Evelina non poté far a meno di pensare a Vanessa
Evelina non poté far a meno di pensare a Vanessa, mentre in pronto soccorso le stavano diagnosticando 2 vertebre rotte e un grosso ematoma temporale. Vanessa le ricordava tanto una bambina di sua conoscenza, quella Evelina travolta dai litigi dei genitori, quell’Evelina con le orecchie tappate e gli occhi sbarrati. Si chiese come avesse fatto lei a non farsi venire quell’idea, quando non ne poteva più e vedeva a rischio la vita stessa di sua madre e sua. Ed era sopravvissuta a tutto quel disastro per ricacciarsi in un altro? Che senso aveva tutto questo. Sarebbe stato davvero meglio non essere nata o farla finita, allora, e perché non ora? Davanti le si apriva l’abisso del decimo piano, del ponte dei suicidi, del mare infinito, del sonno provocato dagli antidolorifici … ma I figli? Poteva lasciarli a quel demone di Evo? Un punto fermo doveva metterlo e per loro quel punto fermo era telefonare al centro antiviolenza, ora, in quel momento, prima che l’abitudine non prendesse il sopravvento sulla forza di volontà. Cercò dentro si sé le ragioni per farlo ora, o mai più. Le venne come una visione Vanessa che sceglieva il vuoto per liberarsi, chissà da cosa, chissà da quale altro vuoto E per Vanessa, anche, si doveva farlo anche per lei. Vanessa aveva bisogno di lei, qualunque fosse stato il motivo del suo gesto, Vanessa aveva bisogno di lei, e lei voleva esserci.
Chiamò l’infermiera.
- Mi prende la borsa, per piacere?
- Che succede? La vedo molto alterata, ha bisogno di qualcosa? Lei non può muoversi…
- Mi prenda la borsa per piacere … guardi dentro, cerchi nel buco nella fodera … c’è un numero … salvavita. Lo faccia, per piacere, mi presta il suo cellulare? L’ho … dimenticato a casa. La prego … o ora o poi sarà troppo tardi …
- Capisco …
Nella quiete della casa famiglia tutto le era sembrato lontano quasi irreale, se non fosse stato per quelle fitte acute al petto che la facevano stare così male, benché fossero passati mesi ormai da quel giorno. Il giorno della seconda nascita, lo chiamava Evelina, perché era così. Era rinata. Anche le figlie erano rinate. Tutto il mondo era rinato. Poi la piccola casa in centro paese, a Melata, dove lui non avrebbe mai potuto raggiungerla, perché si sentiva protetta dagli occhi dei suoi vicini. Le volevano bene, alla prof. E lo dimostravano con mille attenzioni. Se l’incubo non era finito, né mai sarebbe finito dentro, almeno era tenuto lontano dalla legge e dalle amiche del centro che la sostenevano e da tante altre persone a lei vicine. Questo aveva detto a Vanessa, quando era andata a trovarla. C’è sempre una via d’uscita. C’è sempre qualcuno che aiuta. Non guardare nell’abisso, guarda davanti a te e cerca un abbraccio.