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Pensieri sparsi

Roxy, nelle serate fredde d'inverno,  mentre se ne sta sdraiata sul divano sotto il caldo plaid dai colori autunnali, ama ripensare alla sua infanzia e alla sua adolescenza, quando la vita e il futuro le apparivano pieni di aspettative e di amore. Sogna ad occhi aperti, Roxy, ora come allora, ora per ripercorrere gli anni spensierati della giovinezza, allora per immaginare il futuro.
Lei pensa che la  vita sia narrazione, che ogni vita abbia una o cento storie da raccontare. Anche la  vita di Roxy racconta tante storie: quella della bimba che rifiutava con tutto il suo essere la scuola dell'infanzia, gestita dalle suore e tanto era grande il disagio che provava, da determinare una somatizzazione  costante di quell'ansia, mediante il rifiuto del cibo, manifestato ad ogni pasto, anche fisicamente. Questo le costava una severa e umiliante punizione quotidiana: essere costretta a stare in piedi dietro la tenda del refettorio, fino a quando la suora non le diceva che poteva tornare al suo posto. La frequentazione della scuola materna non era durata a lungo, fortunatamente, i genitori avevano compreso il profondo sconforto causato alla bambina da quell'ambiente scolastico.
Quella  bimbetta era lei, Roxy, che, dopo il ritiro da scuola, aveva trascorso la sua prima infanzia nell'ufficio postale dove lavoravano i suoi genitori, giocando con i timbri e con il telegrafo che la affascinava tanto.
E' figlia delle Poste Italiane, Roxy.  Allora abitava a Montrano, un paese del circondario calzaturiero fermiano, ma la famiglia di origine di sua madre risiedeva a Montecasto, mentre quella di suo padre a Pescaia in Abruzzo. Pertanto il cuore dei suoi genitori era diviso a metà fra questi due luoghi e così una domenica si andava a trovare la nonna materna a Montecasto e un'altra a visitare gli zii a Pescaia, dato che i nonni paterni erano mancati durante la seconda guerra mondiale. Roxy ricordava con grande senso di nostalgia queste gite domenicali, nostalgia per quel tempo passato, nostalgia per le persone care che non ci sono più.
A Roxy piace passeggiare nel parco vicino casa con una penna e un quaderno in mano, prendere appunti per fissare i pensieri, quei pensieri che si accavallano tutti insieme, specialmente di notte, nel dormiveglia prima di prendere sonno e per poterli fissare su un foglio si è scaricata un'applicazione di testo nel tablet, così appena un pensiero che le piace arriva, lei, zacchete, lo cattura, mettendolo subito per iscritto su un foglio elettronico. Roxy da tempo immemorabile si chiede dove vadano a finire i suoi pensieri, quelli che non riesce a catturare su un foglio e che al mattino non ritrova più. Le risposte sono molto fantasiose e meriterebbero un capitolo a parte.
Ed eccola ora nel parco, come suo solito sola, ma oggi è diverso, ecco comparire Consuelo.  
"Ciao Consuelo, come va?
"Tutto bene Roxy, ma mi sono svegliata un po' ' mbronciata, stamane.
"Cara amica, allora ti racconto una storia che ti metterà di buonumore. E così, anche  se non ama molto parlare di sé, Roxy inizia a raccontarle del Natale 1956.  Abitava allora con la sua famiglia a Montrano, in una casa dopo l'arco, a destra sul vicolo. La casa, su due piani, aveva la cucina al piano inferiore, soggiorno e camere al piano di sopra.  
"Io e mio padre - continua Roxy - avevamo trascorso il pomeriggio della Vigilia a cercare, nei negozi dei paesi vicini,  un chilo di cappelletti da cucinare il giorno di Natale. Ne trovammo soltanto pochi etti, ma ci eravamo dovuti accontentare.  
Negli anni '50 non c'erano ancora i negozi di pasta all'uovo né i supermercati, i tortellini e i cappelletti si vendevano nei negozi di generi alimentari.  
"Il 25 Dicembre, colpo di scena, quei pochi etti di cappelletti, cucinati e versati in un piatto da portata da mia madre, mi furono affidati, per essere serviti a tavola", riprende Roxy, "come saprai, cara Consuelo, il giorno di Natale in tutte le case degli italiani si usava pranzare in sala e anche a casa nostra si rispettava quell'usanza, quindi accadde che nel tragitto dalla cucina alla sala da pranzo, con il piatto dei cappelletti in mano, incautamente, improvvisai uno scombinato balletto proprio mentre salivo le scale, facendo oscillare quel piatto a destra e a manca al ritmo del ballo e trallallero trallallà, il piatto mi scivolò dalle mani frantumandosi sulle scale, così addio a quei pochi cappelletti faticosamente messi insieme, che per quell'anno restarono una - fottutissima - chimera.
Consuelo si fa una bella risata.  
"Chissà i tuoi genitori quanto si arrabbiarono per la tua sbadataggine!
"Ebbene sì, ti confesso che mi presi una bella ramanzina da entrambi, ma essendo il giorno di Natale, fui perdonata in fretta."
Genitori originali quelli di Roxy, soprattutto il padre, Vincenzo. Si viaggiava negli anni '50,  ma l'automobile era un lusso che pochi si potevano permettere. Il padre possedeva una Fiat 1100 blu notte, un'automobile che si raccontava avesse corso le Mille Miglia, una gara atomobilistica che toccava molte città e paesi italiani e lui ne andava orgogliosissimo. Vincenzo era un autista spericolato e competitivo, qualche volta gli capitava di ingaggiare delle vere e proprie gare con altre auto, soltanto perché non sopportava di essere sorpassato. Aveva un animo fanciullesco il papà di Roxy e anche un po' incosciente, poiché non si tratteneva dal lasciarsi andare a certi comportamenti anche quando in auto c'erano le bambine, Roxy e la cuginetta Stefania, rannicchiate nel sedile posteriore in preda alla paura, attutita tuttavia dal credere che in fondo si trattava di un gioco e forse anche appassionante.  Poche erano le macchine che si incontravano in quegli anni, pertanto le strade si prestavano a diventare quasi dei circuiti automobilistici, per questi guidatori un po' bambini. Sempre lui, il padre, fin da piccola, le aveva inculcato il mito dell'auto veloce, meglio se truccata, tanto che a 16 anni Roxy era già una guidatrice provetta, anche se, ovviamente,  dovette aspettare – e con quanta insofferenza! - la maggiore età per sostenere l'esame e ottenere la patente di guida.  
Mentre racconta della sua adolescenza, la mente di Roxy  ritorna sempre a quel ragazzo dagli occhi azzurri, Domenico, che le piaceva tanto e che da poco si era rifatto vivo, grazie ai social network. Perché non confidarsi con Consuelo, che aveva fama di avere il dono dei buoni consigli?!?  
"Sai che qualche  giorno fa mi ha contattata su Facebook il mio primo amore di quando avevo sedici anni?" - nella voce di Roxy c'è una nota di emozione che non sfugge all'esperta Consuelo.
"Davvero? - chiede l'amica con la curiosità stampata negli occhi e nella voce - Hai intenzione di rivederlo, di incontrarlo?
"Non lo so ancora - risponde Roxy. E’ come se la sua voce venisse da un altro pianeta, proprio quello dove regna il dio dell’amore.
"So solo che parlare con lui mi fa stare bene, ricordare quando eravamo adolescenti, i nostri incontri furtivi, con mio padre sempre alle calcagna. Pensa che eravamo costretti ad incontrarci al cimitero. A me il cimitero non faceva paura, anzi era un luogo che frequentavo spesso con mia nonna, che davanti alle tombe, sgranava il rosario, mentre io acchiappavo le lucertole con i fili d'erba, come mi aveva insegnato mio zio Giuseppe. Io e Domenico ci siamo scambiati il primo bacio in un viottolo del cimitero. Non è romantico?"
Consuelo dal canto suo è un po' perplessa.
"Se lo dici tu, sarà così! In questo momento son po’c’affidabile ‘ome consigliera, visto quello che è successo a scuola. L’avrei dovuto darmi da ffare, e invece… Vo via, scusa, ma ho mille ‘ose da ffare, oggi.  
Chissà Livia, la maestra psicologa, cosa avrebbe da dire sul fatto di lasciarsi andare, dopo tanti anni, alla ricomparsa del primo amore adolescenziale? Forse potrebbe interpretare questa epifania dal punto di vista di un'acuta psicologa e darmi qualche suggerimento? - riflette Roxy fra sé e sé. In verità il punto di vista di Livia le interessava sempre molto, così profonda e al contempo sicura di sè, al di sopra delle umane debolezze, la immaginava pronta a coinvolgersi, quando un'amica la interpellava su un argomento intimo e personale, tanto quanto scanzonata e distaccata quando doveva fare rientrare nei ranghi quacun'altra. Roxy, la pratica Roxy, è un po' sognante in questi giorni, l'aver ritrovato Domenico le ispira nostalgici pensieri: biondo, occhi chiari, un leggero strabismo di venere che gli conferiva un fascino misterioso.
Era un bel giovane e lei se ne era innamorata a prima vista. Lei, minuta,  occhi e capelli castani, carnagione chiara,  carina ma acerba, non aveva ancora avuto esperienze amorose, eppure sognava di innamorarsi sopra ogni cosa. Si erano incontrati ed era stato subito amore. Quell'amore avventato dell' adolescenza, un sentimento pulito, genuino, innocente per la limpidezza dei pensieri che generava, intenso ma breve, come il lampo che precede il tuono. Lui, nonostante i suoi sedici anni, qualche fidanzatina doveva averla avuta, Si capiva da come baciava, eh già, baciava così bene da togliere il fiato. Quello per Roxy era stato il primo bacio e il primo amore che non si può dimenticare. Ora le restano bei ricordi e una sensazione strana di una storia iniziata e mai finita. Forse proprio per questo intriga parlarsi di nuovo e raccontarsi la vita trascorsa lontani l'uno dall'altra.