Pensieri sparsi - Capitolo II
Nelle fredde serate d’inverno, avvolta in un plaid dai toni caldi dell’autunno, Roxy ama lasciarsi trasportare dai ricordi. Sdraiata sul divano, ripensa alla sua infanzia, alla giovinezza colma di sogni e di aspettative, e si sorprende ancora a sognare ad occhi aperti. Per lei, la vita è narrazione, e ogni esistenza racchiude in sé mille storie.
Roxy ha tante storie da raccontare. Come quella della bimba che rifiutava con tutte le sue forze la scuola dell’infanzia gestita dalle suore, tanto da somatizzare l’ansia in un costante rifiuto del cibo. Una bimba punita severamente, costretta a restare in piedi dietro la tenda del refettorio finché la suora non le concedeva di tornare a posto. Fortunatamente, i suoi genitori colsero quel disagio e la ritirarono da scuola. Da quel momento, la piccola Roxy crebbe giocando nell’ufficio postale dove lavoravano i genitori, affascinata dai timbri e dal telegrafo.
Figlia delle Poste Italiane, cresciuta tra Montrano, Montecasto e Pescaia, divisa tra le radici materne e paterne, Roxy ricorda con nostalgia le domeniche passate tra parenti, le gite dai nonni e dagli zii. Una vita semplice, punteggiata di riti familiari e affetti intensi.
Ama passeggiare nel parco vicino casa, con un quaderno o un tablet tra le mani, per catturare i pensieri che affiorano nel dormiveglia. Si chiede spesso dove vadano quelli che non riesce a fissare su carta – un interrogativo che, forse, meriterebbe un intero libro.
Quel giorno, mentre è nel parco, incontra Consuelo.
«Ciao Consuelo, come va?»
«Tutto bene, ma mi sono svegliata un po’ ‘mbronciata stamane.»
«Allora ti racconto una storia che ti metterà di buonumore.»
Roxy, che di sé parla poco, le racconta del Natale del 1956, quando con il padre cercò invano dei cappelletti per il pranzo. Ne trovarono pochi, e il giorno dopo, mentre li portava a tavola, inciampò ballando sulle scale, rovesciandoli tutti.
«Addio cappelletti! E pure il piatto da portata!»
Consuelo scoppia a ridere.
«I tuoi genitori saranno impazziti!»
«Un po’, ma era Natale, e fui perdonata.»
Il padre di Roxy, Vincenzo, era un tipo originale. Negli anni Cinquanta possedeva una Fiat 1100 blu notte, diceva avesse corso la Mille Miglia. Guidava in modo spericolato, trasformando le strade deserte dell’epoca in piste immaginarie. Roxy e la cugina, rannicchiate dietro, tra paura e divertimento, imparavano a conoscere la velocità. A sedici anni Roxy era già una guidatrice provetta, anche se dovette attendere – con impazienza – la maggiore età per prendere la patente.
Ripensando all’adolescenza, riaffiora il ricordo di Domenico, il suo primo amore. Di recente si era rifatto vivo, grazie ai social.
«Sai che mi ha scritto su Facebook?» dice a Consuelo.
«Davvero? Intendi rivederlo?»
«Non lo so… parlarci mi fa bene. Ricordo i nostri incontri furtivi, mio padre sempre alle calcagna. Eravamo costretti a vederci al cimitero!»
«Al cimitero?!»
«Sì. Era un luogo che frequentavo spesso con mia nonna. Un giorno, in un vialetto, ci siamo baciati. Il mio primo bacio.»
Consuelo sorride, un po’ perplessa.
«Romantico, in un certo senso…»
Poi si alza: «Scusa, ho mille cose da fare oggi.»
Roxy resta pensierosa. Le piacerebbe parlarne con Livia, la maestra psicologa. Chissà cosa penserebbe di questo ritorno dal passato. Livia era sempre acuta, capace di alternare empatia e ironia. Roxy la ammirava.
Ripensa a Domenico: occhi chiari, un lieve strabismo di Venere che lo rendeva affascinante. Lei, minuta, castana, sognante. Si erano innamorati all’istante. Un amore adolescenziale, puro, ingenuo, ma intenso. Lui, più esperto, la baciava in modo indimenticabile. Quei ricordi, dolci e sospesi, le davano l’impressione di una storia mai davvero conclusa. Forse era per questo che si parlavano ancora. Forse per questo, il cuore batteva più forte ogni volta che lo rivedeva online.