervello non era che una massa di vermi carbonizzati. Intorno, intanto, il paesaggio mutava e gli uomini uscivano allo scoperto. Tutti coloro che avevano partecipato alla rivoluzione si abbracciavano piangendo di gioia. E Xxanty guardò Asian e in lui riconobbe una parte di se stesso. Clone mal riuscito di quel fanciullo, si sentì vicino al cuore del suo amico come il migliore dei fratelli. Intanto, tra dune di terra gialla, scheletri di civiltà passate emergevano tante torri, come tante erano le umanità che quel mondo aveva accolto e raccontato. Per terra un vendor semidistrutto emetteva le ultime scariche elettriche. La piccola donna dal viso di pietra e senza più lacrime, si avvicinò e vide che conteneva un oggetto a lei prezioso. Senza alcuna espressione vi cliccò sopra: - BUY- PAY- The Objet is in the inventory - Wear -
“Fai la ninna…fai la nanna…dolce cuore della mamma…”
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Capitolo 14 di Azzurra Collas
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La spiaggia di Maratea brillava al sole di luglio. Laura addormentata in terrazza, la terrazza rigorosamente sul golfo, sulla sdraio rigorosamente a righe, sembrava l’ultima lucertola dell’ultimo universo, a godersi gli ultimi raggi dell’ultimo sole. Altro che palazzo di Ripacandida, quest’anno si va a Maratea. Era felice. Il dottorato in comunicazione alla Graduate School of Art and Sciences della Haward University le aveva lasciato giusto quei pochi giorni di pausa. Aveva scritto una tesi modello, secondo gli esimi profffff. Una tesi-racconto. Wow. Erede di Orson Welles e di Jerry R. Ehman, l’avevano definita così. E lei non aveva avuto molto da obiettare. Il progetto aveva avuto una lunga gestazione, lunga e anche piuttosto agitata, come le sue scorribande nell’universo della comunicazione del XXI secolo. “Comunicare è il mio modo di essere”, questo era sempre stato il punto cruciale del suo profilo. Co-mu-ni-ca-re. Poche sillabe, un lungo, lunghissimo viaggio. Infinito, si diceva spesso. Aveva provato a segnare dei confini, ma da allora sconfinare era diventato il suo hobby preferito, ma anche la sua dannazione. Un certo giorno, ricordava, aveva provato a tracciare una mappa dei suoi viaggi e dei suoi sconfinamenti. Dannazione. “Il giro del mondo in 80 giorni” era ormai un reperto di fantasia arcaica, che pur trovava ancora frequentatori, in quanti avevano scelto l’esilio nella realtà materiale. Né giro, né mondo, né 80 giorni. Il giro un labirinto infinito e pluridimensionale, il mondo un groviglio di spazi interattivi, i giorni, ah! i giorni, quelli con il sole e la luna che sorgono e tramontano, per intenderci, non erano che istanti di un calendario da aggiornare quotidianamente, ad ogni scoperta archeologica o astronomica, ad ogni passo oltre l’orizzonte o, meglio, gli orizzonti. Certo, poi, in questo viaggio senza più confini spaziali e temporali, un istinto arcaico e ingovernabile le faceva cercare un luogo, un luogo dove riposare l’immaginazione e riprovare la sensazione del confine. Quando aveva lanciato Lauriana oltre il mondo reale, aveva quasi pensato di liberarsi dalla condanna dell’infinito e incontrollabile metaverso. Ma un ventaglio di vite le si era parato contro. Una sorta di vertigine l’aveva avvertita che doveva cercare degli approdi. Ed ecco che l’incontro con Asian le aveva offerto uno dei tempi e degli spazi in cui sostare. Una stazione di posta del XXI secolo. Una Torre, più che una torre un ventre dentro cui cercare e cercarsi. E dalla Torre era nata la parola potente: lattigine. Può una parola generare universi? Sì, doveva rispondere. Una parola Wow! Era una notte d’agosto, l’anno il 1977, una notte memorabile, che aveva segnato la sua vita, con la scelta di orientarsi verso il giornalismo scientifico. Pestelli, il suo amico non vedente, laureato in astrofisica a Trieste, aveva avuto la possibilità, grazie all’interessamento della Hack, di frequentare un master in astronomia alla Franklin University. Spesso la chiamava, al telefono, aveva mille esperienze da raccontare, il cielo il protagonista, stelle, pianeti, galassie, e da ciascuno di questi mondi sapeva far nascere un racconto, un’emozione, al di là di numeri incomprensibili, ma che certo per lui erano vangelo. - Laura…un… un… un… segnale…qui …tutti in subbuglio, incredibile… - Ehi, Pestelli, ciao, ma che succede, hai visto un ufo? Oh… scusa - - …in…in…incredible…- - Ehi, fammi capire qualcosa, stai bene, tu? – - Jerry Ehman, il professore, il mio professore… di astronomia…, qui alla Franklin, mentre controllava dei tabulati del computer collegato a Big Ear…il Grande Orecchio, Laura…, ad un certo punto lo senti che grida: Wow… - E allora…- - Capisci, l’antenna dell’Ohio State University, quella costruita negli anni ‘60 da Kraus per completare la mappatura del cielo… nella banda radio. L’eco dello Wow c’è l’ho ancora nelle orecchie, Laura…capisci un segnale Wow – - Eh! Sì, ma spiegami… accidenti… - - Siamo andati oltre i numeri, 6EQUJ5, capisci…siamo arrivati alle lettere, fino ad U, un'intensità tra 30,0 e 30,999, la più alta mai misurata dal telescopio. Valori molto vicini alla frequenza della riga a 21 cm dell'idrogeno, a 1420,405 MHz. Sono state trovate due possibili coordinate equatoriali: A.R. = 19h22m22s ± 5s A.R. = 19h25m12s ± 5s Entrambe le coordinate hanno declinazione =-27°03' ± 20' (epoca B1950.0) e ricadono entro il confine sud-orientale della costellazione del Sagittario. – - Ecco, comincio a capire, sono un po’ dura quando si tratta di coordinate stellari, ma ormai sono dentro la tua emozione, dai, racconta… - - Il radiotelescopio Big Ear è fisso e utilizza la rotazione della Terra per scandagliare il cielo. Alla velocità della rotazione della Terra, e data la larghezza della finestra osservativa del Big Ear, il telescopio può osservare un qualunque dato punto per appena 72 secondi. Ci si aspettava che un segnale extraterrestre venisse registrato per esattamente 72 secondi, e l'intensità registrata di quel segnale avrebbe mostrato un innalzamento graduale per i primi 36 secondi – finché il segnale radio non raggiungeva il centro della finestra osservativa – seguito da una progressiva diminuzione. Quindi, sia per la sua durata di 72 secondi che per la sua forma il segnale ha un'origine extraterrestre… - Va be’…scusa, ma devo approfondire, per ora mi sento un asino in mezzo ai suoni, oh, scusa tu ora, ti ho parlato nel mio dialetto… - - Eh…ma ho capito…anch’io mi sento un asino in mezzo ai suoni, ma i suoni stellari, cara… ti assicuro che è una musica, un concerto, un coro…sto con gli occhi…al cielo e ascolto…ascolto…le sento le voci del Sagittario… nel cervello, nel cuore…l’universo ci ha parlato…capisci…ci ha parlato… - - Anch’io sto con gli occhi al cielo, qui, per fortuna, le stelle ci sono tutte stanotte…anch’io sento un’armonia che viene da chissà dove, ma forse è solo un sogno, Pestelli, un sogno… - - Non sogni…Coleman, segni…numeri, capisci, numeri… - Lo aveva raggiunto per respirare l’atmosfera di quella conversazione con le stelle. Non aveva mai più abbassato gli occhi dall’universo, aveva studiato duro con Pestelli , frequentato tutti i convegni, conosciuto tutti gli scienziati… mentre attendeva un altro Wow, aveva cercato altri orizzonti che l’avvicinassero al Sagittario, che la spingessero oltre, partecipato a progetti, simulazioni, sperimentazioni. Pestelli era stato anche il primo che le aveva parlato del calore dei suoni. Stava andando a fondo, forse concretamente, dentro un’idea che gli costava notti insonni, l’aveva confrontata con altri ricercatori. Lei ascoltava il racconto di queste ricerche, come un bambino ascolta il racconto che lo porterà al sonno. E si addormentava Laura tra le stelle, per svegliarsi Lauriana tra altre stelle. Era stato così che aveva gridato Wow, quando le era giunto all’orecchio quel suono, Torre, con dentro un’eco: Asian. E poi la vertigine della discesa. La sensazione visiva e tattile della lattigine. E poi l’emozione del racconto: la Torre di Asian.
Il frammento se ne stava da tempo compresso nella sua memoria. Pensò che finalmente il momento di decifrarlo era giunto. Il dossier decriptato non era che una copia, un falso, il frammento era rimasto al sicuro nel suo deposito memoriale. Inattivo per difenderlo. Il tassello sarebbe andato ben presto al suo posto e tutto sarebbe stato pronto per la prossima storia, o vita. Restava il dubbio su come veicolarlo nel prossimo o remoto universo. Decise per la posta interplanetaria. Non doveva far altro che lanciarlo in una corsia temporale. Semplice, no? Sì, era davvero il momento. Mentre tutti si erano arresi, o defilati, o tirati indietro, o semplicemente saturati, lei aveva continuato a tentare. Ora aveva la soluzione, banale certo, ora che l'aveva trovata. Aveva vinto. Per carità. Vinto, era solo un residuo d'una vanità arcaica. Aveva salvato un'idea, e l'immagine che l'aveva generata. L'avrebbe così consegnata al futuro. Non era poco, si diceva. Ma quel tempo, quello spazio, in cui aveva incrociato Asian, Mac, Ronin, e tutti gli altri, non era sicuro. Ora il frammento aveva senso e valore, sì, era la chiave della Torre, il lasciapassare verso la verità, l'archivio della conoscenza, l'inchiostro per le rotative, il calore per il diapason. Ma non sapeva davvero a chi consegnarlo. Aprì la corsia temporale più libera, non voleva rischiare che un "undelivered mail to the mailbox full" annullasse l'invio. Ne andava del destino del mondo, benché neppure immaginasse quale.
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capitolo
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15
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Aldous Writer
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Asian Lednev
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AtmaXenia Giha
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Azzurra Collas
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Margye Ryba
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piega Tuqiri
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Sunrise Jefferson
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Susy Decosta
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MacEwan Writer
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Alzataconpugno Tuqiri
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Deneb Ashbourne
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Titty Thor
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Capitolo 15 di Azzurra Collas
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Notice, notice, notice. Da tempo non attivava lo schermo, le notices si erano accumulate nell’angolo destro. Rimase indecisa se ignorarle e curiosare nelle faccende poco promettenti del metaverso. Si decise ad aprirle, il solito imperativo categorico di dubbia provenienza. Le annullava con ritmo automatico, come si era ripromessa di fare come risposta ostile all’imperativo categorico. La notice del matrimonio tra Astrolabia e Kubera era lì tra le tante. Si era aperta con il solito lampeggiamento dello schermo. I nomi non lasciavano dubbi. Un invito, alle nozze, con foto e teleport incorporato. In un colpo d’occhio lesse “amore”,“fedeltà”, “eterno giuramento”. Capì che Astrolabia aveva vinto la sua battaglia e che Kubera aveva capitolato, troppi arcaismi tutti in una volta, non li avrebbe mai tollerati un tempo. Eh! l’amore, l’amore… - Bene – si disse – bisogna che ci vada, Astrolabia lo merita, e poi voglio capire come è andata… - Se Kubera tollerava, anzi adottava lui stesso, gli arcaismi belli, tondi e sonori di Astrolabia, qualcuno doveva essere stato sconfitto. Qualcuno, beh, diciamola tutta: Ronin! Sfogliò l’inventario, scelse l’abito giusto, un po’ folle, ma proprio per questo giusto. Le era caro, soprattutto. L’aveva indossato in una delle performance di Astrolabia, e lo trovò ripiegato con l’avatar come addormentato, ritrovò la memoria di quella che era stata per l’occasione la sua identità: una Lauriana dai capelli rossi e lunghissimi, formato performance, appunto, sull’orizzonte dello Ionio lucano. Osservò meglio la notice. Il teleport prometteva l’approdo in uno spazio sconosciuto. Come sempre prevalse l’inquietudine, poi la curiosità, poi il desiderio, poi come un delirio d’ignoto. Un click e via. Dove e quando da quell’istante non avrebbero avuto più senso, lo sapeva e lo temeva, ma era impossibile ed inutile resistere. La barra lentamente cominciò a formarsi con il solito laconico connecting region, era il momento peggiore, doveva misurare la potenza del suo i-pc, completare gli aggiornamenti, magari scoprire che il teleport non l’avrebbe portata da nessuna parte. Non sarebbe stato facile accettare il rifiuto, nel caso sapeva che avrebbe riprovato fino all’esasperazione, alla follia forse, perché era impossibile astenersi dal viaggio, una volta intrapreso. Nelle manovre di avvicinamento tutto le sembrò già noto. Non doveva poi essere a molta distanza spazio-temporale e tecnologica da Second Life. L’orizzonte ci mise un bel po’ a rezzare. Era sconfinato, un deserto baluginante, decisamente piatto. Apparve prima in tutto il suo sconfinato vuoto, poi a poco a poco globi di luce cominciarono a formarsi e a definirsi in putti rotondetti e sorridenti. Sparsi qua e là come pomi caduti dagli alberi dalle cime frondose, rigorosamente fantom, fissati al cielo in una sorta di ragnatela di radici aeree, affondate in una profondità che pareva contenesse mille soli, più di mille, certamente. Mentre si definiva l’insieme, i soli diventavano lettere, parole, intere frasi che avvinGihavano le radici e le nutrivano di una strana sostanza sonora, come una melodia bassa e costante, si sarebbe detto un ronzio, se il tutto non avesse dovuto essere letto in una sorta di visione beatifica, che non ammetteva cadute di tono e stile. La lucida pelle dei putti, osservata con la webcam, appariva cosparsa di microscopiche orecchie, come degli altoparlantini, per intenderci, che al ritmo di un respiro cosmico si aprivano e si chiudevano per ricevere e trasmettere ciascuno un infinitesimale frammento di quella melodia. Ormai pienamente dentro il paesaggio, Lauriana ne sentì anche il tepore, ne percepì il profumo d’ambrosia. L’Eden, pensò. Ma di quale universo, o metaverso, di quale civiltà. Doveva scoprirlo. D’altronde non era lì per caso. C’era un matrimonio, aveva ricevuto un invito. Provò a prendere contatto con i putti sorridenti, ma erano lì solo per respirare sorridendo, evidentemente. Ebbe la sensazione che avrebbe fatto incontri felici, magari un Fabrizio, o una Melany e Susy e Xxaanti e Aldous e...Mac. Aprì la mappa, e seppe dove dirigersi, una massa di punti luminosi catalizzò la sua attenzione. Si diresse flying verso i puntini luminosi e si trovò seduta addosso ad uno in tuba e tight. - Ops – - Np, sit here, please – Beh, almeno sapeva che lingua parlavano. Ma “come” parlavano! Le vocali alte e le consonanti basse formavano una strana litania che si accordava perfettamente con l’armonia dei putti. Un respiro dalle sonorità perfettamente armoniche, un respiro unico cui tutti collaboravano “naturalmente”. - Ecco, ecco una parola dannatamente arcaica che qui, forse, stona. Ma...– In quell'istante una nuvola che dietro celava il bagliore di un sole la scelse per un sitting. Si sentì immersa nella luce come mai le era accaduto, luce lei stessa, luce e voce insieme, quella di Astrolabia che le dava il benvenuto nel suo Eden. Non avevano bisogno di parole, loro due, comunicavano da tempo per via telepatica, ma Astrolabia le parlò in quello strano english che graficamente immaginò potesse rappresentarsi così:
O a u i a a, e o e. E i o e
\ /\ /\ /\ /\ /\ /\/\/\ \ /\ /\ /\
h! L r n w l c m n j d.
- Astrolabia, carissima, da quando abbiamo bisogno di parole? –
- Da quando Kubera ha traslocato qui, per sfuggire ai suoi untempoamici. Qui non funziona nulla se non attraverso il suono delle parole, della musica, dei sospiri, ecc. ecc. Questo è il regno del suono, l’ultima version di una land a energia pulita, energia fon-etica. Ricordi i phononi, su cui si affaticava Pestelli? Ecco, qui siamo molto oltre, da quella fase ci separano molte ere… - - E i conflitti per il possesso delle fonti energetiche? Spesso comunicavamo su questo tema, ricordi? – - Si sono spenti, Lauriana, con la sconfitta di Ronin, il malefico manovratore di avatar. Stava per lanciarmi nel vuoto cosmico, rottame tra i rottami, come del resto era nel mio destino, poteva salvarmi solo un gesto d’amore, ma perché accadesse bisognava avere il coraggio di pronunciarla quella parola così arcaica da essere rigorosamente vietata. Ora, Lauriana, questo è un ambiente di pace, l’energia non è altro che l’effetto delle nostre relazioni armoniose. Vieni, Kubera ti aspetta. Avrai una sorpresa, una grande sorpresa qui. – Bisogna dire che Lauriana amava molto le sorprese. Astrolabia le offrì il suo lungo braccio splendente. Giunsero in un giardino di ranunculus fluitans, lievemente disteso sull’acqua chiarissima di un lago, forse un mare, leggermente increspato da un vento di fiati tiepidi e profumati. Kubera giaceva in tutto il suo splendore su un triclinio rosso fuoco, maestoso, regale, un dominatore di mondi, qual era. La colpirono i suoi occhi un tempo imperiosi e truci, a volte. Erano specchi azzurrini dentro cui si riflettevano reperti di tempi andati e perduti. Lauriana fu tentata di guardarvi dentro, ma temette di perdersi, e mai avrebbe voluto lasciare Astrolabia, senza capire di più di quell’Eden. - Lauriana… – Astrolabia la sottrasse alle tentazioni di quegli occhi – Guarda verso l’orizzonte…ti darò il potere di vedere oltre l’ultimo albero. – Lauriana si volse verso l’orizzonte. Un tumulto di emozioni, sensazioni, sospese tra incredulità e gioia per un evento che sapeva, in fondo, sarebbe prima o poi accaduto, si senti presa da un tremore diffuso per tutto il corpo, Astrolabia rise. Lauriana lanciò un grido, sentì ella stessa quasi con spavento un ululato provenire dalla sua gola, quella doveva essere la voce delle baccanti, immaginò di vederle correre senza freni per le loro montagne, e lei insieme a loro a celebrare chissà quale rito propiziatorio. L'ululato le ritornò in gola con la velocità di un bumerang: la Torre aveva risposto alla sua energia con energia più potente, in un turbine di fiato e sabbia. Poi si calmò il vento, la sabbia ritornò docile al suolo, ecco una sagoma, ma ancora incerta, come un miraggio oltre l'aria smossa da onde di calore. Asian le apparve sorridente, mentre le porgeva una mano e la invitava a raggiungere la torre. Ma lei era come ipnotizzata, impietrita, Asian si stagliava contro il profilo della torre. Indicava qualcosa, tra le righe che rivestivano la torre, così fitte da essere ormai quasi indecifrabili.- L'abbiamo salvata, Lauriana. Io e Lorenzo, capisci. Ricordi? Lui è partito, per sempre. Ascolta, il soffio di primavera che ti sfiora è una sua carezza, lasciata qui per quando vi fossi finalmente giunta. Credo che ti aspetti, ma difficile dire dove. Gireranno i tempi anche per il vostro incontro. - disse - Qui, intanto, vedi gli effetti della sua missione. - Lauriana si bloccò su quel "qui". Qui dove? Qui quando? Ma perché non godersi, pensò, addolcita dal soffio di primavera, perché non godersi quel tempo roseo e profumato, quel domani possibile contro il presente cupo e crudo. Pensò a Laura, era certa che anche lei stesse provando una gioia profonda. Avrebbe scritto The End con un sorriso. C'era tempo per il dolore, per l'angoscia, per l'ignoranza e il disincanto. In un altro tempo, che sperava di non dover attraversare.
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autori
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Aldous Writer
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Asian Lednev
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AtmaXenia Giha
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Azzurra Collas
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Margye Ryba
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piega Tuqiri
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Sunrise Jefferson
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MacEwan Writer
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Deneb Ashbourne
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Titty Thor
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FINE (forse)
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