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La rete delle storie

La rete delle storie

 

Astrolabia Quater aveva appresso l’arte di interpretare i linguaggi, disseminati come continenti alla deriva nella materia livida del multiverso, dall’ultima performance di Astrolabia Ter, che l’aveva appresa da Astrolabia Bis, che l’aveva appresa da Astrolabia, ora rinominata Astrolabia Semel, ma pur sempre lei: l’artista assoluta dell’emisfero destro del mondo siderale. Lo spazio in cui si era mossa ruotando Astrolabia Semel, sfera tra le sfere, si era nella dinamica delle sfere cosmiche dilatato fino al punto d’intravedere, attraverso il grande occhio di Hoag, le sconfinate distese mareali che battevano contro le  colonne dell’Inconoscenza. Da esse l’eco di ondate di anomalie magnetiche ancora tentava, non più riuscendovi come accadeva ancora nel primo stadio astrolabiano, di interferire con le comunicazioni multiversali. Le colonne imponenti tagliavano come lame lonsdaleitiche lo spazio, azzerando ogni intrusione cronotopica. Chi aveva osato avvicinarvisi, raccontava di un silenzio raggelante e di un buio spesso, impenetrabile, ma soprattutto di una sensazione di perdita, di annullamento del desiderio del linguaggio, loro unica linfa. Astrolabia Semel aveva conosciuto a perfezione l’arte di risvegliare dal fiume indistinto delle memorie astrali le stringhe degli alfabeti e di ricomporre, riallineando i tempi, ogni attimo di storie bloccate e di immagini vissute, viventi e non più viventi, dai depositi memoriali. Il Creatore, assorbita energia dall’amore di Astrolabia per Kubera, le aveva concesso di trasferire le sue arti ad Astrolabia Bis, che sua volta l’aveva trasferita ad Astrolabia Ter, e ora era Astrolabia Quater a gestire i depositi memoriali del multiverso. Con il suo potere, con il potere della sua arte assoluta, Astrolabia aveva già avvolto in una rete fitta di segni ogni spazio del multiverso, tutta la sua lenta e infinita tessitura di storie l’avvolgeva ormai come in una calda protettiva placenta, che continuava a nutrirsi dell’umore scorrente dalle dita delle sue epigone. Nulla avrebbe mai potuto il Creatore, se Astrolabia non avesse restituito alla stringa della narrazione cosmica il diritto delle parole arcaiche a sopravvivere.  Lei, che aveva vinto i divieti di Kubera, dispensava, a chi fosse capace di amare, l’autorevolezza per entrare nella rete delle storie e cercarvi il frammento che desse senso alla propria vita. E il Creatore, nel suo disegno di diventare il Grande Narratore, non si era lasciato sfuggire l’occasione. Ora l’amore stillava da lui, ma come da una fonte avara.

Ana si lasciò guidare dal potere di Astrolabia Quater e attese, fiduciosa, che le dita digitassero il messaggio che le era giunto da un dove e da un quando ignoti e che solo ora andava componendosi davanti ai suoi occhi cristallini. Sullo schermo andò componendosi una stringa di segni numerici, benché incomprensibili le sue mani ne colsero il senso, come di un sibilo che affiorasse da un silenzio e invadesse il suo spazio sensibile, con un fascio d’emozioni. Era questa l’emozione delle emozioni, quella che avrebbe perpetuato il multiverso, o per lo meno, l’avrebbe spostato su un arco temporale libero e vivibile ancora per molto molto molto tempo? Ritrovare la scacchiera in cui la parola che Astrolabia aveva difeso, per farne poi, inconsapevole, un’arma per il Creatore, trovasse di nuovo il suo incastro nell’intreccio cosmico? Questo l’obiettivo, sì questo l’obiettivo del Creatore: ritrovare la parola che Astrolabia aveva difeso da Kubera, la scriba non era che una colomba, inviata come una vela a pelo d’acqua a esplorare la rete delle storie. Era lì, intessuta nelle trame la parola. Emozione? Incontro? Toccarsi dentro con una carezza di parole, aiutava, ma era pur sempre un hic et nunc, un nulla nella distesa dell’eterno possibile, pensabile, edificabile. Forse.

 

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La sequenza aggredì lo spazio tattile di Ana, lo dissolse per spostarsi sul suo asse visivo. In sequenza apparvero segni sempre più chiari, spostarli sul piano della memoria richiese un certo impegno, sapeva di non avere energia che per un viaggio che ne catturasse altrettanta. Giocò d’intuito.

 

La scritta campeggiò sulla base della torre come  un raggio limpido di Caronte, la luna di Plutone che ricorreva come un mantra nella sua scrittura emozionale.

 

 Astrea, anno astrale 4004 - Lattigine