Livia si guardò intorno ...
Melata, XXI secolo dell'Era del Sole
Livia si guardò intorno. La piazza non c'era. Le sembrò strano, perché da che mondo è mondo gli autobus si fermano in una piazza, qualunque e comunque sia. C'era, invece, un budello di strada, senza né inizio né fine, un'infilata di case che racchiudevano l'autobus come in un lungo doppio nastro serpeggiante dai colori scialbi. Livia scese, ancora un po' imbambolata per quel semisonno che l'aveva accompagnata per la maggior parte del viaggio e ora pareva non volerla abbandonare. Prese le sue valige dalle mani caldicce dell'autista e quel contatto la svegliò o quasi. Ma la piazza decisamente non c'era. C’era invece accanto a lei baluginante a tratti la sagoma di Eva. Entrambe facevano parte del club delle piazze mancanti, l’avevano scoperto durante gli studi universitari, quando entrambe viaggiatrici con qualche cicatrice amorosa, avevano cominciato a scambiarsi frammenti delle loro vite, ma soprattutto dei loro sogni. Galeotte le dispense del docente di Psicologia clinica, il prof, Delle Colline, pace all’anima sua.
- Oh, lei, di’a... l'è lei la maestra psi’olo’a?- una voce affannata le venne incontro.
Sì, era proprio lei la maestra psicologa, ma anche avrebbe voluto aggiungere, la giornalista, la poeta, la sarta, la docente digitale … Ma si guardò bene dal dirlo. I convenevoli seguirono secondo un preciso cerimoniale, che ebbe il doppio effetto di svegliarla definitivamente e di farle riconoscere che anche uno slargo in un budello di strada è una piazza dove s'incrociano destini.
Dopo venti trenta passi già sapeva tutto di lei, la Consuelo le aveva scaricato addosso tutta la sua vita, condensata in un quell'unico istante di dolore e rimorso che aveva cancellato tutto il resto, bello o brutto che fosse stato.
- Uh! ‘he dolore, un nodo ‘he non lo si scioglierà mmai. Una ferita, signora maestra psi’olo’a. Uno squarcio nella ‘arne, signora maestra. La Vanessa che la si butta giù e la maestra che la s'impazzisce. E io che mi ‘onsumo... Ferita su ferita, sentirà dell’Evelina … Evvia, la signora maestra psi’olo’a, qui non l'è romanzo, qui l'è vita della peggior spescie. E lei ora ci si trova 'n mezzo. Uh! ‘he dio c'aiuti tutte noi...ma lei sarà stanca, e io l'importuno...ma ecco l'albergo...Uh! ‘he dio c'aiuti tutte noi...
Livia si sentiva come schiacciata prima in quel budello di strada, ora nella piccola stanza nuda, e si percepiva come cucita stretta nella trama di emozioni e di responsabilità che l'attendevano. Contò le parole che era riuscita a dire fino a quel momento, una decina di oh, sì, no, davvero, dio, a domani. Si sedette. Scavò nella valigia rossa ansiosamente. Posò sul tavolino il pc. L'aprì. L'accese. Il desktop le restituì volti cari. La sua infanzia senza genitori l’aveva avvicinata a donne che ne avevano avuti di buoni e di cattivi, ma Roxy…Roxy… Roxy era un punto fermo. La rivide all'improvviso sgambettante nell'ufficio postale dove lavoravano entrambi i suoi genitori, lei, la figlia delle poste italiane, felice nel piccolo mondo di odori di lettere e pacchi e di tocchi di timbri battuti a ritmi forsennati o lenti o rigorosamente cadenzati. Si era guadagnata quello spazio, sfuggendo a forza di lacrime alla prigione delle suore. Il babbo e la mamma l'avevano capita e accontentata.
- Come li ho amati per quel dono di libertà! – le diceva spesso - Da quel dono mi viene la forza di incrociare i destini dei sofferenti, degli abbandonati.
Livia l’aveva amata proprio per quel destino buono di figlia, e ne aveva assorbito la forza di rimanere vigile e critica di fronte alle ferite della vita. Sue e delle altre. Doveva ora analizzare “il caso Vanessa” senza farsi travolgere dalle emozioni, che pur reclamavano l'avvio di qualche lacrima liberatoria. Doveva farsi scudo delle sue competenze, attrezzarsi di strategie, esercitare l'empatia ed evitare l'identificazione. Era pronta? Avrebbe chiamato Laura, la fredda. Solo a dire Laura la fredda le venne su un sorriso. Un antidoto alle lacrime che stavano per superare la diga del ruolo. Si sentivano, Livia e Laura, ogni volta che avevano bisogno di scambiarsi quote di calore e di freddezza. Lo scambiatore funzionava. Prese il cellulare come un bicchier d’acqua per ingoiare una pillola che darà sollievo, ma il sonno la prese, trascinandola insieme a Eva in un vortice di piazze scomparse e di gangster.