Rosa, l'insegnante

Rosa si sta interessando del caso di Vanessa.

Rosa si sta interessando del caso di Vanessa.

Rosa si sta interessando del caso di Vanessa. Ne ha conosciute di ragazze sole, vorrebbe capire di più dei suoi problemi a scuola e in famiglia. Ricorda perfettamente quanto le ha raccontato Livia quando si sono incontrate. Ne aveva scritto una memoria sul suo notes, come documentazione cui attingere nel momento in cui avesse dovuto agire a sostegno di Vanessa, come docente sempre impegnata nell'affrontare problematiche giovanili. Ecco la ricostruzione fedele in forma di diario di quanto le aveva detto Livia:

"Livia fu svegliata la mattina seguente dallo squillo del suo cellulare, un numero sconosciuto, il suo “pronto” fu piuttosto titubante, ancora non si era ripresa dei brutti sogni di quella notte e avrebbe voluto riattaccare. Le rispose una voce maschile, dal
tono alquanto arrogante:
- Lei è la maestra psicologa, che dovrebbe visitare mia figlia Vanessa?
E senza aspettare alcuna risposta proseguì:
- Guardi che mia figlia è una ragazza normale, come tutte le ragazze della sua età, non ha bisogno di nulla!
Livia rimase interdetta, ma subito si riprese e con un tono di voce ferma gli rispose:

 -Non si preoccupi, vorrei vedere prima Vanessa e poi dovremmo parlarne sia con lei
che con sua moglie.

- Ecco! Mia moglie? E’ un’altra fissata che dice “Vanessa ha dei problemi”! Anche lei non la sa prendere e non la sa educare!
- Le ripeto, ci vedremo nei prossimi giorni!
Livia concluse la telefonata, aveva ben compreso che le difficoltà di Vanessa forse dipendevano da un disagio che la ragazza viveva in famiglia e quella telefonata le metteva uno stato di ansia e di preoccupazione. Lei era stata sempre entusiasta della sua professione di psicologa che svolgeva già da una decina di anni, da appena dopo essersi laureata, con ottimi voti. A volte si sentiva addirittura
privilegiata nel saper accogliere i racconti dei suoi pazienti, riusciva a comprendere le loro storie anche dalle parole non dette, dai silenzi sonori che svelavano parole senza voce. E riusciva a restituire ogni racconto arricchito di comprensione, libero da giudizi e sensi di colpa, in modo da permettere loro di fare nuove scelte e di aprire nuove frontiere prima invalicabili.
Quella telefonata le ricordava che non tutte le persone presentano problemi facili… quindi le toccava fare un bel respiro, armarsi di coraggio e mettere da parte ogni angoscia, soprattutto perché si trattava del caso di una ragazza e lei aveva una particolare attenzione e un buon approccio con pazienti dell’età adolescenziale.
Si vestì in fretta e furia, pantaloni e maglietta, e, dopo un caffè veloce, uscì dall’albergo e si diresse verso la scuola, dove Vanessa frequentava la terza classe della scuola media .
Era una mattina di autunno, dal sole ancora caldo. Si incamminò per quel budello di strada stretta e, dopo un centinaio di metri, sentì un odore di uova marce e un sapore acre di zolfo, in fondo vide un riverbero di colore verde, luccicante ai raggi del sole. Quella strada stretta terminava proprio in una piscina d’acqua termale calda a 45 gradi, grande quanto una piazza, che fungeva proprio da piazza, con le panchine, le aiuole e le poche case del borgo. Livia restò incantata ad ammirare quel luogo magico fra mille pensieri:
“Forse doveva essere proprio una delle piazze scomparse e invece di essere pavimentata e troneggiata da un monumento o da una fontana è stata interamente occupata da una vasca di acqua di colore verde smeraldo! Per essere una piscina termale, però, non c’è anima viva, alle 9! Che strano! Questo paese nasconde qualcosa di misterioso!”.
Si sentiva sola in quel luogo deserto, allora le ritornarono in mente Eva, Laura e anche il “Club delle piazze mancanti”, doveva assolutamente riprendere i contatti."

La scuola che frequenta Vanessa

In quel paese senza piazza, in quel silenzio interrotto solamente dal gorgoglio dell’acqua della piscina, a Livia venne da pensare ai ricordi della sua infanzia, alla piazza del paese dei nonni, le sembrò ancora di udire l’eco delle tradizioni e delle feste folcloristiche popolari, quando ad un tratto sentì arrivare una macchina che rallentava.
- Livia! Speravo appunto di incontrarti prima che tu arrivassi a scuola!
Livia sobbalzò di scatto, quasi spaventata, si rincuorò subito alla vista di Roxy, la sua cara amica d’infanzia. Si riprese e, sorpresa, le chiese:
- Che ci fai da queste parti?
- Dai! Sali in macchina!
- Allora, Roxy, dimmi, che ci fai in questo paese?
- Lavoro al giornale locale, curo la rubrica “ Come eravamo” e, proprio in questi
giorni mi è stata affidata anche “La cronaca del giorno”.
Ti vorrei presentare la situazione di Vanessa, in anteprima, prima che te ne parli la dirigente dell’istituto scolastico, che, di sicuro, avrebbe voluto mettere a tacere tutto per evitare che il suo istituto fosse coinvolto in questo fatto di cronaca e in pettegolezzi scandalistici.
- Ormai la notizia è esplosa! – Livia le rispose – L’ho letta sul giornale: “Un’alunna tredicenne della scuola del paese di Melata, ha tentato il suicidio, si è affacciata nel vuoto da una finestra del secondo piano e la bidella, Consuelo,l’ha afferrata e l’ha tratta in salvo, grazie alla sua prontezza di riflessi e il sangue freddo. “
- Appunto! – Roxy aggiunse – ti volevo dire che non ne sappiamo di più, se scopri qualcos’altro, mi faresti cosa gradita se me la riferissi in anteprima!
- Ok ci sentiamo, ora devo proprio andare!
Si erano perse di vista Livia e Roxy, avevano trascorso tutte le vacanze estive della loro infanzia al paese dei nonni, ora si sentivano di rado, Ognuna presa dai propri impegni di lavoro.
Roxy, di età qualche anno più piccola di Livia sulla quarantina, aveva intrapreso il corso di studi di archeologia, la sua passione, ed era volontaria presso un’associazione di donne, impegnate in una ricerca con l’obiettivo di smentire lo stereotipo che le donne non abbiano avuto alcun ruolo nell'evoluzione tecnica e culturale dell'umanità. Aveva allestito un museo virtuale con tanti materiali e documenti raccolti sulle donne e sugli uomini preistorici, smentendo il pregiudizio che considera le donne ridotte ad un ruolo domestico e allo status di madri. Era riuscita a reperire materiali che attestano come anche le donne inseguivano i grandi mammiferi, facevano strumenti e ornamenti, costruivano habitat ed esploravano forme di espressione simbolica attraverso le pitture rupestri.
Intanto Livia era giunta a scuola, dove l’aspettava la dirigente che l’accolse con un senso di sollievo e con la speranza che questo caso si potesse risolvere nel modo migliore sia per la ragazza, che per il prestigio della scuola. Questa era una scuola all’avanguardia, dove si sperimentavano le nuove tecnologie didattiche e, da qualche anno, alcuni insegnanti, seguiti da esperti attraverso corsi di formazione e di autoformazione, avevano attuato un laboratorio di clinica dell’apprendimento “Sum, ergo cogito”; una possibilità di sperimentare in modo differente la relazione educativa, in alcuni momenti del tempo scolastico, dove l’apprendere doveva essereuna rete di processi cognitivi ed emozionali, con l’accettazione reciproca non convenzionale dei ruoli, in un rapporto di fiducia tra insegnante ed alunno.
La dirigente illustrò a Livia questo progetto nelle linee generali e, ci tenne a precisare che questo tipo di laboratorio dava l’opportunità agli alunni di comunicare più liberamente e senza problemi, sia con i compagni che con l’insegnante. Poi le aggiunse:
- Ora le presento l’insegnante che ha condotto questa sperimentazione con un gruppo di una decina di ragazzi, tra cui Vanessa. Penso che le possa dire qualcosa in più su come questa ragazza abbia potuto compiere un gesto inaspettato e inspiegabile!
La professoressa Flora fu molto disponibile a parlare del laboratorio, soffermandosi sull’organizzazione del progetto “Sum, ergo cogito”, un setting realizzato in uno spazio diverso dall’aula, in cui tutti potevano esprimersi liberamente, senza essere giudicati o valutati per quello che si faceva o come lo si diceva. Compito dell’insegnante era leggere un testo letterario che doveva essere il “pre-testo” per le
conversazioni, un testo calibrato sull’età degli alunni, adatto a riflessioni comuni per attivare ricordi di vissuti e di esperienze che avrebbero facilitato il confronto di idee e punti di vista.
Lei aveva utilizzato come “pre-testo” “ la neve sul Vesuvio” di Raffaele La Capria, che racconta la fatica di crescere, di diventare persona, attraverso la scoperta dei primi rapporti con le cose, le persone, i luoghi, dal tempo dell’infanzia fino alla pubertà.
Il protagonista è Tonino, un adolescente, che si interroga sul perché delle cose chevvengono sotto i suoi occhi, fugaci, aeree, eppure impresse e stabili, talora irrefutabili.
Passa le giornate alle prese dei genitori, la tata, la maestra, gli amici, le emozioni, i sentimenti e gli stati d’animo, cercando soluzioni semplici ed immediate ai quesiti che scandiscono il cammino della ricerca di sè . Molto interessante il capitolo dell’“identificazione” in cui Tonino, ancora non cosciente della propria individualità, sente se stesso in una simbiosi con la madre, la sente “diffusa intorno” e si identifica con lei al punto di sentire le sue stesse emozioni.
E a proposito di questo capitolo, la professoressa ricordava che, durante le interruzioni per riflettere sulla storia attraverso domande-stimolo, Vanessa che, in quell’ultimo periodo sembrava distratta e presa da altri pensieri, aveva espresso un’affermazione piuttosto pesante, che l’aveva lasciata allibita “ Io a mia madre, vorrei ucciderla!” E ai “perché” richiesti dai compagni non aveva voluto rispondere.
Alla fine la professoressa, molto rammaricata, aveva aggiunto:
- Mi sento in colpa per non aver dato il giusto peso a quell’affermazione! Avevo pensato che si trattasse di una crisi passeggera dell’adolescenza, un momento di ricerca della propria identità, un bisogno di indipendenza che spesso è in conflitto
con le regole e le aspettative stabilite dai genitori.
Livia allora propose alla dirigente di convocare il consiglio di classe, per sapere qualcosa in più di Vanessa. poi si avviò verso l’albergo travolta dalle emozioni per quella frase “ Io a mia madre, vorrei ucciderla!”…
Il caso Vanessa era più complicato di quanto previsto!

La dirigente dell'Istituto Comprensivo di Melata convoca il consiglio di classe

La dirigente dell’Istituto comprensivo di Melata, una donna sulla cinquantina, dotata di buone competenze relazionali nel gestire le dinamiche tra i docenti, aveva saputo utilizzare le risorse a disposizione, per tutto il tempo della sua dirigenza,per un
decennio, in modo tale che la sua scuola aveva una buona reputazione in tutto il circondario. Appassionata del suo lavoro, era riuscita a contagiare docenti e alunni la sperimentazione di nuove tecniche educative di apprendimento.
Rappresentava una figura autorevole e decisiva sia per la scuola che per la comunità del paese.
Era molto preoccupata per il caso Vanessa e per il risalto che ne aveva dato la stampa locale. Non riusciva a darsi una ragione e nel suo pensiero mille interrogativi si affollavano nella sua mente:
- Come mai la ragazza aveva tentato il suicidio nella scuola?
- Come mai i docenti non le avevano riferito alcunché sul comportamento di Vanessa?
Dalla bidella Consuelo, amica della mamma di Vanessa, aveva ascoltato qualcosa che poteva essere accaduto in famiglia, ma erano solo supposizioni che non avevano alcuna certezza.
Senza altro indugio, convocò il consiglio di classe per decidere il da farsi.
Intervennero tutti i docenti della classe di Vanessa, alla presenza di Livia.
La dirigente aprì la discussione dicendo di aver avuto un colloquio con i genitori per consigliare loro i provvedimenti da prendere, per aiutare la ragazza. Non se l’era sentita di indagare su qualche problema familiare che poteva essere stato la causa di tutto, avendo conosciuto il carattere polemico del padre in altre occasioni.
La madre era sembrata molto provata, avvertiva sensi di colpa ma, allo stesso tempo, si era mostrata fiduciosa nell’aiuto che si voleva offrire a Vanessa. Tutti e due i genitori si erano dichiarati favorevoli all’intervento di un’equipe psicomedicopedagogica che avrebbe seguito la loro figlia, sempre in quella scuola, in modo che non fosse allontanata dalla famiglia.
Livia prese la parola per avere qualche informazione sul carattere di Vanessa e chiese agli insegnanti se avessero notato comportamenti di disagio e sofferenze fisiche o psicologiche che avessero messo a dura prova l’autostima della ragazza.
La professoressa Flora, insegnante di lettere, che aveva più ore nella classe di Vanessa , prese la parola:
- Vanessa è una ragazza molto sensibile, soffre molto della situazione familiare ma quasi mai riesce ad esprimere questo disagio, perché la stima che ha di sé è così bassa da pensare di non avere un’intimità degna di essere condivisa, vorrebbe essere addirittura invisibile!
E continuò dicendo che nella classe avevano dovuto fare un buon lavoro di integrazione, perché Vanessa cercava di isolarsi. Non aveva amici tra i compagni, solo un paio di amiche femmine e tra i maschi, invece, c’era un gruppetto che la bullizzava e l’additava come una poco di buono prendendola in giro con delle battute, coi sorrisetti o con delle minacce. Poi concluse:
- Per fortuna noi insegnanti siamo intervenuti subito, coinvolgendo tutto il gruppo classe in percorsi educativi pianificando attività per favorire dei comportamenti cooperativi. Abbiamo dovuto prendere subito provvedimenti anche perché il bullismo nelle scuole italiane è un fenomeno dilagante ed è all’ordine del giorno. Non bisogna minimizzare!
Anche gli altri docenti si espressero dicendo che Vanessa aveva il carattere molto introverso, e negli ultimi tempi, era diventata più silenziosa e triste del solito, ma non avevano notato niente che facesse presagire quel gesto estremo.
Allora Livia prospettò la necessità di un supporto psicologico non solo per la ragazza, ma anche per i genitori; avrebbe chiesto la collaborazione di Laura, la psicoterapeuta che aveva compiuto degli studi recenti sulla Terapia Strategica Breve.
La dirigente concluse la riunione raccomandando gli insegnanti di non rilasciare interviste ai giornalisti, mentre sarebbe stato compito suo, fare un comunicato stampa o parlare con la direttora del giornale, affinché si mettesse a tacere il tutto,
visto che si trattava di una minorenne.
Livia quel pomeriggio si allontanò dalla scuola piuttosto frastornata e alquanto insicura sul da farsi.
Le rimbombava nella mente quella frase “ Io, a mia mamma, vorrei ucciderla!” e tanti pensieri:
- Quale sarà stata la causa che aveva incrinato il rapporto madre figlia e aveva generato il conflitto?
- Vanessa si sentiva incompresa, svalutata, oppressa dalle aspettative della madre?
- E il padre?
Ricordava eccome quella telefonata, quasi minacciosa, che poteva generare solo sospetti su di lui!
E lei, Livia, di sua madre, si era proprio dimenticata? Non aveva notizie da una settimana!...Era abituata alle sue stranezze e quasi mai l’aveva sentita presente nella sua vita!
Le poteva essere di consolazione solamente il fatto che stava per incontrare Laura, la sua amica e collega con cui condivideva segreti, opinioni e reciproca stima.

A scuola non si era fatto abbastanza per educare alle emozioni?

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Appena arrivata in albergo, Livia distolse un po’ l’attenzione dal caso Vanessa, voleva avere notizie da sua madre ...doveva assolutamente sapere dove si era cacciata. Ultimamente con queste continue sparizioni le dava preoccupazioni. Come poteva dedicarsi al suo lavoro di psicologa se la sua mente era alle prese dei suoi problemi personali?
Ora più che mai, doveva tenere a mente la metafora di Jung che era stata alla base del suo percorso formativo professionale: “Se un chirurgo prima di iniziare un intervento deve sterilizzarsi le mani per evitare di trasmettere i propri batteri al paziente, nuocendogli invece di aiutarlo, così lo psicoterapeuta dovrebbe liberarsi dei suoi problemi personali per non “infettare” con essi il suo paziente” Sua mamma l’aveva abituata alle sue trovate originali, ai suoi scherzi.
Ancor di più ora che era diventata anziana, per sfuggire alla solitudine o per distogliere l’attenzione dalla routine di tutti giorni, era alla continua ricerca della propria oasi felice.
Livia allora cercò tra i messaggi sul cellulare, che non aveva avuto il tempo di leggere. Sì, c’era il messaggio di sua mamma!
- Livia, sto bene! Frequento una scuola: ”Vecchiaia, istruzioni per l’uso”. Si fa pratica di“ malinconia positiva”.Ciao!
“Malinconia positiva”? Livia non riusciva a capire che cosa ci poteva essere di positivo nella malinconia della vecchiaia, comunque se ne fece una ragione e si sentì un po’ sollevata per potersi dedicare al lavoro con maggiore serenità.
La dirigente dell’istituto comprensivo di Melata, non poteva capacitarsi che un fatto di tentato suicidio fosse capitato nella sua scuola. Era convinta che doveva attivarsi per sollecitare le autorità competenti per sovvenzionare corsi di aggiornamento sia per i docenti che per i genitori.
Tutte le varie entità della società avrebbero dovuto assumersi il compito educativo. Era più che consapevole che i ragazzi vanno seguiti passo dopo passo durante la loro età evolutiva, essendo esposti a molti stimoli che li possono confondere; basti pensare alle scene di violenza, alla pubblicità che a volte crea dei falsi bisogni, influencer compresi, che inviano messaggi diseducativi.
Anche gli insegnanti, anzi le insegnanti,( in quella scuola per la maggior parte donne) le davano pensiero: alcuni arroccati sul proprio ruolo, sulla sicurezza che la routine sembrava offrire, e altri insoddisfatti per aver constatato l’inutilità dei propri sforzi e lo scarso riconoscimento sociale del proprio lavoro, tanto che si era verificato anche qualche caso di Burnout, una sindrome di esaurimento emotivo da lavoro, un disturbo professionale dovuto a stress e tensioni psicofisiche.
Il laboratorio “Sum ergo cogito” era stata un’esperienza positiva, ma vi aveva partecipato solamente un piccolo gruppo di docenti con le proprie classi. Tutta l’esperienza, durata per un decennio, era stata anche pubblicata in un libro cartaceo, ma dopo i soliti convegni per la presentazione del libro, non si era fatto più niente ed il laboratorio era stato interrotto, perché non c’erano stati docenti disponibili a proseguire l’esperienza.

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Si mise a sfogliare quel libro che più che testimoniare l’efficacia dei laboratori, rappresentava il tentativo di voler raccontare con la voce multipla di adulti e bambini il significato profondo di quell’esperienza.
Fu colpita da una frase di una maestra: “…a lungo mi restano gli sguardi, gli atteggiamenti e il compiacimento dei bambini nell’essere ascoltati”
E le frasi degli alunni: “ Ti confidi,con una maestra, cosa che non hai fatto mai prima” “ Il laboratorio è come un diario segreto!”
Si praticava,infatti, l’ascolto attivo basato sulla comprensione empatica e sull’accettazione incondizionata, da parte dell’insegnante su quanto veniva espresso dai bambini, un vero rapporto di apertura e di dialogo.
Il libro riportava il commento del professore che aveva affiancato e sostenuto la sperimentazione e l’elenco della bibliografia che era stata consultata.
La dirigente non era solita mettersi in discussione,( ne avrebbe perso il suo prestigio professionale e l’immagine del “suo”Istituto), ma quella volta aveva un dubbio pressante che l’assillava: non si era fatto abbastanza per educare alle emozioni, alle differenze, al rispetto, alla comprensione, all’empatia. Era sempre più convinta che “il benessere a scuola” si costruisce a scuola.
Ma come fare? Se le esperienze positive non venivano promosse e propagate, se l’intervento dello psicologo nella scuola era concepito come una figura riparativa e veniva chiamato ad intervenire esclusivamente su situazioni di emergenze? Invece lo psicologo avrebbe dovuto avere diverse competenze e una preparazione ad ampio raggio, avrebbe dovuto affiancare gli insegnanti e lavorare nelle classi! Non doveva essere uno specialista esterno, ma doveva conoscere a fondo il mondo della scuola, con tutte le sue problematiche e le sue dinamiche!
Era la fine dell’anno scolastico, la dirigente nell’ultimo collegio dei docenti avrebbe dovuto fare delle proposte operative per il prossimo anno scolastico, ma fra i tanti problemi emersi, ancora non aveva deciso il da farsi. Aveva girovagato anche in Internet, aveva consultato riviste dedicate ai problemi della scuola, ma nulla. Consultò la posta come al solito e vide un invito da SCUOLEinRETE con delle proposte di condivisione di esperienze didattico-educative e di corsi di formazione per docenti e genitori. Avrebbe portato la proposta al Consiglio d’Istituto e al Collegio dei docenti e… forse aveva trovato la soluzione!

Passarono gli anni...

Designer(4).jpegPassarono gli anni, la dirigente dovette andarsene in pensione, per raggiunti limiti di età. Ce l’aveva fatta, a dispetto delle riforme deliranti, delle incoerenze e delle delusioni, affrontate durante i suoi primi anni di dirigenza!
Il suo ultimo giorno era giunto. Si diresse verso l’agorà a gradoni. Sì, in quel paese senza piazza, era sorta l’agorà, una piazza fortemente voluta dalla stessa dirigente, in uno spazio esterno alla scuola, dove si trovavano anche altre aree, come gli orti, la grande area gioco, l’aula verde e la terrazza della biblioteca, tutti luoghi riservati per la didattica all’aperto che potevano essere utilizzati anche dagli abitanti del paese.
Erano passati più di vent’anni e il rapido progresso tecnologico aveva cambiato il mondo intero e aveva rivoluzionato anche il mondo della scuola di Melata. La dirigente aveva accolto di buon grado l’innovazione, confidando nel fatto che fosse uno strumento fondamentale per scoprire il mondo anche divertendosi, aiutando gli alunni a diventare utilizzatori consapevoli e responsabili della tecnologia, sia a scuola che a casa. Infatti, si era attivata per creare un ambiente fisico accogliente che consentisse lo “stare bene” a scuola, che fosse adeguato alle nuove esigenze didattiche e che si estendesse dall’edificio-scuola al territorio, dall’aula al paese e allo spazio virtuale.

Guardò con soddisfazione tutti i cambiamenti strutturali fatti nell’edificio scolastico con aule e laboratori dotati di elementi flessibili e modulari, pareti mobili ed arredi che potevano essere spostati facilmente in modo da agevolare le attività di classi aperte. Ogni aula multifunzionale, era dotata di materiali didattici e postazioni con strumenti tecnologici, angoli per attività laboratoriali, spazi per le attività individuali e di gruppo.


Le lezioni venivano tenute sia dal vivo da insegnanti ma anche all’interno di un mondo completamente immersivo, un mondo virtuale, in cui gli alunni potevano viaggiare nel tempo e nello spazio mediante un apprendimento attivo molto coinvolgente e partecipativo. Gli studenti potevano lavorare insieme per risolvere problemi complessi e creare soluzioni innovative attraverso lavagne interattive, chat room online e Intelligenza Artificiale, nella massima sicurezza con l’accesso a docenti e studenti solo se autorizzati..
La dirigente, molto emozionata, fu accolta nell’agorà dagli insegnanti, da una rappresentanza di genitori e di alunni, mentre altri e “SCUOLEinRETE” erano collegati attraverso uno schermo.
Nel suo saluto di commiato espresse i ringraziamenti a quanti avevano collaborato ad accogliere le novità e le sfide e manifestò la sua soddisfazione per aver creato un buon clima lavorativo di coesione interna, affinché ognuno nel proprio ruolo potesse offrire il proprio contributo.


Ci tenne a puntualizzare, rivolgendosi ai docenti che il passaggio al digitale deve indurre a far leva sulle dinamiche della collaborazione e della condivisione, su una didattica basata sulla costruzione, sull’operatività e sulla partecipazione.E volle precisare: - Ho sempre creduto che alla base di qualsiasi interazione, sia social o sociale, alla base di ogni percorso di crescita, sia fisico o psicologico, ci debba essere la conoscenza e la gestione delle proprie emozioni e il rispetto di quelle altrui. Educare all’emozione significa affiancare i nostri studenti a scoprire e a portare fuori il proprio sentire, le proprie paure, le proprie aspettative verso il futuro; vuol dire insegnare ai giovani a rispettare il prossimo sentimentalmente e di  conseguenza se stessi, a non ragionare per stereotipi maschili o femminili o per pregiudizi. Poi concluse con l’auspicio che la scuola potesse continuare ad essere punto di riferimento culturale per tutta la comunità e aggiunse: 

- Auguro a chi mi succederà nella dirigenza e a voi insegnanti di vincere le nuove sfide che le trasformazioni sociali, politiche, culturali e tecnologiche comportano per continuare ad offrire una formazione aperta a nuovi orizzonti nell’ottica di un progetto educativo condiviso oltre i confini della scuola di Melata. Voglio concludere con una frase di Don Milani:
Il maestro,come un profeta, per quanto può, deve scrutare i “segni dei tempi”, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso.(Lettera ai giudici)
 - E ora vi voglio presentare la nuova insegnante di lettere, che ha preso servizio oggi in questa scuola, la professoressa Vanessa De Marco!