Skip to main content

Capitolo III

milano.jpeg

La vita e una scelta meditata l’avevano portata, negli anni Ottanta, a stabilirsi a Milano. Roxy amava profondamente la città. Amava la verticalità dei suoi grattacieli, l’armonia della Galleria, il fermento dei Navigli e la memoria delle case di ringhiera. Amava la Scala e i musei, Corso Como con i suoi atelier, e quel misto di frenesia e calore umano che si respira nei bar, nei viali alberati, nelle trattorie nascoste.

Milano era per lei una fusione perfetta di cultura, moda, storia e futuro. Una città che l’aveva accolta e trasformata, dove la sua voce giornalistica si era fatta più matura, più consapevole. Dopo le prime collaborazioni con riviste e testate, si era radicata come giornalista d’inchiesta al Corriere del Nord.

Il suo impegno nasceva da lontano. Negli anni del liceo classico, in pieno Sessantotto, aveva abbracciato le proteste, la voglia di cambiamento. Aveva cominciato a scrivere per il giornalino universitario, poi per testate vere. I suoi articoli, inizialmente infiammati di passione, avevano acquisito col tempo una profondità che la portò a raccontare con lucidità i temi più scomodi della società.

Quando pensava di aver ormai visto tutto, arrivò la telefonata di Andrea, direttrice del Corriere Centro. Aveva bisogno di lei: una studentessa, Vanessa, aveva tentato il suicidio a Melata. Serviva una penna attenta, un occhio empatico. Serviva Roxy.

Roxy prese un taxi per la stazione. Era marzo 2003. L’aria era ancora pungente, Milano era grigia e fredda. Preferì il treno. Il Frecciarossa la portò a Melata in serata. Zaino in spalla, piumino, minigonna tartan, stivaletti tortora, si avviò verso l’albergo. Dopo una doccia calda, chiamò Andrea. Si diedero appuntamento per cena in una trattoria vicino a Piazza delle Dodici Cannelle.

Roxy arrivò per prima. Un calice di rosso tra le mani. Andrea entrò, l’abbracciò.

«Come stai?»

«Bene. E tu?»

«Preoccupata. Vanessa ha cercato di togliersi la vita. Abbiamo bisogno che tu vada a fondo. Parla con la famiglia, con la scuola. Cerca la verità.»

Roxy annuì. Sapeva che doveva agire con tatto e determinazione.

Il giorno dopo andò in ospedale. Vanessa era fragile, muta, gli occhi persi nel vuoto. Il suo silenzio parlava più di mille parole. Roxy uscì sconvolta. Doveva fare qualcosa.

Parlò con il padre. L’uomo, distrutto, accennò a episodi di bullismo. Niente di provato, ma sufficiente a spiegare il malessere della figlia. Tuttavia, Roxy non era convinta. Era troppo semplice. E troppo vago.

In redazione, Andrea la esortò a scrivere. «Serve un pezzo forte sul bullismo.»

Ma Roxy esitava. Voleva capire davvero. Sentiva che dietro quel gesto disperato si nascondeva qualcosa di più complesso. E così, decise di andare più a fondo. Di nuovo.

Nei mondi virtuali dove si rifugiava nel tempo libero, curava mostre, incontrava avatar, esplorava l’immaginazione. Quel doppio livello tra realtà e finzione era parte della sua vita. E forse anche di quella di Vanessa.