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A scuola non si era fatto abbastanza per educare alle emozioni?

sum2.jpgsum.jpgAppena arrivata in albergo, Livia distolse un po’ l’attenzione dal caso Vanessa, voleva avere notizie da sua madre ...doveva assolutamente sapere dove si era cacciata. Ultimamente con queste continue sparizioni le dava preoccupazioni. Come poteva dedicarsi al suo lavoro di psicologa se la sua mente era alle prese dei suoi problemi personali?
Ora più che mai, doveva tenere a mente la metafora di Jung che era stata alla base del suo percorso formativo professionale: “Se un
chirurgo prima di iniziare un intervento deve sterilizzarsi le mani per evitare di trasmettere i propri batteri al paziente, nuocendogli
invece di aiutarlo, così lo psicoterapeuta dovrebbe liberarsi dei suoi problemi personali per non “infettare” con essi il suo paziente”
Sua mamma l’aveva abituata alle sue trovate originali, ai suoi scherzi.
Ancor di più ora che era diventata anziana, per sfuggire alla solitudine o per distogliere l’attenzione dalla routine di tutti giorni, era alla continua ricerca della propria oasi felice.
Livia allora cercò tra i messaggi sul cellulare, che non aveva avuto il tempo di leggere. Sì, c’era il messaggio di sua mamma!
- Livia, sto bene! Frequento una scuola: ”Vecchiaia, istruzioni per l’uso”. Si fa pratica di“ malinconia positiva”.Ciao!
“Malinconia positiva”? Livia non riusciva a capire che cosa ci poteva essere di positivo nella malinconia della vecchiaia, comunque se ne fece una ragione e si sentì un po’ sollevata per potersi dedicare al lavoro con maggiore serenità.
La dirigente dell’istituto comprensivo di Melata, non poteva capacitarsi che un fatto di tentato suicidio fosse capitato nella sua scuola. Era convinta che doveva attivarsi per sollecitare le autorità competenti per sovvenzionare corsi di aggiornamento sia per i docenti che per i genitori.
Tutte le varie entità della società avrebbero dovuto assumersi il compito educativo. Era più che consapevole che i ragazzi vanno seguiti passo dopo passo durante la loro età evolutiva, essendo esposti a molti stimoli che li possono confondere; basti pensare alle scene di violenza, alla pubblicità che a volte crea dei falsi bisogni, influencer compresi, che inviano messaggi diseducativi.
Anche gli insegnanti, anzi le insegnanti,( in quella scuola per la maggior parte donne) le davano pensiero: alcuni arroccati sul proprio ruolo, sulla sicurezza che la routine sembrava offrire, e altri insoddisfatti per aver constatato l’inutilità dei propri sforzi e lo scarso riconoscimento sociale del proprio lavoro, tanto che si era verificato anche qualche caso di Burnout, una sindrome di esaurimento emotivo da lavoro, un disturbo professionale dovuto a stress e tensioni psicofisiche.
Il laboratorio “Sum ergo cogito” era stata un’esperienza positiva, ma vi aveva partecipato solamente un piccolo gruppo di docenti con le proprie classi. Tutta l’esperienza, durata per un decennio, era stata anche pubblicata in un libro cartaceo, ma dopo i soliti convegni per la presentazione del libro, non si era fatto più niente ed il laboratorio era stato interrotto, perché non c’erano stati docenti disponibili a proseguire l’esperienza.
Si mise a sfogliare quel libro che più che testimoniare l’efficacia dei laboratori, rappresentava il tentativo di voler raccontare con la voce
multipla di adulti e bambini il significato profondo di quell’esperienza.
Fu colpita da una frase di una maestra: “…a lungo mi restano gli sguardi, gli atteggiamenti e il compiacimento dei bambini nell’essere
ascoltati”
E le frasi degli alunni: “ Ti confidi,con una maestra, cosa che non hai fatto mai prima” “ Il laboratorio è come un diario segreto!”
Si praticava,infatti, l’ascolto attivo basato sulla comprensione empatica e sull’accettazione incondizionata, da parte dell’insegnante su quanto veniva espresso dai bambini, un vero rapporto di apertura e di dialogo.
Il libro riportava il commento del professore che aveva affiancato e sostenuto la sperimentazione e l’elenco della bibliografia che era stata consultata.
La dirigente non era solita mettersi in discussione,( ne avrebbe perso il suo prestigio professionale e l’immagine del “suo”Istituto), ma quella volta aveva un dubbio pressante che l’assillava: non si era fatto abbastanza per educare alle emozioni, alle differenze, al rispetto, alla comprensione, all’empatia. Era sempre più convinta che “il benessere a scuola” si costruisce a scuola.
Ma come fare? Se le esperienze positive non venivano promosse e propagate, se l’intervento dello psicologo nella scuola era concepito
come una figura riparativa e veniva chiamato ad intervenire esclusivamente su situazioni di emergenze? Invece lo psicologo avrebbe
dovuto avere diverse competenze e una preparazione ad ampio raggio, avrebbe dovuto affiancare gli insegnanti e lavorare nelle classi! Non doveva essere uno specialista esterno, ma doveva conoscere a fondo il mondo della scuola, con tutte le sue problematiche e le sue dinamiche!
Era la fine dell’anno scolastico, la dirigente nell’ultimo collegio dei docenti avrebbe dovuto fare delle proposte operative per il prossimo
anno scolastico, ma fra i tanti problemi emersi, ancora non aveva deciso il da farsi. Aveva girovagato anche in Internet, aveva consultato riviste dedicate ai problemi della scuola, ma nulla. Consultò la posta come al solito e vide un invito da SCUOLEinRETE con delle proposte di condivisione di esperienze didattico-educative e di corsi di formazione per docenti e genitori. Avrebbe portato la proposta al Consiglio d’Istituto e al Collegio dei docenti e… forse aveva trovato la soluzione!