Livia si tranquillizzò, leggendo le vecchie copie del giornale...
L’inchiesta sulle piazze invase da edifici aveva fatto salire il giornale locale sulla scena nazionale. L’inchiesta, messa in moto da un gruppetto di ambientalisti irriducibili, aveva coinvolto il Comune, quindi il Sindaco e l’Assessore alla viabilità e ai lavori pubblici, perché davvero era apparsa a tutti una vergogna cittadina aver ridotto piazza Amorini un budello, accogliendo il progetto di ampliamento della banca Strugoli, fondata nel 1912 dal patriarca Armando. Armando III, l’erede unico e solo, aveva ripreso il progetto presentato dal bisnonno senza tener conto che nel tempo lo spazio della piazza era già stato ridotto da altri edifici più o meno abusivi, costruiti in tempi in cui non esisteva alcun piano regolatore e lo spazio era di chi aveva possibilità di costruire. Ora le regole c’erano, ma non per gli Strugoli, che, a dispetto del loro comico cognome abbinato spesso agli strufoli e ad altre amenità, erano di ferro, anzi d’acciaio e nessuno osava contraddirli, tanto meno il Sindaco. Da quando si era diffusa qualche voce tendenziosa, che alcuni chiamavano “strugola”, sulle abitudini sessuali del Sindaco, era ben difficile che si potesse dire loro di no. Il Consiglio, 16 consiglieri, e la giunta, 4 assessori, tutti di maggioranza erano coraggiosamente sempre d’accordo. Coraggiosamente, perché l’opposizione c’era, rumorosa nonostante i numeri molto ridotti, ma per protesta non aveva partecipato alle recenti elezioni.
Livia si tranquillizzò, leggendo le vecchie copie del giornale che aveva per caso trovato ammassate in un cassetto della sala professori, insomma la piazza davvero non c’era, e i motivi erano chiari e lampanti. No, perché, quando si trattava di piazze mancanti, il pensiero andava istintivamente a Eva, la scrittrice di romanzi psico-fantascientifici, amica di studi universitari e co-fondatrice del club delle piazze mancanti, ma ancor di più alla propria incapacità di psicologa a psicologizzare se stessa, perché era chiaro che quelle fantomatiche o reali piazze mancanti corrispondevano ad altre più profonde mancanze.
Istintivamente chiamò Roxy. Il cellulare squillò a lungo, ma non ebbe risposta. “Sarà impegnata a scrivere il suo pezzo quotidiano”, pensò. Provò di nuovo.
- Livia, - sentì sussurrare – sto incasinata. Tra poco devo consegnare il pezzo, aspettano solo me. Ti chiamo dopo.
L’avrebbe richiamata certamente.
Ma lei era lì per Vanessa, nessun altro argomento avrebbe dovuto interessarla e distrarla. Comunque, comprendere quel luogo dal punto di vista sociologico era parte integrante del suo lavoro, e per quello sguardo sul retroterra e substrato culturale del caso Vanessa era grata a “La Cronaca del Giorno”. Aveva trovato un terreno di incontro con la direttrice Andrea Covello, che aveva evitato fino ad allora proprio per il modo in cui stava affrontando sul suo giornale la storia di Vanessa. Schifata dalla ricerca di particolari scandalistici, più che della verità, si chiedeva se mai si potesse pensare di arrivare ad una lettura univoca e vera di un situazione così drammatica, per di più da leggere dentro uno scenario complesso, anzi complicato dall’intreccio di due barriere: i pettegolezzi da un lato, il diritto alla privacy dall’altro, tanto più sacro trattandosi di un’adolescente, anzi di una bambina.
Parlarne con Laura la fredda, sempre meno fredda ogni volta che l’incontrava, l’aveva rassicurata. Laura l’avrebbe aiutata a sviscerare gli aspetti attinenti alla scuola e alle sue dinamiche specifiche. Lei si sarebbe orientata a penetrare nel muro della famiglia. Soprattutto lei, la madre, affaccendata nelle sue cose di lavoro, certamente esigente, forse affettivamente assente. Dal primo momento in cui aveva messo piede nel paese senza piazza, le era venuta in mente una lettura universitaria: “Solitudine di figlia, ambiguità di madre”. Doveva recuperare quel libro, rileggerlo, approfondire le ragioni dell’abisso che può scavarsi tra una figlia e una madre. Era assolutamente necessario, perché sapeva che il suo compito era proprio quello: ricostruire il ponte, che qualcosa aveva distrutto, tra la figlia e la madre. Se non era la prima volta che Vanessa tentava il suicidio, come diceva il giornale, l’abisso appariva davvero incolmabile e metteva a dura prova la forza di Livia, che qualcosa ben sapeva di abissi e di madri.