- Devi lasciarlo… dai, devi lasciarlo.
- Devi lasciarlo… dai, devi lasciarlo.
- E’ facile secondo te? 15 anni di matrimonio e tre figli ancora piccoli …
- Ma vuoi crescerli in mezzo alle botte? Aspettare che diventino violenti come il padre o vittime come te?
La pandemia l’aveva ancora più chiusa nel suo mondo di donna maltrattata, violentata, sfruttata. Quei fuggevoli attimi di conversazione segreta con Consuelo erano l’unica oasi in un deserto di sentimenti. Eppure … lui sapeva come farla tornare nella sua rete e lasciarla lì nel limbo del me-ne-vado-non-me-ne-vado, mentre ora si curava da sola le ferite del corpo e dell’anima. Inavvicinabile il pronto soccorso per le sue ferite da niente di fronte alla tragedia nazionale e, soprattutto, a rischio che le venisse una buona volta la tentazione della denuncia. I tubetti di voltaren svuotati, il foille pronto per le scottature, inevitabili quando la prendeva in cucina, senza aspettare che si allontanasse dai fornelli … mentre rideva … di lei che non sopportava il dolore, diceva.
In un cassetto si accumulavano i suoi dialoghi immaginari, meglio i suoi soliloqui, lei sapeva che se lui li avesse trovati si sarebbe avvicinato il momento della soluzione finale. E li lasciava anche visibili, a volte, come una forma di suicidio per intermediario. Ma lui, Evo, Everardo Fuccillo, il consulente informatico che tutti volevano come esperto, non li avrebbe mai visti, certo com’era di possederla da quel giorno ormai lontano che si ripeteva con la stessa violenza ogni volta che la prendeva. Ovunque. In cucina, nel bagno, nel ripostiglio, nell’ingresso, la prendeva, lei la bambola di pezza, lui la bestia in giacca e cravatta, che mentre godeva attenuava i suoi grugniti di bestia perché potesse continuare senza che si svelasse il segreto così ben custodito dalla vittima. Quando poi, svuotata la voglia, la carezzava dolce come un bambino, la baciava piano piano come una bambina, quello era il momento più tremendo. Come poteva provare piacere dopo quegli assalti devastanti, dopo lo stupro, e desiderare che si ripetessero quelle carezze? Era la sua condanna? La sua colpa? La ragione del suo silenzio? I bambini, quando lui li chiamava dopo averla posseduta nel letto grande, saltavano su felici, felici del permesso ricevuto, mentre lei diventava piccola piccola come loro per nascondere il dolore e il piacere e tornare innocente e ricominciare.
Finito il lockdown, il ritorno a scuola aveva posto fine ai soliloqui. Consuelo, l’amica senza paura, la sosteneva, la invitava a ragionare, le parlava della casa per donne maltrattate, di Carla, che trovava le parole per leggersi dentro e decidere. Evelina, però, avrebbe voluto che le parole giuste venissero da sua madre, le sarebbe bastato, per decidere, che almeno una volta le avesse detto solo “Sono con te!”. Sua madre quelle parole non le avrebbe mai dette. La fede, le tradizioni, la gente?
- Ma’, devo dirti una cosa … Evo …
- Ho capito, Eveli’, siamo alle solite, vedi che devi fare … hai tre figli … non te lo scordare. Hai tre figli e dei doveri. Sei un’insegnante. Fai come vuoi. Resisti o denunci. E’ semplice.
- Non è semplice.
- Vuoi che lo faccia io? Ma, bada bene, devi essere tu a volerlo. Non mi mettere in mezzo, che poi neghi. Io ti conosco, sei capace di negare al momento giusto. Evo…Evo... Fammi capire, eh!
- Ma li vedi i segni o no? Ma perché quando ti ho raccontato di quella prima volta di merda, non mi hai detto di lasciarlo, invece di chiamare mio padre e dirgli di parlare con Evo, che facesse il suo dovere.
- E lo sta facendo, ma’…
- Hai ragione, Eveli’, Allora potevo fare qualcosa, dovevo fare qualcosa … ma … adesso … è tardi. Adesso devi decidere tu. Hai tre figli, Eveli’.
Ormai la violenza fisica non le faceva neppure più paura, ogni botta era parte di un gioco, perverso ma un gioco, doveva godere o, meglio, fingere di godere, altrimenti erano botte, doveva fare quello che le era ordinato senza tentennare, altrimenti erano botte, botte sul pube, lì dove non sarebbero arrivati gli occhi di nessuno. Ma botte vere. Quando doveva picchiarla sulla bocca … questo lo tormentava, lì si vedeva. Ma una scusa pronta c’era sempre. E la concertavano insieme, perfino. E se il colpo arrivava fino a farle un occhio nero, meglio. La scusa era più plausibile.
Dio mio! Come poteva vivere in questa perversione, come poteva lei, l’insegnate stimata, saggia, che sosteneva i ragazzi in difficoltà, che sosteneva i genitori in difficoltà, cui si ricorreva per avere consiglio. Come poteva sostenere tutto questo lei, con la sua intelligenza, la sua cultura. Ma queste erano le parole di Consuelo. Lei ormai era entrambe le Eveline. Forse per sempre avrebbe avuto spazio per entrambe, le metteva in dialogo, come in uno specchio l’una guardava l’altra, la saggia e la vittima, si parlavano e si incoraggiavano, si parlavano e si combattevano, a scuola era l’una, in società era l’una, nel privato era l’altra, una schizofrenia che vedeva convivere la follia con l’equilibrio, il dominio di sé in presenza degli estranei, la forza in presenza dei figli, l’indifferenza nella sua famiglia, con le imprecazioni sommesse sulla porta di casa, con la debolezza nel letto, con il pianto sul divano, con i lamenti soffocati nel bagno …
Evo quel giorno aveva deciso di tornare a casa prima del previsto, gli era mancato un appuntamento per un lavoro importante e la rabbia era diventata desiderio di rifarsi su di lei. Era entrato di soppiatto, perché il progetto era di prenderla da dietro di sorpresa, ma era stata Evelina a prendere di sorpresa lui, perché stava scrivendo uno dei suoi tanti dialoghi-monologhi, ed era forse quello decisivo, quello che, in un modo o nell’altro, avrebbe messo la parola fine a tutto. Il foglio, benché da lei accartocciato in fretta, era passato, inevitabilmente, prima negli occhi poi nelle mani di Evo.