L’alfabeto smarrito
"La IAB, la biblioteca globale, era al centro del suo lavoro, le parole al centro dei suoi interessi, ogni singola lettera, con il suo spessore grafico e fonico, al centro della sua vita, fissato nel suo corpo."
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Ana si scosse. Fu allora che, dentro una leggera e diffusa lattigine dai riflessi argentei dell’dell’aurora, mentre il sole tornava a sorgere sul Faro dello Scorpione, o forse tra le sinuose volute della Torre di Babele, o forse tra le antiche mura delle torri costiere, o forse sulle rovine degli ziqqurat, o forse sulle specchiate pareti dei grattacieli piùpiù arditi, Ana si vide inscritta, lei, la scriba prodiga di storie, l’l’archeologa del tempo e dello spazio oltre il tempo e lo spazio, nelle torri disseminate nella rete intergalattica, e le vide con chiarezza, finalmente, tutte abbracciate a enormi alberi dalle chiome lussureggianti, e vide la Terra, la sua ritrovata terra madre, di nuovo disseminata di boschi e foreste, segni incisi in una storia di perenne rinascenza.
Ana Bor, la scriba,scriba, l’l’archeologa del tempo e dello spazio oltre il tempo e lo spazio, sentìsentì compiuto il suo tempo, scosse lo stilo per riporlo e, intanto, ne fluirono parole e parole in un estremo gesto d’d’amore. PerchéPerché si chiese, questa dannazione di non comprendere il senso dei segni che si componevano come gocce da una fontana inestinguibile. Dove era la chiave perchéperché quei segni prendessero senso dentro i circuiti della sua cam? Avrebbe cercato la soluzione, qualunque dovesse essere il percorso da compiere. Intanto un flusso di segni si visualizzòvisualizzò sul versante interno della sua fronte, ne sentiva perfettamente le emozioni, ma non li dominava ……
La mia Terra, dove germogliano
semi di multiformi frutti e vegliano i boschi
sulle Orse impazzite d’d’amore e d’d’odio,
e vegliano le stelle sull’Umanitàsull’Umanità incerta del suo destino
nel groviglio di galassie e istanti dilatati
nel tempo dell’dell’illusione e dell’dell’utopia.
Ana frenòfrenò a fatica il flusso dell’dell’inchiostro cosmico, preoccupata che le sue emozioni, benchébenché emerse in quei segni incomprensibili, giungessero al Grande Narratore, colui che le aveva concesso di rimanere umana oltre il suo tempo. Ana ripose la memoria dell’dell’ultimo conflitto che stava narrando nel piùpiù remoto poro della sua pelle. Cercava ogni volta di scoprire quanto spazio narrato potesse ancora contenere il suo corpo, e quanto ancora potesse accettare di soffrire per restare umana. Si fermòfermò dentro il dolore e scavòscavò nell’nell’abisso del tempo.
La IAB, la biblioteca globale, era al centro del suo lavoro, le parole al centro dei suoi interessi, ogni singola lettera, con il suo spessore grafico e fonico, al centro della sua vita, fissato nel suo corpo. Forse, di piùpiù, era alla base del suo stesso sistema percettivo della realtàrealtà, motivo per cui la stessa parola “realtà”“realtà”, ad esempio, come ogni altra parola che pensasse, pronunciasse o ascoltasse, tendeva a inglobarla in una tela grafica che, iniziata la sua tessitura dalla prima pronuncia di un fonema, si espandeva in un’un’immensa rete tridimensionale di trame e orditi, dentro cui ogni sua ulteriore pronuncia o scrittura aggiungeva un filo. La parola, ogni parola, dunque, aveva un peso e una leggerezza insieme: il peso della sua storia plurimillenaria, del suo ricucirsi addosso ogni volta a un popolo, a una lingua, a una civiltàciviltà, per darle cittadinanza nell’nell’universo spazio-temporale dell’Umanitàdell’Umanità narrante, e oltre, e nello stesso tempo la leggerezza della sua reinvenzione, ogni volta. Dal grafema un’un’eco di qualcosa di perduto: il suono della parola, il suo significato.
Ogni volta con tutto il potere emozionale che ogni segno contiene e sprigiona. Che avventura straordinaria questa che un residuale esperimento chimico aveva innescato! Ora come svelare questo enigma era il suo compito.
In quella lattiginosa alba la IAB appariva nella sua natura di rete neurale che cingeva ogni spazio cosmico, flussi di segni grafici e fonici erano agli incroci delle Galassie madri. Qualunque scelta Ana Bor avesse compiuto in quell’quell’istante, l’l’avrebbe vista approdare a un lembo di tempo. Fu presa da un brivido nell’nell’apparire del suo corpo dalla nuvola generatrice che l’l’alba donava a tutti gli umani e a tutte le umane, ciascuno ai piedi dei grandi oggetti vitali, i papiri delle narrazioni. A lei era toccato il Faro dello Scorpione. Il Grande Narratore doveva conoscere di lei qualcosa che le sfuggiva, ma ci sarebbe arrivata, prima o poi, a scoprire perchéperché a lei, proprio a lei, era toccato questo compito. Lei scriba, lui papiro, vivevano in simbiosi. Attese che l’l’alta costruzione si componesse in tutta la sua imponenza per scegliere - ecco il brivido, la dannazione della libertàlibertà di scelta -, se in quel giorno pallido della galassia dello Scorpione dovesse scegliere il versante del passato, del presente o del futuro, dell’dell’istante o dei millenni, del cercare o dell’dell’inventare, del ricevere o del donare ……
E lìlì avrebbe avuto inizio il disvelamento del racconto. Era il momento cruciale della sua sopravvivenza di Umana, fallire, cioècioè approdare in uno spazio vuoto, sarebbe stato il segnale della sua fine di scriba. Il Grande Narratore era ingordo di storie ed era pronto a sostituire scriba con scriba.
Un segno piùpiù luminoso degli altri sembròsembrò ammiccarle, come una stella nelle indimenticabili notti profonde vissute sulla Terra: Vanessa. Per istinto si lasciòlasciò attrarre dal pulsare di quel segno e vi si calòcalò con tutta l’l’energia di cui ancora disponeva. Giocava cosìcosì la sua carta di sopravvissuta.
Fu allora che le vide, come le meraviglie dell’dell’arcaico mondo in cui nonostante il trascorrere de tempo sentiva di appartenere, mentre nella loro dimensione cangiante di Avatar e di Umane si giocavano la sfida del racconto. Un gioco, solo un gioco? Un arcaico metaverso ne proiettava le immagini e attraverso di esse si potevano intuire suoni, parole e conflitti, silenzi e grida, la IAB le conteneva nel suo infinito deposito memoriale.
Toccava a lei, ora, a lei, la scriba, l’l’archeologa del tempo e dello spazio oltre il tempo e lo spazio, ridare vita all’all’eco grafico di quella remota, infinitesimale traccia di vite vissute e disperse. Frammenti di emozioni, pensieri, immagini e idee, convinzioni e saperi. Sarebbe stata capace di recuperare quei reperti di un’etàun’età all’all’alba della digitalizzazione cosmica, sarebbe stata capace di restituire al passato e di consegnare al futuro quella vita pulsante di visioni, passioni, contraddizioni, che ora le apparivano ancora sconnesse? Sarebbe stata in grado di interpretarne i segni? Era il suo unico modo per rimanere Umana. Il Faro dello Scorpione iniziòiniziò a istoriarsi di segni luminosi, mentre Ana lanciava nell’nell’atmosfera rarefatta dell’dell’alba il segno e l’l’eco di una parola: Vanessa.