Una fragilità che chiede ascolto: un cammino condiviso
Cercare strategie per ricucire le ferite dell’anima
LAURA E LIVIA
Laura avrebbe voluto essere l’arbitro delle vite turbate e dei conflitti irrisolti. Tutti sapevano che, forse, sarebbe riuscita a dare una mano. Il caso Vanessa era un evento così tragico e intenso da scuotere profondamente le coscienze. Generava sensi di colpa difficili da scrollarsi di dosso. D’altronde, c’era stato un precedente: un tentativo di suicidio alla scuola primaria.
Rimanere mentalmente chiusi in spazi angusti, strade senza sbocchi e stanze prive di aperture impediva di trovare risposte. Forse Vanessa non aveva avuto la libertà di Roxy, né la comprensione di genitori e adulti attenti ai suoi turbamenti. I genitori di Roxy, di fronte a un problema analogo, avevano scelto una rottura netta con l’ambiente circostante. Meglio un cambiamento radicale che una resistenza sterile. Anche se, forse, l’ufficio postale non era il massimo delle opportunità per una bambina, era stato comunque un nuovo inizio.
Laura pensava che sarebbe stato meglio incontrare Livia, Eva,Eva, Roxy e Consuelo in uno spazio ampio, animato da passaggi e presenze. Prese il cellulare e le chiamò tutte per un appuntamento al Bar Centrale in Piazza Largo Petrarca. Faceva freddo, ma c’erano le stufe ai tavolini.
Ritrovarsi in un luogo pubblico toglieva un po’ di intimità fisica, ma rendeva più semplice parlarsi trattenendo le lacrime. Permetteva di tenere a bada le emozioni, di analizzare i fatti prima di lasciarsi sopraffare dalle sensazioni. Il caso Vanessa non riguardava solo lei: coinvolgeva attori, spettatori, genitori, insegnanti e ambienti che parlavano, stratificati di esperienze passate. I messaggi e le domande arrivavano da più fonti e affondavano le loro radici in qualcosa di profondo.
L’incontro avrebbe forse portato più incertezze che certezze, ma avrebbe dato sostanza alla relazione tra queste donne sospese tra mille domande.
Laura, in auto con l’uomo che la conduceva laddove il desiderio o la necessità la portava, pensò di chiamare prima Livia. Intanto, alla radio, Massimo Recalcati parlava del suo ultimo libro La luce delle stelle morte. Saggio su lutto e nostalgia. Non che il lutto avesse a che fare direttamente con il caso Vanessa, ma in qualche modo il discorso evocava pensieri sulle perdite costanti nelle nostre vite: identità negate, certezze svanite, abbandoni che non necessariamente implicano la morte di qualcuno.
Vanessa aveva rischiato di nuovo. Il suo gesto richiamava vuoti, memorie tristi e una disperata richiesta di ascolto. La fragilità esistenziale si affronta razionalizzando o cercando sostegno, e i vicini d’affetto avrebbero dovuto rispondere.
Arrivati in Piazza della Sorgente, a Melissa, Laura e il suo accompagnatore si fermarono all’Antica Osteria per comprare il pane. Non c’era più bisogno di chiamare Livia: era lì, alla fermata dell’autobus.
Laura scese dall’auto bianca, ancora bagnata dalla pioggia. Vide Livia assorta nei suoi pensieri.
“Liviaaa… proprio qui mentre ti pensavo!”
“Oh, Laura cara. Ero ferma per l’autobus, ma non sapevo se aspettare o prenderne uno successivo. A dire il vero, mi ero portata questa bottiglietta vuota… forse per riempirla con l’acqua miracolosa della fontana.”
Quella fontana era famosa per le sue proprietà terapeutiche, sia fisiche che morali. Si diceva che la sorgente fosse protetta da oscure e divine creature, preservando intatta la sua spiritualità. Livia e Laura si avvicinarono, mentre l’uomo si dileguava nella libreria Feltrinelli all’angolo.
La fontana, addossata alla parete del monte, aveva un’architettura antica: bordi di pietra marmorea, un corno di rame da cui sgorgava l’acqua limpida. Ombreggiata da piante di alloro, sembrava un luogo sospeso nel tempo. Le due donne si sedettero sul bordo della vasca e cominciarono a parlare.
“Livia, volevo saperne di più di Vanessa. Mi avete coinvolta come psicoterapeuta. Ho saputo qualcosa dalla bidella Consuelo quando sono venuta nella vostra scuola per organizzare un corso sulla Mindfulness. Mi ha detto che Vanessa era taciturna e isolata, che era arrivata da un’altra scuola… ma non ho avuto altre informazioni.”
Livia sospirò. “Vero, veniva da un’altra scuola perché vittima di un pesante mobbing, mai riconosciuto. La sua maestra… meglio se avesse venduto verdure al mercato! – diceva che Vanessa mentiva sulle angherie subite. Aveva ottimi risultati scolastici, ma la maestra le aveva dato sette in condotta. Non perché fosse rumorosa, ma perché disturbava l’ordine con la sua sofferenza. La madre decise di farle cambiare scuola, sperando in una rinascita. Il padre acconsentì, ma sosteneva che Vanessa non avesse alcun problema.”
Livia abbassò lo sguardo. “Io ho cercato di starle vicina. Quando è arrivata, mi diceva che era meglio subire angherie piuttosto che cambiare compagni e insegnanti. Poi sembrava riprendersi: la coinvolgevo nelle attività di gruppo, le davo ruoli gratificanti. Volevo che la classe fosse un luogo inclusivo. Ma evidentemente qualcosa non ha funzionato… perché ha tentato di nuovo.”
Il colloquio fu sofferto. Livia si sentiva in colpa. Forse avrebbe dovuto fare di più. Forse avrebbe dovuto parlare ai genitori, ma anche loro avevano i loro problemi: un padre instabile, una madre sempre affaccendata. Ora, però, non c’erano più scuse. Bisognava parlare con loro e stabilire un percorso.
Laura la guardò intensamente. “Livia, dobbiamo aiutare tutti a uscire da questi circoli viziosi. Cercare il perché va bene fino a un certo punto, ma ora servono strategie concrete. Dobbiamo alleviare i sensi di colpa e dare indicazioni chiare a tutti.”
“Cosa proponi?”
“Potremmo seguire il modello della Terapia Strategica Breve. Ne parleremo domani al nostro incontro.”
Livia annuì. Sarebbe stato un primo passo.
Nel frattempo, il marito di Laura la raggiungeva per tornare a casa. Le due si abbracciarono, sapendo che l’indomani si sarebbero ritrovate al Bar Centrale in Piazza Largo Petrarca, pronte a cercare insieme una via d’uscita.