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Capitolo IV

La mattina seguente, dopo una notte agitata nella pensione di Melata, Roxy si svegliò con un pensiero fisso: Vanessa. La stanza era immersa nel silenzio, ma dentro di lei la mente correva veloce. Aveva bisogno di capire, di scavare più a fondo. Il giorno precedente aveva ascoltato il padre della ragazza, ma le sue parole non le erano sembrate sufficienti. Serviva altro. Una conferma, un dettaglio, un indizio.

La prima mossa fu cercare la madre. Roxy si presentò alla porta con tono pacato e rispettoso, ma venne accolta con ostilità. La donna, visibilmente scossa, rifiutò di parlarle. "Lasciateci in pace", disse, chiudendo lentamente la porta. Roxy comprese che dietro quel rifiuto si nascondeva una paura profonda, forse anche un senso di colpa.

Non si perse d’animo. Telefonò ad Andrea per aggiornamenti. Si accordarono per incontrare la dirigente del liceo artistico frequentato da Vanessa. L'incontro si svolse in un ufficio sobrio ma ordinato. La dirigente, visibilmente provata, parlò di un cambiamento nel rendimento scolastico della ragazza, di qualche episodio di tensione con i compagni, ma nulla che facesse presagire una crisi tanto grave. "Nessun allarme concreto", disse, "solo un'inquietudine crescente che ci era sfuggita."

Fu il colloquio con la psicologa della scuola a gettare nuova luce. La donna era professionale, ma il suo sguardo rivelava empatia. Confermò che Vanessa aveva mostrato segnali di disagio, ma spiegò che ogni tentativo di approfondimento si era scontrato con un muro di silenzi e risposte evasive. "È come se vivesse in un altro mondo", disse la psicologa. Una frase che colpì profondamente Roxy.

Nel pomeriggio, dopo molte esitazioni, riuscì a fissare un nuovo incontro con Vanessa. La trovò in una piccola stanza dell'ospedale, seduta vicino alla finestra. Lo sguardo perso oltre i vetri.

«Ciao, Vanessa. Posso sedermi?»

Un cenno lieve del capo. Roxy si accomodò e restò in silenzio per qualche minuto, lasciando che il tempo colmasse la distanza.

Poi, con calma, le parlò. Non da giornalista, ma da donna. Da essere umano. Vanessa cominciò a tremare. Si sfregava le mani in modo compulsivo. Quando Roxy le chiese se ci fosse stato qualcuno – o qualcosa – a spaventarla, la ragazza sussurrò una parola: "fantasma".

Il racconto che seguì fu surreale. Vanessa descrisse un essere venuto dal futuro, metà uomo e metà macchina, che le aveva mostrato visioni terribili del destino del pianeta. L’incontro, avvenuto più volte, si sarebbe svolto in una piazza nascosta di Melata che appariva e scompariva.

Roxy ascoltò senza interrompere. Non rise, non giudicò. Sapeva che nella sofferenza si nascondano verità simboliche più potenti della realtà. Terminato il racconto, le chiese se avesse mai provato a parlarne con qualcuno. Vanessa annuì: "La psicologa. Ma non mi ha creduta. Ha pensato fossi pazza."

Con l’aiuto di uno psicologo esterno, Roxy preparò un nuovo incontro. In quell’occasione, Vanessa riuscì a separare fantasia e realtà. Il trauma, il bullismo, l’isolamento: erano questi i veri nemici. Il racconto alieno era stato solo un rifugio, un’illusione protettiva.

Vanessa scoppiò in un pianto liberatorio. Finalmente poteva dire la verità. Il peso che aveva portato da sola cominciava ad alleggerirsi.

Roxy, commossa, decise di agire su due fronti: un articolo per il Corriere Centro, denuncia coraggiosa contro il bullismo scolastico; e un racconto per la rivista di fantascienza con cui collaborava, trasformando l’esperienza di Vanessa in una favola di rinascita.

Prima però, doveva tentare l’impossibile: cercare quel portale descritto da Vanessa. Voleva vedere con i propri occhi quel luogo sospeso tra i mondi, tra verità e immaginazione. Doveva capire se la ragazza avesse solo immaginato... o intuito qualcosa che sfuggiva alla logica.


Capitolo V (versione estesa e revisionata)

Roxy sapeva di non poter più rimandare. Il momento di raccontare la verità era arrivato. Il caso di Vanessa meritava di essere conosciuto. Aveva tra le mani una storia dolorosa, ma anche potente: un grido d’aiuto trasformato in visione. Un’esperienza intima che si era spinta ai confini della realtà per sopravvivere al dolore.

E così iniziò a scrivere il suo articolo per il Corriere Centro:

Bullismo: la storia di Vanessa, la ragazza che si rifugiò in un mondo fantasticodi Roxy

Vanessa ha vissuto l’umiliazione del bullismo sulla propria pelle. I suoi compagni di scuola l’hanno isolata, ferita, ignorata. Le ferite lasciate da quelle violenze invisibili hanno scavato in lei un abisso. Per sopravvivere, Vanessa ha inventato una realtà alternativa. Una storia straordinaria, in cui un essere venuto dal futuro le affidava una missione: salvare il pianeta Terra da una catastrofe.

Quando l’ho incontrata, il suo sguardo era vuoto, ma le sue parole – quelle che è riuscita a pronunciare – erano cariche di significato. Insieme a uno psicologo esperto, abbiamo aiutato Vanessa a dare un nome al suo dolore. Le sue "visioni" non erano follia. Erano metafore. Erano il modo in cui il suo cuore, ferito, cercava un senso.

Questa vicenda ci ricorda che il bullismo non è un gioco. È una violenza. Una violenza che può spingere i più fragili verso l’abisso. Dobbiamo parlarne, dobbiamo ascoltare. E dobbiamo agire.

Roxy chiuse il portatile, ma il pensiero di Vanessa non si spegneva. Il racconto di quella ragazza la inseguiva. E non solo come simbolo del dolore. C’era qualcosa di più. Qualcosa che parlava alla sua parte più immaginativa, quella nutrita per anni da Asimov, Dick, Le Guin.

Fu allora che decise di scrivere anche un secondo pezzo, destinato alla rivista di fantascienza con cui collaborava da anni:

Esplorando le Vie del Futuro – Il Portale delle Sette Fatedi Roxy

In un piccolo borgo chiamato Melata, esiste una piazza che compare solo quando la si cerca davvero. È lì che si apre il Portale delle Sette Fate. Un varco tra mondi. Un ponte tra tempi.

Quando Roxy attraversa il portale insieme alle sue tre amiche – Eva, Livia e Vanessa – si ritrova proiettata nel 3050. Un mondo sconosciuto, senza sole, senza vento. Ma con una città luminosa, racchiusa in una bolla di vetro. Una città creata per resistere alla morte di un pianeta.

Il portale è reale. Forse non nei modi che ci si aspetta. Ma reale lo è, perché è il simbolo della nostra capacità di immaginare un futuro diverso. Migliore.

Il giorno dopo, armata di determinazione e di una buona dose di follia poetica, Roxy tornò a cercare la piazza descritta da Vanessa. Non era sola. Eva e Livia si unirono a lei. E, inaspettatamente, anche Vanessa.

La cittadina di Melata sembrava la stessa di sempre. Ma le quattro donne sapevano che stava per cambiare. Camminarono, si divisero, si ritrovarono. E infine, in un intreccio di vie secondarie, scoprirono la Piazza delle Sette Fate.

Una piazza immensa, geometrica, silenziosa. Al centro, un monolite iridescente. Vibrazioni nell’aria. Una melodia mai sentita.

Il monolite si animò. Un vento improvviso le travolse. Le quattro amiche si strinsero l’una all’altra… e il mondo si capovolse.

Quando riaprirono gli occhi, si ritrovarono distese su un terreno scuro, gelido. Attorno a loro, un paesaggio senza luce. Un cielo privo di stelle. Ma davanti, una città chiusa in una cupola di vetro brillava. Erano arrivate. Il futuro le aveva accolte.

Videro un veicolo avanzare verso di loro, silenzioso, metallico. Furono accompagnate dentro la città. Una guida silenziosa le condusse in un appartamento lussuoso, circondato da piante profumate, siepi di alloro, alberi di tiglio e fontanelle separate per acqua potabile e non potabile. Una visione di ciò che la Terra avrebbe potuto essere, se avesse imparato dai suoi errori.

In quel silenzio sospeso, tutto era possibile. Roxy prese il suo taccuino e cominciò a scrivere. Sapeva che quel viaggio non era solo un sogno. Era un messaggio.

E il meglio… doveva ancora venire.